Schiacciato dalla gente contro il finestrino della monorotaia a levitazione magnetica, Renard guardava distrattamente i boschi verticali scorrergli davanti agli occhi e pensava a quando avrebbe potuto andare fuori città per vedere la nonna. Riscosso dall’annuncio della fermata successiva si guardò attorno e rivolse lo sguardo a uno schermo per le informazioni; probabilmente di lì a breve sarebbe andato in onda il videonotiziario di metà pomeriggio. Dopo la sigla Renard si aspettava di sentir parlare della città di Altantis, travolta da uno scandalo per non aver ancora messo a norma alcune strade pedonali, ancora ricoperte dall’asfalto del vecchio mondo, oppure chi avesse ricevuto il premio per l’invenzione più sostenibile dell’anno. Vide invece il primo ministro che faceva un discorso ufficiale. Non gli riuscì di leggere tutte le scritte in sovrimpressione, ma due parole catturarono la sua attenzione: «zone abbandonate».
Evidentemente chi era più vicino allo schermo era riuscito a comprendere tutto, perché nel vagone si sollevò un brusio. Renard colse alcuni brandelli di discorsi, che parlavano della speranza che qualcuno arrivasse lì, a Possiris, la seconda città per importanza del nuovo mondo; altri parlavano di un esperimento, un test.
Arrivato alla sua fermata, scese dal vagone, raggiunse una panchina e lì seduto si mise a consultare i giornali su una console pubblica. Rimase senza fiato: il governo aveva deciso di promuovere ripristino e integrazione delle zone abbandonate, luoghi distrutti in cui l’umanità, nel suo disperato cammino in cerca di un rifugio dai pericoli da lei stessa creati prima di fondare le città degli Stati Unificati, era riuscita a stanziarsi e sopravvivere. Dove si era continuato a vivere come in passato, assassinando il pianeta e vivendo in città decadenti e iperinquinate.
Secondo il piano annunciato, alcune persone di quella realtà sarebbero state accolte in numerose città del nuovo mondo.
Nel tragitto fino al suo dormitorio non riuscì a pensare ad altro: umani dalle zone abbandonate sarebbero stati trasferiti nelle città degli stati unificati! Che aspetto avrebbero avuto? Avrebbero parlato la loro stessa lingua? Sarebbero stati capaci di convivere con la nuova civiltà? Capiva perché la gente continuava a fantasticare su cosa sarebbe successo se qualcuno fosse arrivato anche a Possiris; dato che la città era molto grande, altrettante erano le possibilità che le integrazioni sarebbero state fatte lì.
Entrato nello spazio comune dell’appartamento andò subito a cercare Anisha, una tra le compagne di dormitorio, per darle le nuove notizie. Come si aspettava, la trovò su un pouf con un libro sulle ginocchia: «Ani, hai sentito le nuove notizie?». La ragazza alzò gli occhi dal volume e non fece a tempo a dire che no, non aveva sentito nulla, quando con un gran trambusto arrivò Eileen: «Ci puoi scommettere! Non si parla d’altro, a scuola. Chissà come fanno a vivere, nelle zone abbandonate! Oh, spero proprio che possano vedere la differenza, arrivando da noi. Sai, per noi è normale questa vita in simbiosi con il pianeta, ma per loro…». Con un sospiro prese un bicchiere di succo al frutto della passione e aggiunse: «Non vedo l’ora di incontrarne qualcuno, ho un sacco di domande da fare!». Anche Goodwin, l’ultimo dei compagni d’appartamento, disse che pensava esattamente la stessa cosa e non riusciva a concepire uno stile di vita diverso da quello stavano conducendo a Possiris.
Il giorno seguente Renard andò a piedi in università, nella speranza di incontrare qualcuno di diverso, perché immaginava che gli abitanti delle zone abbandonate si distinguessero dalla folla. Le strade erano molto più affollate del solito quel giorno, probabilmente tutti avevano avuto la stessa idea. Renard scelse un itinerario più panoramico del solito: rimanendo sul tragitto consueto, con tante persone in giro, sarebbe stato come cercare il classico ago in un pagliaio. Le strade della città avevano diversi livelli, alcune attraversavano palazzi, altre ancora costeggiavano parchi naturali. Lui optò per salire al livello più alto, da dove poteva vedere le cime dei grattacieli che luccicavano nella luce mattutina: avevano le forme più svariate ma il suo preferito, il Museo delle Scienze, era costituito da piani interamente costituiti di vetrate alternati a terrazzi dove piante fiorite coloravano lo spazio. Ogni volta che calpestava le strade, in realtà la principale fonte di energia della comunità, essendo pavimentate da pannelli solari, era fiero di abitare in una città del nuovo mondo: ogni cosa univa utile e dilettevole, sostenibilità e bellezza. Insomma, cosa mancava a Possiris? Oltrepassato l’edificio della banca, che ogni notte spegneva le sue luci in favore della fauna notturna, scese ai livelli più bassi per raggiungere l’entrata dell’università. Mentre camminava nel grande atrio che portava alle aule, uno spazio semiaperto in legno dove talvolta arrivavano pappagalli provenienti dal cortile, sentì altri studenti che non parlavano d’altro se non degli stranieri in arrivo. Le loro domande erano le stesse che si poneva lui: il clima era elettrico, come se la ricerca delle persone delle zone abbandonate fosse diventata una caccia al tesoro.
Al termine delle lezioni Renard andò a lavorare: faceva il barista in un locale situato nel quartiere degli artisti. Anche se sperava tanto di vedere qualche viso nuovo almeno lì, non incontrò nessuno degno di nota.
Tornato a casa, cenò e accese il computer: nulla di eclatante nemmeno tra le notizie locali, il premio per l’invenzione più sostenibile dell’anno era andata a un tale che aveva progettato un sistema di monitoraggio dei coralli che agiva dalle zavorre delle città galleggianti. Eileen però, che sapeva cercare molto meglio di lui, irruppe in camera sua mostrandogli trionfante un video postato sui social: un ragazzo della loro età, apparentemente normale, castano e di statura media, camminava per la strada; a un certo punto la blogger che aveva postato il video gli si era avvicinata e gli aveva chiesto ad alta voce se aveva per caso buttato l’incarto di una caramella in uno dei cestini riservati ai rifiuti in vetro. Il ragazzo si era girato spaesato balbettando parole di scuse: non aveva ancora imparato tutte le norme di Possiris, era lì da poco. Questo era bastato per riconoscere in lui un forestiero venuto dalle zone abbandonate: in tutti gli Stati Unificati le disposizioni per i rifiuti erano le stesse. La ragazza che lo aveva riconosciuto aveva quindi fatto un grido di gioia: «Allora sei uno dei nuovi arrivati!». In breve tempo attorno a loro si era radunata una folla, ma la registrazione si interrompeva a quel punto. Renard ed Eileen parlarono concitatamente del nuovo arrivato per alcuni minuti, poi andarono a dormire. In breve tempo il video diventò virale: apparentemente, era l’unico che mostrava qualcuno proveniente dalle zone abbandonate.
Il pomeriggio del giorno dopo Renard era sul lavoro quando dalle porte a vetro del bar entrò un giovane dal fare circospetto. Guardò in giro: le panche separate da vasi di piante, i tavoli bianchi e le stampe appese alle pareti; si sedette ad un tavolo e iniziò a sfogliare il menù. Quando Renard gli si avvicinò per prendere l’ordinazione, gli sembrò di aver già visto quel volto. Quando gli portò i dolci all’ananas si rese conto di chi fosse: era proprio il ragazzo del video, quello venuto dalle zone abbandonate. «Sei tu il nuovo arrivato?» gli chiese «Come ti stai trovando qui a Possiris?» negli occhi del ragazzo balenò il lampo di un sentimento che Renard non riuscì a decifrare. «Ehm, s-sì» balbettò «sono io…».
Tutti gli altri clienti del bar, in un attimo, lo circondarono, tempestandolo di domande sulla sua vita passata, su che effetto gli facesse essere in una città sostenibile come Possiris, e tante altre ancora. Renard fu messo da parte dall’affollarsi dalle persone che raggiungevano quel tavolo, compresi gli altri dipendenti del locale, e non riuscì più nemmeno a capire quando il giovane fosse uscito. La sera, a casa, vide che le notizie su di lui si erano moltiplicate: ormai era la persona più conosciuta nella città. Stando a quanto dicevano i giornali, si chiamava Domenico.
Qualche giorno dopo Renard stava passeggiando in uno dei tanti parchi della città quando, su una panchina un po’ nascosta da un arbusto in fiore, vide di sfuggita qualcuno coprirsi il volto con le mani. Avvicinatosi meglio vide che era Domenico, e stava piangendo.
Non osò avvicinarlo, ma rimase scosso. Tornò in dormitorio e rifletté a lungo. Perché il ragazzo piangeva? Dopotutto era arrivato in una città ideale, dove tutto era perfetto e tutti erano soddisfatti della propria vita. Solo mentre stava per addormentarsi ebbe una folgorazione: Domenico era stato trattato come un fenomeno da baraccone. Si mise a sedere sul letto. Certo! Fin dal suo arrivo era stato trattato come un diverso, una stranezza; per tutti era stato solo un motivo di curiosità e non una persona come gli altri, che ha bisogno di supporto, di amici, di affetto. Il lampo nei suoi occhi che aveva visto al bar era paura. Pensandoci bene, Possiris era ben lontana dall’essere perfetta: riusciva a rispettare la terra, l’aria e le acque, ma non le persone.
Qualche giorno dopo, verso l’orario di chiusura del bar, Renard vide le porte a vetri del bar aprirsi. Entrò Domenico, che chiese gli stessi dolci all’ananas della volta precedente. Nel bar non era rimasto nessuno e, quando il ragazzo si preparava a pagare la sua consumazione, raccolto tutto il coraggio che aveva, gli disse: «Ti abbiamo accolto in una città convinta che la perfezione stia soltanto nel rispetto dell’ambiente, e non nell’umanità e solidarietà degli abitanti. Ti chiedo scusa per come sono stato nei tuoi confronti, ti ho trattato come si può trattare un oggetto, e mi sento mortificato per questo. Permettimi di ricominciare. Mi chiamo Renard».
Domenico sorrise: «Io sono Domenico».
«Ti va di fare un giro per la città? Ho visto che stavi guardando il poster del ponte delle dieci rose, ti ci posso portare se vuoi.»
«Ma ho visto che è in una zona vivace, non sarà un problema se vengo riconosciuto?»
Renard ci pensò su, poi dalla tasca prese un cappello e lo porse a Domenico: «Mettitelo, con il nome di un festival locale nessuno penserà che non vieni da qui» lui ci pensò un attimo e poi lo indossò: «Andiamo al ponte delle dieci rose allora».
Per la strada Domenico sembrava riflettere su qualcosa; Renard guardò di sfuggita i suoi occhi che più che marroni tendevano al giallo e gli chiese: «Se c’è qualcosa che non sai, chiedi pure, non farti problemi» l’altro stette in silenzio, meditando ancora sulle parole, poi: «Mi chiedevo da un po’, Possiris è una città perfetta, forse anche troppo, sapete ancora scherzare?»