Fjodor guardò il mappamondo, come faceva spesso, facendo scorrere il dito su tutti i continenti, leggendo i nomi dei mari, dei canali e delle insenature. Era un pomeriggio caldo e lungo di giugno e la noia gli ispirò mille pensieri contrastanti. Lo rattristava che ormai tutto il mondo fosse stato esplorato e mappato, che perfino gli abissi oceanici fossero stati scandagliati, e che fosse svanito ogni mistero. A volte sognava che una nuova isola fosse stata scoperta, ancora tutta da offrirsi alla curiosità dei fortunati esploratori.
Dato il suo inusuale interesse per ciò che non esiste più, Fjodor era uno studente di storia all’università. In quei mesi doveva preparare il suo progetto di tesi e recentemente aveva sviluppato un interesse particolare per gli anni venti del ventunesimo secolo. Aveva letto articoli e libri di quegli anni per ricercare nella precarietà del periodo le radici del benessere della sua epoca. Come i suoi professori gli avevano consigliato, aveva cercato informazioni nei quasi onniscienti archivi digitali, ma in questo caso gli elementi più sfuggenti della vita di allora erano rimasti ignoti. Così, risoluto come mai prima, decise di partire per un viaggio per trovare, nascoste in archivi, case e istituzioni, le informazioni che non erano state considerate degne di essere raccolte.
Si incamminò verso il porto, vivo di barche e vociare allegro. Si guardò intorno e in un angolo, tra alti palazzi bianchi, individuò, come un dettaglio pittoresco in un dipinto, un minuscolo negozio. Entrò con esitazione e si trovò davanti a un labirinto di scaffali. La luce filtrava da una piccola finestra in alto e faceva scintillare nell’ombra i dorsi dorati delle enciclopedie, le lanterne spente di ferro battuto e le bottiglie di vino vecchio. In mezzo a quel caos di deliziose reliquie del passato, trovò un tavolo di mogano su cui erano sparsi dei pezzi di carta, come se qualcuno fosse appena stato lì. Prese in mano uno di questi foglietti e lesse un numero di telefono. Poco più in là c’era un vecchio telefono, di quelli che non si vedevano da vent’anni, e così, per curiosità, decise di chiamare quel numero.
Rispose una giovane donna con la voce stanca. Gli chiese chi fosse e lui, che non credeva che il numero fosse ancora attivo, le rispose di essere un ricercatore. Il suono era disturbato dal frastuono di quelle orribili auto che esistevano un tempo, prima che il trasporto pubblico diventasse prevalente e si inventasse il nuovo motore pulito, sotto la pressione delle proteste dei cittadini. Da quello capì, con un certo sgomento, di comunicare con il passato. Quasi tremando, le chiese che anno fosse, e alla sua risposta, 2023, rimase impietrito. Ci fu un lungo silenzio e poi entrambi capirono quale prodigio fosse avvenuto.
Cominciarono a conoscersi poco alla volta, con il timore di star facendo qualcosa di proibito e innaturale. Si confrontarono sulle loro vite, si fecero domande a vicenda. Anche se, inizialmente, fece fatica a credergli, lei si meravigliò del fatto che l’umanità fosse riuscita a rinnovarsi, nonostante tutto. Diritti e tutele che esistevano nel mondo di Fjodor erano quasi impensabili nel suo. Lei aveva conosciuto studenti divorati dalle aspettative, abbandonati nella loro condizione incomunicabile, in cui tutto è in potenza e la volontà non ha spazio per esprimersi. Le ripetevano da sempre che il futuro sarebbe stato peggiore del presente e che l’intelligenza artificiale avrebbe acquisito vita propria. La rassegnazione si era ormai insinuata in ogni pensiero, fino a spegnere in lei ogni alto ideale che andasse al di là del quotidiano.
Fjodor si animò nel raccontare, accorgendosi solo allora di come il percorso della storia avrebbe potuto prendere una direzione ben più oscura. Le spiegò che nel tempo, di fronte all’incombere della disgregazione dell’ordine mondiale, i giovani avevano creato angoli sicuri in cui rivendicare il diritto di determinare il proprio avvenire. La protesta si era estesa a tutte le scuole, le università; gli intellettuali erano usciti dalle loro case per tornare al centro della vita pubblica. Il bigottismo imperante era stato finalmente sconfitto dal procedere naturale della società. Tutto questo era avvenuto in silenzio, gradualmente, prima nelle coscienze e poi nelle istituzioni, evolvendosi in un nuovo umanesimo universale.
Ci furono altre telefonate nei giorni successivi e si creò una confidenza rafforzata dal fatto che il loro rapporto fosse così assurdo e unico. Lei gli diede tutte le informazioni che gli servivano per tratteggiare il progetto di tesi, mentre lui evocò tutte le immagini di ciò che forse avrebbe vissuto.
Fjodor descrisse in che modo, con la rivoluzione dei trasporti, le città fossero tornate a misura d’uomo, con piazze, porticati, fontane. Il bello, come un secolo prima, era di nuovo preso in considerazione nell’architettura e nell’urbanistica, non più aspetto marginale ma indispensabile. La gente era tornata ovunque ad animare i caffè, i negozi e i viali. Le persone non erano più ricche, ma erano certamente più libere e serene, sapendo di poter contare su uno Stato in grado di fornire i servizi necessari efficacemente e di fare argine alle avversità del caso.
Anche la ricerca scientifica viveva uno dei suoi momenti migliori, ora che finalmente riceveva i dovuti finanziamenti. Attraverso la collaborazione di tutte le nazioni industrializzate, si era giunti alla realizzazione delle prime centrali a fusione nucleare che, benché ancora molto costose e migliorabili nel funzionamento, riuscivano a coprire il fabbisogno energetico di centinaia di milioni di persone in maniera sostenibile. Contemporaneamente, nei laboratori si producevano nuovi vaccini e farmaci con sempre meno controindicazioni.
Lei gli fece giurare di non mentire mai, perché poteva solo affidarsi a lui, non avendo alcuna possibilità di verificare le sue parole. Sarebbe stata una delusione troppo grande ritrovarsi in un futuro diverso dopo aver serbato per anni tante speranze. Non aveva che questo per proteggersi dalle illusioni.
Dopo essere stata rassicurata, cominciò a desiderare sempre più intensamente quel mondo, fino a disprezzare il suo, fino a consumarsi nell’attesa. Esistono poche cose pericolose come conoscere il proprio futuro e continuare a vivere nel presente, sapendo il destino ultimo delle persone e dei popoli. La speranza diventò struggimento e lei lo implorò di portarla con sé.
Con sofferenza, Fjodor si sentì costretto a troncare la relazione, che ormai durava da settimane. Non fu facile, ma alla fine entrambi si resero conto che quanto c’era stato di buono tra di loro sarebbe rimasto nella memoria e nella consapevolezza profonda. Ora lei aveva imparato cosa tenere come riferimento per non abbandonarsi all’inerzia e lui aveva la misura del mutamento della società nel tempo che li separava.
Anni dopo riprovò a chiamarla, per giorni, ma ora al telefono non rispondeva più, la porta si era chiusa definitivamente. Era ormai chiaro che non avrebbe mai risposto e che la sua attesa era stata vana. Era morta e non c’era niente che potesse cambiare questo. La sua morte lo scosse nel profondo, per quanto breve fosse stato il contatto tra loro, e lo fece soffrire più di quanto avrebbe ammesso. Ciò che non era cambiato affatto era che, non importa quanto perfette siano le strutture umane, non si può pensare di vivere senza ferirsi e non si può sfuggire al dolore.