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Un’amante che non ti lascerà mai

Roma, 8 dicembre 2014 

No stop sign, speed limit, nobody gonna slow us down, like a whell gonna speen it, nobody gonna mess me around… I’m on the Higway to hell! Higway to hell!

«Scusa, me lo puoi timbrare?»

 Hey momma, look at me, I’m on the way to the promise land… I’m on the highway to hell! Highway to hell! Highway to hell!

«Giovane, non arrivo alla macchinetta. Per favore, me lo timbri il biglietto?»

Spensi a malincuore il lettore mp3, presi il biglietto della simpatica signora e mi resi conto di dove ero. Non sull’autostrada per l’inferno, come cantavano gli AC/DC, ma su un normalissimo 558, diretto alla fermata della metro. Ma forse non c’era molta differenza. Vettura semidistrutta, niente posti a sedere, pieno di stranieri e un’aria talmente viziata che mi faceva rimpiangere l’odore di fritto del cinese che avevo vicino poco fa, sceso con mio grande rammarico. Avevo fatto con quel giovane orientale un lungo pezzo di strada e avevo imparato a conoscerlo. Da quanto avevo capito spiandolo mentre chattava sul cellulare si chiamava Zhuan ed era fidanzato con una certa Camilla, una ragazza sorridente e carina nella foto del suo profilo di whatsapp, con la quale però al momento i rapporti sembravano un po’ tesi. Stavano infatti litigando animatamente riguardo agli apprezzamenti che il nostro Zhuan su Facebook aveva fatto a proposito di un’altra ragazza. Mi ero schierato per solidarietà con Zhuan, per quanto potesse contare il mio appoggio morale silenzioso e discreto. Naturalmente queste poche informazioni non mi bastavano, sono un ragazzo piuttosto curioso. E allora durante il viaggio avevo iniziato a fantasticare sulla sua vita. Sul suo lavoro in un ristorante cinese, da qui l’odore di fritto, e sulla tormentata storia d’amore con Camilla. Poi sul più bello, Zhuan era sceso dall’autobus, forse anche stufo che continuassi a spiare il suo cellulare, togliendomi la possibilità di indagare ulteriormente. Adesso mancava poco alla fine del viaggio e senza nemmeno rendermene conto cominciai a pensare alla ragazza che mi stava aspettando. Le avevo chiesto di accompagnarmi a comprare un nuovo cd in un negozio che adoro, la musica infatti è una parte essenziale della mia esistenza, e sorridevo tra me e me pensando a cosa sarebbe accaduto di lì a poco con lei. La verità è che mi ero innamorato e quel pomeriggio volevo proprio farglielo capire, approfittando dell’uscita da soli. Già me la immaginavo bellissima come sempre, con i lunghi capelli neri mossi, vestita di azzurro: la donna dei miei sogni. Pregavo che l’autobus si muovesse o l’avrei fatta aspettare, cosa che non mi sarei mai perdonato. Proprio sulle mie fantasie, con in sottofondo le note di Shine On You Crazy Diamond dei mitici Pink Floyd, le porte del 558 si aprirono e arrivai a destinazione. Ripassai il mio piano di azione per la centesima volta e scesi con la speranza di un lieto fine. 

Roma 12 dicembre 2014 

Facciamo bene a stare insieme stasera, facciamo bene perché è sabato sera, facciamo bene, facciamo bene perché, è l’occasione e c’è l’atmosfera! Sì, sì, sì facciamo bene perché, siamo vivi, domani chi lo sa… 

Sorrisi e mi sfilai le cuffiette, ero felicissimo. Potrei dire che non mi ero mai sentito cosi felice, una gioia indescrivibile. Stavo tornando a casa dopo essere stato al centro di Roma con lei. Dovete sapere infatti che quell’8 dicembre l’uscita era andata alla grande e ora io e lei stavamo insieme e ci vedevamo praticamente ogni giorno. Come ho detto, eravamo andati al centro della nostra meravigliosa Roma, una città che contrariamente a quanto possiate immaginare non conosco molto. A volte infatti non è detto che basta abitare in una città per conoscerla bene, ed era il mio caso. Non amavo girare molto per il centro, un po’ per pigrizia, un po’ perché non conoscendo bene la zona avevo paura di perdermi. Oltretutto c’era pure la difficoltà notevole di girare con i mezzi, che rendeva ogni piccolo spostamento un’avventura. Fortunatamente però lei mi aveva guidato e finalmente avevo potuto conoscere meglio la mia città. Quello che avevo scoperto era incredibile: vivevo nella più bella città del mondo e mi ero dimenticato di cose come il Pantheon, Piazza Navona, Piazza di Spagna. Avevo rivisto con emozione il Colosseo, Fontana di Trevi e altre meraviglie per le quali i turisti stranieri vengono apposta da ogni parte del mondo. La cosa mi aveva talmente colpito, che avevo cominciato a riflettere insieme alla mia graziosa compagna sulle difficoltà che dovevano affrontare i turisti per visitare Roma. Non solo gli stranieri, ma anche i romani stessi che, come me, abitavano nelle periferie, distanti dal centro storico. Ho girato molto l’Europa e avevo abbastanza elementi per tentare un confronto, nel quale, dispiaceva dirlo, Roma usciva sconfitta. Infatti all’estero si restava colpiti dal funzionamento “normale” dei mezzi pubblici: autobus che arrivavano in orario, metro puntuali e vuote nonostante il numero altissimo di persone che le usava quotidianamente. A Roma invece bisogna aspettare, si viaggia ammassati; un continuo disagio. Oltretutto, sono vetture vecchie, lente e malridotte. Per non parlare del fatto che nessuno fa i biglietti e mancano i controllori. Così al Comune mancano anche le entrate per poter migliorare il servizio. Sembra strano, ma parlavamo di questo io e lei seduti su una panchina a Piazza Navona. Ma nonostante tutti i problemi, tutti i disagi, eravamo felici di vivere a Roma. Perché è la città più bella del mondo, una città che anche se pensi di conoscere bene, sa sempre regalarti esperienze nuove, scorci nuovi, paesaggi nuovi. Che poi era questo secondo noi il motivo per cui quasi nessuno protesta in modo violento: basta dare un’occhiata al paesaggio fuori dal finestrino e di colpo ti passano la tristezza e la rabbia. Rimani soltanto tu e magari quei resti di più di duemila anni fa che ancora sono in grado di parlarti, di colpirti. Inoltre, avevo compreso un’altra cosa, seduto su quella panchina. Avevo capito per la prima volta che la vera fortuna era vivere quella città accanto alla persona che amavo. Insomma, alla fine del pomeriggio, seduto sul 213, tornavo a casa soddisfatto. Finalmente mi ero reso conto pienamente della bellezza della mia città, dopo tanto tempo mi sentivo in pace con essa, e mi accorsi che quel giorno era stato l’inizio di un nuovo tipo di rapporto con Roma. E se ero arrivato a questo, dovevo solo ringraziare lei, la ragazza dei miei sogni, la mia Musa. 

Roma 3 gennaio 2015 

If you go If you go your way and I go mine, are we so, are we so helpless against the tide? Baby, every dog on the street knows that we’re in love with defeat, are we ready to be swept off our feet, and stop chasing every breaking wave? 

Piangevo, e niente mi poteva consolare, nemmeno gli U2. Vuoto, distrutto, triste, così mi sentivo. Lei se ne era andata quella mattina, senza una spiegazione, lasciandomi solo. Mentre piangevo, mi tornavano in mente tutti i momenti passati insieme e al pensiero che non sarebbero tornati più piangevo ancora più forte. Quella volta non mi trovavo su un autobus, ma a casa mia. Non avevo nessuna voglia di uscire, nessuna voglia di fare altro se non piangere, piangere e piangere. Con il passare dei minuti, iniziavo a tormentarmi. Ripercorrevo i momenti passati con lei, tutte le nostre uscite, alla ricerca di un mio errore, domandandomi se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Ma dopo un po’, mi arresi all’idea che forse io non c’entravo nulla, che era stata semplicemente una sua decisione. Fui tentato di mandarle un messaggio per chiederle spiegazioni, ma avevo desistito. Sarebbe servito solo a peggiorare la situazione, a stare peggio probabilmente. Come suggerivano i miei amici, che avevo avvertito non appena successo tutto, la cosa migliore sarebbe stata dimenticarla subito, fare finta che non fosse mai entrata nella mia vita. Ma non potevo farcela ancora. Lei era stata troppo importante per me, la amavo troppo, non potevo dimenticarla. Non così presto. Sorrisi tristemente e mi rimisi le cuffiette, sperando nella salvezza della musica. 

Roma 25 febbraio 2015 

E la vita continua, anche senza di noi, che siamo lontani ormai, da tutte quelle situazioni che ci univano, da tutte quelle situazioni che bastavano…

Ero d’accordo con Vasco, come sempre d’altronde, la Vita, quella vera, va avanti. Certo i ricordi restavano, ma la Vita andava avanti, non si fermava per così poco. Dopo due mesi, dopo tanto piangere e disperarmi, in qualche modo ne ero finalmente venuto a capo. I miei sentimenti verso di lei potevano essere riassunti con i versi di Petrarca: “Ti odierò se posso. Altrimenti ti amerò mio malgrado.” Una frase che mi aveva profondamente colpito, perché riassumeva esattamente il mio stato d’animo: non riuscivo a odiarla, le avevo voluto troppo bene, e quindi mi limitavo ad amarla controvoglia e a parlarle il meno possibile, per non riaprire una ferita appena rimarginata. Ma quella esperienza mi era servita. Guardando attraverso i finestrini dell’autobus, avevo capito che se anche ero solo, in realtà non lo ero davvero e non lo sarei mai stato. Avevo Roma. Che per tutti quegli anni mi era stata vicina in silenzio, mi aveva circondato col suo amore disinteressato. E adesso che me ne ero reso conto, non l’avrei trascurata più.

Pubblicato: 1 Giugno 2021
Fascia: 19+
Commenti
È una bella dichiarazione d'amore per la propria città, per il luogo dove si è nati e che, spesso, non si conosce bene, proprio come accade al protagonista.
16 maggio 2023 • 13:29