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Fascia 16-19
Una vita bicolore

Sola e tutta assorta nei miei pensieri, contendevo la mia sorte a due opposti destini. Da un lato c’era la possibilità di accasciarmi e dimenticare le parole di ghiaccio di papà:
«Sei stato un errore, un lampo a ciel sereno. Chi mai avrebbe pensato che avresti portato con te tutti questi problemi, ora ti porto da un oculista, poi da un altro, e no, nessuno vede nulla di strano nei tuoi occhi, nessuno riesce a guarirti forse solo perché il problema è nella tua testa. Ma chi vuoi che spenda altri soldi per questa cretinata, io ti porto direttamente dallo strizzacervelli e così forse smetti di vederci solo bicolore. Chi credi sacrifichi la propria felicità a causa tua e dei tuoi vizi? Baciami pure i piedi, che tuo nonno al mio posto ti avrebbe mandato già al manicomio, è un vero peccato che non ci sia più».
E lo schiaffo, quello molto doloroso, seguito dal mio congedo in camera, dopo aver sbraiatato «Io dei tuoi soldi non ne voglio sapere nulla, me li guadagnerò da sola» la porta sbattuta, semplicemente il sigillo della mia promessa. Si aggirava per tutta la stanza questa aura di morte e angoscia, e io per quanto affezionatissima al mio caro letto decisi di alzarmi di soppiatto, con tutte le mie forze, riunite in quest’unico ultimo sforzo di andarmene, o almeno di avvicinarmi alla finestra della cameretta cosicchè mi potessi sporgere finalmente per vedere anche un infimo spiraglio di luce. Non avevo nemmeno idea allora, di cosa fosse la luce, o almeno me ne avevano parlato sì, i miei amici che la percepivano: non era per niente difficile descriverla, semplicemente senza di essa di notte non si poteva vedere nulla, ed era l’elemento caratterizzante del giorno, il bagliore che rinvigoriva i corpi e riaccendeva i cervelli a riposo. Ma il mio cervello non aveva praticamente mai conosciuto il riposo e per rinvigorire il mio corpo, be’ – 3 serie di flessioni e addominali, 30 minuti di corsetta – e l’energia e il vigore venivano da sé, per non contare quelle volte in cui addirittura abbondavo, così bella era la sensazione di dimenticarsi per quanto più tempo possibile cosa potesse mai essere questa luce, che i miei occhi non distinguevano così chiaramente, poichè riuscivo a vedere le cose solo attraverso due colori: il bianco e il nero. Non c’era modo di estinguere il nero, né tanto meno di cancellare degli spazi bianchi, quindi la mia vita prescindeva continuamente dalla combinazione di questi due colori. Se volevo esprimere un qualunque parere, a scuola o in pubblico che fosse, non potevo farlo se non usando il colore più evidente agli occhi di tutti, e cioè il nero, e questo suscitava certamente scalpore. Le persone non riuscivano a capire che con tutti i colori a loro disposizione io non avrei mai fatto un tale torto a me stessa, e cioè quello di palesare ogni sentimento o giudizio che ero chiamata a esprimere in una data circostanza, anche perché tutto sommato ho sempre avuto amor proprio; Alessandra, mia amica da anni, è stata la prima persona a cui ho esternato il mio disagio, perché vedeva con quanta indifferenza sceglievo le combinazioni pastello che mi prestava, quando ci truccavamo, un’indifferenza troppo marcata per una persona che semplicemente avesse un bizzarro gusto – combinavo addirittura il blu col marrone, per intenderci  – e questo non si addiceva alla gioia che sprizzavo da tutti i pori come modo di affrontare ogni singola giornata. «Una persona così» mi riferì poi lei «combinerebbe piuttosto colori come il giallo, il rosa fluo, ma mai colori terra»; ma io continuavo a non capirci nulla di tutte queste tonalità e dei legami intrinsechi che una persona poteva vederci con la mia personalità, così sputai il rospo, e in un fiume di lacrime le dissi che non c’erano per me che due colori: il bianco e il nero. «Non preoccuparti,» disse «questo non cambia nulla di quello che sei.» Ma presto questa alienazione a cui ero costretta, mi portò a rendere la luce la metafora della mia vita. Presto conobbi il dolore in tutte le sue varie declinazioni, e allora non ci fu spazio per nient’altro che per il nero, l’oscurità, mentre nella mia mente ogni ricordo veniva investito da una fitta nebbia, fino a che l’oblio inabissò ogni mio ricordo allegro e vivido rimasto. Il nero e il bianco si contendevano dunque anche le mie due dimensioni d’esistenza, quella reale e quella intellettuale o fantastica, e piuttosto che protendere verso l’una o l’altra, appigliandomi a quell’entità incolore che si chiama «essere», mi risvegliai nel buio pesto della mia tristezza, per cercare di ghermire la vitalità di cui ero stata deprivata, un po’ perché ero sempre stata una persona incolore, un po’ perché la vita è spietata e non ti fa sconti se sei più debole degli altri. E alla fine mi buttai verso la finestra, dinoccolata e quasi in uno scatto nervoso, e infine intravidi un qualcosa d’informe ma vorticoso, che non era proprio bianco ma forse una via di mezzo…
«Elisa! Elisa! Sei sveglia?» sentii una voce, e vidi tanti colori, prima nella mia immaginazione e poi riaprendo gli occhi riconobbi Alessandra. «Eli mi riconosci? Hai avuto un incidente in bici e dicono che ti abbia danneggiato il lobo frontale sinistro… cr-credevo che ti avrei persa. Stavi venendo a casa mia e… ti ho chiamata, forse hai sentito lo squillo… è colpa mia.» La riconobbi, nei suoi occhi smeraldo stillanti di lacrime, e mi commossi, abbracciandola rincuorata, già pensando ad articolare un discorso per esternarle la mia gratitudine, ma nulla potè frenare quelle parole spontanee provenienti dal mio cuore: «Grazie, Ale ora ci vedo, proprio come tutti, grazie a te potrò vivere come una persona normale… ti voglio bene e te ne vorrò sempre».
Sì, perché era questa l’alternativa a soccombere alle ingiurie di mio padre. Infatti quando il dolore che provo è troppo, lo porto in bici con me per poterlo condividere con la mia amica del cuore, e quella volta il destino volle che il dolore svanisse per entrambi e che l’amicizia e la vita trionfassero,come non è sempre scontato che vada.

Pubblicato: 23 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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