«Novantasette! Novantotto! Novantanove!… Cento!» L’urlo risuonò per tutta la grotta illuminata soltanto dalla centesima fiamma che scagliai. Mi ero allenato per cinque anni senza sosta, in questo antro buio vicino al villaggio che mi accolse quando persi casa. Ero finalmente pronto a vendicarmi di quei tre che mi avevano portato via tutto quello che avevo. Ricordo ancora lucidamente il momento in cui la lama trapassò mio padre da parte a parte, e quando mia madre mi protesse con tutte le sue forze per permettermi di fuggire. Ma ciò che era maggiormente impresso nella mia mente con assoluto odio era la crudeltà di quella donna e l’inumanità degli altri due. Ancora sentivo divampare in petto una tale furia che tutta la grotta si illuminò di rosso per via delle mie corna.
«Aziel, il pranzo è pronto!»
Improvvisamente tutta la rabbia si calmo grazie alla voce di Lux, che correndo verso la caverna mi chiamava.
«Arrivo!» le urlai sorridendo.
Scesi la montagna e la raggiunsi e lei tutta sorridente mi domandò: «Sempre ad allenarti tu, vedo».
Dopo un attimo di silenzio lei riprese: «Sbaglio o le tue corna sono più rosse?».
«Tu dici?»
«Sì.»
Dopo pranzo iniziai i preparativi per la partenza: avevo intenzione di lasciare il villaggio la notte stessa. Calato il buio, uscii di casa silenziosamente e lasciai una lettera per avvisare Lux e la madre della mia partenza. Non volevo metterle in pericolo e farle assistere a un massacro.
Per prima cosa dovevo cercare informazioni sui miei tre obbiettivi. Usai un cappuccio per nascondere le corna e chiesi a un mercante, che si avvicinava al villaggio, delle informazioni. Venni a sapere che uno dei due uomini era stato nominato da poco signore di una cittadella a nord e dopo un paio di giorni raggiunsi il luogo. Era lo specchio del suo marciume: la maggior parte delle persone era povera, mentre i nobili ricchi se ne stavano beati nel castello e opprimevano i più deboli. Volevo andarmene il prima possibile, perciò attaccai la stessa notte del mio arrivo. Entrai nel castello da una torre, stando attento a non farmi scoprire dalle guardie. Attraversai il corridoio fino a raggiungere la stanza di quel maledetto. L’ansia mi pervase dalla testa ai piedi, ma mi feci forza e attraversai quella porta. Lui dormiva beato, avrei potuto ucciderlo in quell’istante, ma volevo delle risposte. Lo legai al letto, insonorizzai la stanza con una magia e lo svegliai. Lui dalla paura gridò: «Chi è?».
«Io, ti ricordi di me?» risposi togliendomi il cappuccio che nascondeva le corna rosse.
«Maledetto!… Ma che?» disse cercando di muoversi inutilmente mentre le corde lo stringevano e prima che aprisse bocca per chiedere aiuto dissi: «Non sprecare fiato per chiamare le guardie: ho reso la stanza insonorizzata con un incantesimo».
«Quelle corna… sei il figlio dei demoni della collina?»
«Esatto. Adesso dimmi: perché hai ucciso la mia famiglia?»
«Il re.»
«Il re?»
«Sì, il re della capitale. È lui che ci ha ordinato di farlo. Ora ti prego lasciami.»
«Non ancora. Prima dimmi dove si trovano gli altri due.»
Lacrime avevano iniziato a scorrergli sul viso. «Loth è morto di malattia, Reyna è nella capitale. È diventata la guardia del corpo del re. Adesso che ti ho detto tutto, ti prego.» Singhiozzava mentre parlava. Era uno spettacolo pietoso. Il solo pensiero che questo essere avesse ucciso la mia famiglia mi faceva ribollire il sangue.
«No» risposi.
«Ti scongiuro risparmiami. Ti darò soldi, potrai avere tutto quello che desideri.»
«Soldi?» Con quella frase la mia pazienza raggiunse l’apice.
«Sì, soldi. Ti posso anche dare una parte del castello.»
«Mi spiace, ma io non voglio denaro. Cerco vendetta.»
Detto questo mia avvicinai alla finestra e con un incantesimo feci partire una scintilla dalla mano. Le fiamme iniziarono a divampare nella stanza.
«TI PREGO!» urlava. Lo guardai mentre uscivo, pensando che le sue grida potessero affievolire il mio dolore. Non provai nulla, nemmeno un minimo sollievo. Anche il sapere della morte di quell’altro non mi aveva fatto effetto. Uscito dalla cittadella mi voltai a guardare il castello in fiamme e poi feci subito rotta per la capitale.
Arrivai dopo qualche giorno in tarda mattina alla periferia della capitale, separata dalla zona più ricca con delle mura e dove al centro della città si ergeva il palazzo reale. Se nella cittadella il divario tra ricchi e poveri era enorme, qui lo era mille volte tanto: mentre all’interno delle mura i ricchi si divertivano, bevevano e festeggiavano, qui le persone cercavano ogni giorno di sopravvivere, arrivando anche a uccidere per un pezzo di pane.
Varcate le enormi porte ed entrato nella parte interna della città, iniziai a cercare informazioni sui miei due ultimi obbiettivi: quella dannata donna e quel miserabile di un re. Venni a sapere che nessuno aveva la minima speranza di avvicinarsi al re per via della sua guardia del corpo. Si diceva che fosse talmente forte che avrebbe potuto uccidere un drago in soli tre colpi. Analizzai il palazzo: ogni ingresso era sorvegliato attentamente, il re era sempre affiancato dalla sua guardia e il tetto era l’unica parte un po’ scoperta.
Entrai col favore della notte. Mi arrampicai fino a raggiungere il tetto e da lì entrai, facendomi strada di stanza in stanza furtivamente, mettendo al tappeto quasi tutte le guardie perché non interferissero. Arrivato davanti alla stanza del re mi colpì una terribile ansia: potevo sentire il cuore risuonare in tutto il corpo e respiravo con difficoltà. Mi diedi due schiaffi per calmarmi e mi dissi: «Forza. Dopo questo sarà tutto finito.» Ripreso coraggio entrai.
«Chi è?» gridò la donna che stava davanti al re.
«Io» dissi mostrando le corna nascoste dal cappuccio.
«Uno schifoso demone osa presentarsi davanti a sua maestà!?»
«Non solo, lo ucciderò pure.»
Scattai verso il re per afferragli la gola, ma prima che me ne accorgessi le mie gambe scattarono all’indietro per evitare un fendente.
«Oh? Sembra che il tuo istinto di sopravvivenza sia particolarmente forte» disse lei.
Dovevo stare attento o sarei morto. Feci fluire la magia nei miei pugni condensandola in fiamme e attaccai. Lei parò ogni colpo che le infliggevo, era impenetrabile, poi contrattaccò tagliandomi il ventre, ma per fortuna non era una ferita profonda. Così non andava, le ero inferiore in tutto, avrei perso.
«Sai mi sono ricordata di te e dei tuoi genitori. Quella donna demone era veramente patetica e l’altro era veramente penoso. Era uno spettacolo disgustoso», diceva mentre rideva, «però è stato divertente torturarli.»
All’improvviso la furia pervase ogni meandro del mio corpo: i miei occhi si iniettarono di sangue, dalle miei corna uscì fuoco e la mia vista si offuscò fino a che perdetti conoscenza.
Quando mi risvegliai la donna era accasciata a terra, i suoi occhi erano senza vita e nel ventre aveva un buco. Mi guardai il braccio cosparso del suo sangue che colava sul pavimento. Sentivo il corpo bruciare dalle ferite e capii che ero stato io a ucciderla. Mi voltai verso quel verme del re che mi guardava incredulo e terrorizzato. Mi avvicinai piano verso di lui e pronto a ucciderlo gli chiesi: «Perché?». Nessuna risposta.
«PERCHÉ! Ti ho chiesto perché!»
«Non ho… nulla da dire… a un lurido demone» disse tremando dalla paura.
Mossi la mano per finirlo, ma…
«Fermo!» Un lampo giallo si frappose tra me e lui.
«Lux?»
«Ti prego basta. Non fare la loro fine. Non voglio che tu sia un assassino» disse mentre le lacrime le scendevano dagli occhi.
«Tu, come hai fatto?» le chiesi.
«Il giorno dopo la tua partenza ho ricevuto il dono della magia di luce. Con questa è stato facile raggiungerti.»
«Scusa.»
«Non importa. Ora torniamo a c…»
Prima che potesse finire, il re la trapassò con una lama. Tentò di scappare, ma prima che uscisse presi la spada della donna e gliela lanciai, tagliandogli di netto una gamba. La rabbia riprese il sopravvento, ma rinvenni un momento prima di finirlo.
«Ma che cosa sto facendo!» Come potevo pensare a questo verme quando Lux stava morendo. Corsi da lei e la presi tra le braccia.
«Ti prego resisti!» la scongiurai con le lacrime agli occhi.
«Promettimi… una cosa» disse tossendo sangue.
«Cosa?»
«Non… ucciderlo. Hai già… sofferto abbastanza.» Con queste ultime parole i suoi occhi si spensero.
Presi il suo corpo tra le braccia e uscii dal palazzo. Incrociai il re che strisciava cercando di scappare. Ignorai il miserabile mantenendo fede all’ultima promessa di Lux e tornai al villaggio assieme a lei. Avevo perso di nuovo la cosa più cara che avevo, ma questa volta la colpa era mia.

