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Fascia 16-19
Vale la pena lottare

«Hai idea di cosa siano le guerre civili?» La voce dell’uomo giungeva roca e graffiata, molto probabilmente sporca e contaminata dallo scadente tabacco della campagna. «Ne ho sentito parlare, le guerre sono passate; non penso che qualcuno più le ricorderà». Il mio sguardo era rivolto verso il fiorito campo di fiori appena sbocciati, con ancora quella leggera e luminosa brina che rimase della mattina, gli occhi mi si riempivano di pura luce appena li volgevo verso di loro. «Non pensi che fossero, non so, un tratto caratteristico del nostro popolo?» Cercò di addolcire il suo tono affinché esso potesse risultare almeno un po’ persuasivo, parlava ma non prestava attenzione alla bellezza naturale che gli si stendeva dinanzi agli occhi. «Non riuscirei ad immaginarmi un mondo dove due popoli siano in conflitto, guardati intorno! tutto è in pace e armonia» La voce risultava ancora più energica e vivace ma poco controllata. «È triste non ricordarsi della propria storia». La serenità fra noi crollò e il silenzio pian piano riempì tutto l’ambiente che ci circondava, si udiva solo il dolce cantar degli uccellini e i ronzii delle vicine api; guardai l’uomo di fianco a me e con velocità lo squadrai senza pensarci troppo. La giacca sgualcita accompagnava pateticamente i pantaloni rovinati lungo la gamba, l’età che aveva non migliorava il suo aspetto esteriore e le rughe gli appesantivano ancor di più il marchiato viso; folte sopracciglia e grande naso aquilino con due nei che ne facevano da cornice, il sorriso gli si spegneva sul volto ma gli occhi del più bel verde smeraldo erano capaci di esprimere ciò che le parole non riuscivano, in lui vi era una grande frustrazione che trapelava dalle iridi come per fuggire da esse.

Nel momento in cui stetti per commentare la sua affermazione egli mi fermò: «Lascia che ti porti in un luogo molto speciale» Nonostante la sua età, nei movimenti era piuttosto veloce, subito si alzò e mi afferrò un braccio; si incamminò lontano dalla campagna dai mille colori per raggiungere la periferia ove tutto il mondo si era fermato a tanti anni fa. «Nonno, non c’è bisogno che tu mi trascini, so camminare»  ero consapevole del fatto che il mio umorismo potesse dar fastidio al diretto interessato ma quando udii un piccolo sghignazzo da parte sua mi si abbozzò anche a me la linea curva sul viso; l’uomo mi lasciò ma davanti a me trovai un ristorante con su scritto “Pub 2023”, la scritta mi ammutolì del tutto. Quel luogo esisteva da quasi mille anni, dallo scoppio della grande rivolta, e ciò mi sorprese. Io e mio Nonno vi entrammo e all’interno c’era un’insolita tranquillità. L’aria calda veniva sprigionata da un piccolo attrezzo poggiato in fondo alla sala rendendola un po’ più accogliente. Il bancone era rovinato da molteplici linee, incise in uno misero legno friabile. Osservai meglio il luogo che mi circondava ponendo attenzione sui tavoli ancora sporchi di cibo e alcool, disposti a forma di scacchiera alternando nero e bianco, risultando quasi ipnotici; le sedie richiamavano il medesimo stile un po’ come tutta la sala. Distolsi lo sguardo, le bottiglie di vetro mi attirarono e curioso le guardai una ad una, ricordavano tutte lo stesso colore: il verde cinabro. «Spero che un vivido racconto ti possa portare lontano nel tempo, piccolo mio». Tra le parole scorreva amarezza e malinconia per un periodo che, seppur negativo, era stato ricco di emozioni a cui la pace e l’armonia non potranno mai aspirare. 2023, poco prima della grande rivolta.

In un caldo giorno dei primi di aprile, lo stridio dei gabbiani si sentiva oramai ovunque e la sporcizia e la spazzatura si ergeva come un muro da ogni parte, ricordando un colosso; le strade erano colme di persone che con la testa china sui propri telefoni, calpestavano i rifiuti lasciati sui cigli dei marciapiedi. I pochi animali selvaggi, in una città stracolma di uomini, erano abbandonati a loro stessi, morenti tra una busta di plastica e un cestino che strabordava; la primavera perse tutto il suo vivido colore e la realtà lentamente si spense, cadendo nel misero grigio della decadenza. La fine era lì che aspettava solo che il grande momento arrivasse, alimentando il terrore e la paura; ma un grande boato sorprese la oramai ex-piazza. Sembrava di trovarsi in una guerra, i cittadini iniziarono a correre e bloccare tutte le vie di uscita, uno sopra l’altro; una maestosa rivolta travolse tutti coloro che si presentavano dinanzi alla strada, coinvolgendoli a partecipare e dare giustizia al mondo. L’intero globo, dal paese più povero a quello più ricco, era costellato da tutte le lingue degli uomini che invocavano il cambiamento e libertà da ogni male. La rivolta durò circa un lustro, senza mai fermarsi, ogni giorno era come se fosse il primo; di una ribellione così spietata e violenta raramente si ha memoria, ma che grazie a essa, l’uomo ha iniziato a comprendere l’importanza della propria terra. Tutto da quegli anni cambiò, l’umanità sembrava essersi risvegliata da un lungo sonno, e a mano a mano dalla fine della rivolta vennero sconfitti i più grandi mali del pianeta, causati dagli umani. La pace e l’armonia che prima erano solo una lontana speranza, in quel momento divennero realtà. Tutta l’umanità si sentiva in dovere di coalizzarsi per migliorare la propria terra, scoprirono la forza dell’unione e della collaborazione per un futuro più accogliente. La storia dell’umanità non ebbe mai un periodo di cotanta “humanitas” fra gli uomini, ognuno di loro faceva il proprio dovere affinché le generazioni future potessero provare la vera vita; intrapresero migrazioni in paesi in difficoltà con piani ecologici ed ecosostenibili poiché il desiderio di essere migliori si era insinuato in tutte le menti umane. Il mondo rinacque, la natura iniziò ad illuminarsi di tutte le sfumature dei colori esistenti, gli animali ripresero a vivere e tutte le specie a rischio tornarono ad essere libere e salve; La pace finalmente giunse e la vita non sembrò mai così bella e armoniosa da essere vissuta. … «Avete ancora tanta strada da fare». Immergersi nel passato porta con sé sempre una nota di dolore, e sul viso dell’uomo si poteva leggere ogni suo sacrificio. La vita odierna era diversa da quella di tanti anni fa, ma non ha ancora completa del suo splendore. Non si parlava di guerra e terrore da secoli, gli umani erano in simbiosi tra di loro e la sola idea di scontrarsi era impensabile; però tra i vicoli tetri e bui strisciava come un verme insidioso il male umano, che nonostante la grande rivolta, lui eri lì da parte pronto ad emergere come un vecchio ricordo doloroso.

Convincere tutta la popolazione a cambiare le proprie abitudini era difficile, soprattutto per chi aveva il peso della monotonia addosso. Molti uomini erano ostili verso la ripresa del mondo, scettici verso un cambiamento così grande, credendo in qualche teoria folle e di poco realismo; e loro si battevano ardentemente, trascinando paura e distruzione ovunque andassero. «Quando saremo veramente in pace?» La mia sembrava più una richiesta che una domanda, la accompagnai ad un mugolio sfuggente. L’orologio schioccò le sei del pomeriggio, il continuo ticchettio di esso faceva da sfondo ai miei frustranti dubbi che facevano rumore nella mia mente. «La nostra storia è in eterno cambiamento e bisogna ricordarla nel bene e del male, continua a credere nelle persone, puoi ancora fare tanto… non è mai troppo tardi». Il suo risultava un giusto rimprovero, ma sapevo che in realtà voleva che le sue parole fossero calde ed avvolgenti affinché potessero calmare il flusso amaro dei miei pensieri. Guardai fuori la finestra, ammirando la bellezza del crepuscolo appena accennato, ed era piacevole quando esso trasformava il verde brillante del prato perfettamente tagliato in un’infinità di colori briosi. Mi persi con lo sguardo ad inseguire la corsa di un piccolo coniglio tra i fili d’erba ancora freschi, correva e correva come se lo stesse facendo per l’ultima volta e spensierato ogni tanto si fermava a trangugiare qualcosa da poco adocchiata; non era solo, un batuffolo bianco della medesima specie lo raggiunse e insieme abbandonarono il verde, godendosi la loro libertà lontani da lì. Ciò mi fece pensare a quanto potesse essere maledettamente bella la natura. È passato circa metà secolo da quando mi venne raccontata della grande rivolta, e anche dall’ultima volta che parlai con mio nonno; da quel giorno credetti più che mai negli uomini e nella loro forza di andare avanti. Sono diventato un eroe, alimentando i cuori degli uomini per combattere anche l’ultimo briciolo di negatività del mondo, affinché l’uomo che mi ha insegnato la nostra natura potesse dall’alto essere fiero di ciò che avessi fatto. «Sono davanti a te Nonno, spero tu possa ascoltarmi, ho seguito le tue parole stampate nella mia testa. Non ho mai smesso di credere… ti ringrazio per avermi fatto comprendere l’importanza di combattere, spero tu stia bene». La mia voce è oramai rovinata dalla vecchiaia, tremolante e poco chiara ma mai spenta; tiro un lungo respiro e lascio un pacchetto di vecchie sigarette cadute in disuso ma che erano le sue preferite. Di fianco a me c’è mio nipote che mi stringe la mano, guardandomi con degli occhietti assonnati, e gli sorrisi. «Lascia che io ti racconti una storia, piccolo» lui ride e prendendogli la mano lo accompagno verso un Pub con un nome insolito, “Pub 2023”.

questo racconto ha partecipato al concorso Fictionforfuture
Pubblicato: 7 Maggio 2023
Fascia: 16-19
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