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Fascia 16-19
Verdesperanza

Se mi dovessero chiedere a cosa penso quando penso allo splendore, risponderei: Verdesperanza tutto attaccato! No, non è il classico slogan acchiappa-like del 21esimo secolo, è una città. La città. Ho avuto la fortuna di sognarla, di viverci per una notte e ammirarla nei miei pensieri
per tutti i giorni a seguire e sono pronta per raccontarla.

Innanzitutto non è bene parlare di “città”, poiché in quanto tale includerebbe una periferia, che a sua volta verrebbe associata per antonomasia a una lontananza fisica dal centro (quello che in una città in effetti conta di più) e dandogli, pertanto, una connotazione negativa. E’ meglio parlare di luogo, di posto, allora. In questo posto, a Verdesperanza, ricordo di esserci arrivata a piedi: non esistono auto e di conseguenza i suoi abitanti non soffriranno mai per il traffico. Ecco, forse, perché già dalla mattina non notavo musi lunghi o puzza di gas di scarico dei vari tubi di scappamento. Anzi, ogni cittadino che vedevo aveva un non so che in viso di diverso da quelli che incontro abitualmente quando vado in giro: era così placido e imperturbabile quasi da far paura. Quest’ultimo curioso particolare degli abitanti di Verdesperanza, probabilmente, fu quello che incuriosì di più la mia regione parieto-occipitale della corteccia cerebrale (generatrice di sogni) e mi incitò a continuare per quella strada. Strada che appariva confortante ai miei piedi come quando d’estate vagabondi scalzo alle prime ore dell’alba sull’erba appena tagliata. Strano, ma interessante, particolare è che ero proprio scalza e sull’erba! Anzi definirmi completamente scalza non sarebbe corretto, era come se avessi una specie di ciabatta molto sottile che copriva i miei piedi, che sentivo comunque liberi da ogni costrizione. Non voglio dilungarmi troppo ovviamente sui miei piedi, ma quella sensazione era molto strana, non saprei spiegare la comodità mista alla tranquillità che donava quel tipo di calzatura a me sconosciuta.

Proseguendo dunque su quella che non era una strada, bensì erba minuziosamente curata, mi addentrai con determinazione, superando l’insegna «Benvenuti a Verdesperanza», dipinta con attenzione su una tavolozza di legno marrone scuro, che faceva contrasto con la scritta di un colore acceso. Quello che mi si presentò davanti poi fu un vero e proprio capolavoro. Case prevalentemente costruite in legno e pietra
dai colori tenui, nessuna strada bitumata, solo percorsi in pietra per chi ama spostarsi con una bici o a piedi e… intorno soltanto la bella e straordinaria Natura.

Un panorama da far lacrimare gli occhi per lo splendore: la Natura finalmente aveva un posto dove stare senza timore di esser distrutta, un luogo dove gli abitanti costruivano in base alle sue esigenze non pensando unicamente alle loro. Le case erano state poste tra gli alberi ed enormi edere ne ricoprivano i muri e, dappertutto, tanta gente felice. Respirando a pieni polmoni quest’aria diversa, mi avvicinai a uno dei tanti abitanti.

Notai in primo luogo il suo sorriso, inspiegabile per me perché credo fosse mattina e, onestamente, chi è che sorride di mattina? Poi incominciai a studiare il suo outfit, che consisteva in un semplice pantalone di lino e una camicetta del medesimo tessuto e (so che può sembrare assurdo) la prima domanda che venne spontanea alla me del sogno fu dove avesse acquistato quei capi. Con una gentilezza disarmante mi spiegò con cura la provenienza dei suoi indumenti: egli stesso aveva una piantagione di lino, da cui proveniva il tessuto degli abiti che aveva indosso, che colorava grazie all’immersione in acqua di alcune piante che macerando rilasciavano delle bellissime nuance e impregnavano le fibre del tessuto che, fatto asciugare all’aria aperta, tagliato e cucito permetteva di ottenere, al termine della lavorazione, il suo pantalone e alla sua camicia.

Gli chiesi se vendesse queste opere d’arte home made e sembrò in un primo momento quasi offeso dalla mia domanda, poi risvegliandosi un attimo dai suoi pensieri mi invitò a camminare con lui in silenzio. Io non capii, ma lo seguii. Arrivammo proprio alla sua piantagione di lino, si fermò e mi spiegò che ciò che era a terra non era suo, era della natura e che l’essere umano in realtà non è proprietario di nulla, neanche del proprio corpo, perché dunque vendere qualcosa che non ci appartiene?

Continuò, poi, dicendo che bisognerebbe sentirsi privilegiati e ringraziare ogni giorno di vivere su una terra che offre dei prodotti così belli e pregiati e chiedere di pagare è forse l’offesa più grande che si può recare ad un abitante di Verdesperanza, dove non esisteva la moneta.

Penso che tra tutto ciò che avevo visto finora, niente mi sconvolse tanto quanto l’assenza del denaro! Pensai che, in effetti, non avevo visto nessun mendicante per strada, che tutti avevano quell’aria quieta e pacata data dalla consapevolezza di poter vivere serenamente, che sembrava fossero tutti una famiglia senza differenze sociali fornite automaticamente da scarpe costose (seppur di svariati colori tutti avevano calzature simili), vestiti di marca (i vestiti erano pressoché uguali poiché fatti da loro stessi) o “macchinoni” proprio sconosciuti in questo luogo che si poteva attraversare al massimo su una bici.

Risvegliandomi poi dai miei pensieri, grazie alla mano del mio interlocutore che svolazzava davanti ai miei occhi per attirare la mia attenzione, mi ricordai che una cosa, a mio avviso molto importante, mi era sfuggita: chiedere il suo nome. Con stupore scoprii che a Verdesperanza il cognome non serve, ma ciò che caratterizza i vari individui che vi abitano è il loro nome e la loro indole. L’assenza di cognome mi riportò, allora, a quel senso di famiglia che li accomunava e che non smetteva di stupirmi.

Ah, comunque il suo nome era Angelo!

Angelo, notando il mio stupore e capendo che il luogo dal quale provenivo non era indubbiamente Verdesperanza, mi volle mostrare un’infinità di posti del suo straordinario mondo, ma, per il resto, non una domanda fuori luogo, non un’espressione facciale diversa dalla sua solita connotata dalla gentilezza lo tradì mai, anche dopo aver scoperto che non ero una di loro, ma una straniera: non si può immaginare quanto mi confortò quell’aspetto di Angelo (che poi scoprii essere tipico di tutti i Verdesperanzesi) perché è una fortuna vivere in una città priva di pregiudizi dove l’unica cosa che conta è il desiderio di inclusione, vero?

Il mio tour in giro per questo posto meraviglioso iniziò in quello che da lontano pareva esser un parco giochi, bizzarro fu poi scoprire che era sì un parco giochi, ma per adulti, o meglio sarebbe dire che era un parco giochi per ogni fascia d’età, da zero a infiniti anni ed era in ottime condizioni e pieno pieno di gente. Gente che rideva, scherzava, forse si conosceva per la prima volta, che correva, che dondolava sulle altalene, senza distinzione d’età. Angelo mi spiegò che quella era solo una piccola “attrazione” di quello di cui disponeva questo paradiso utopico: biblioteche immense, luoghi silenziosi, ma anche rumorosi per chi ama la confusione, posti dove si impara a recitare, a ballare, a cantare o suonare: ogni minimo angolino di Verdesperanza aveva una storia, una vita e un futuro.

Tutti negli occhi avevano un’energia spropositata, così come era spropositato il loro senso di responsabilità per il futuro e il desiderio di migliorare anche la cosa più impensabile, più piccola alla quale nessuno nel nostro mondo, invece, farebbe caso. Ecco perché forse c’era una mescolanza infinita di persone, che si combinavano tra di loro in perfetta sintonia, persone di cui non si notava il colore, i vestiti firmati o il sesso, ma semplicemente il cuore, l’indole, l’animo. Tutti accumunati da una sola cosa: l’amore per la natura, di conseguenza per loro stessi e per il prossimo.

Lì non esistevano il caro bollette, le guerre o persone oppresse da regimi disumani. Il caro bollette non sussisteva dal momento che non si batteva moneta e, sfruttando molto l’energia solare, non causavano problemi di nessun tipo alla natura. La guerra, beh, forse non avevano coniato neanche questo termine, proprio poiché non ne avevano bisogno! Non c’erano veli che soffocavano teste fino ad ucciderle, perché nessuno poteva decidere per l’altro: ogni essere umano deve far riferimento solo ai suoi diritti sacri e inviolabili.

Ci fu solo un problema in tutto questo: poi mi svegliai!

Pubblicato: 23 Gennaio 2023
Fascia: 16-19
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