Avevo da poco compiuto trentadue anni quando nell’appartamento a fianco al mio, in un modesto palazzo non troppo lontano dal centro di Napoli, si trasferì una giovane mamma in attesa del secondo figlio. Ginevra, di appena sei anni, sfilò tempestivamente le chiavi da mano all’esausta Asia, che affaticata e vincolata dalle dimensioni del pancione, si accingeva ancora a salire l’ultimo gradino della ripida scalinata. Io, che era da sempre animata da un incorreggibile curiosità, non riuscì a fermare il mio cagnolino che svelò con successo alle nuove coinquiline un’inedita me, appena sveglia, che le spiava dal ciglio della porta. Furono queste le circostanze che spinsero me e quel ristretto nucleo familiare a legare nel corso degli anni successivi.
Asia era riuscita laddove io fallivo da una vita. La mia famiglia abitava da sempre a Bagnoli, che un tempo aveva goduto di un appellativo migliore di «periferia di Napoli». Mia mamma mi raccontava sempre come, ai suoi tempi, la vista della grande finestra della cucina non era ostacolata dagli impianti del nuovo stabilimento siderurgico, ma faceva brillare gli occhi alla vista di un mare sfumato in mille colorazioni di blu. Di quel mare io ricordo soprattutto il rumore, onde che si infrangevano sulla spiaggia che subiva il peso dello stabilimento, e l’odore, quell’aroma salino che al mattino si mescolava con il profumo del caffè. Il complesso industriale si era appropriato del quartiere nel 1905 ed era stato dimesso solo nel 1992. I dottori dicono che, molto probabilmente, respirare tutte quelle polveri sottili durante il mio sviluppo abbia contribuito alla mia presente impossibilità di avere un pancione come quello di Asia. Non posso avere figli. Solamente la piccola Ginevra riuscì a farmi sentire, e quasi rendermi, una sorta di madre nei suoi confronti. Sebbene non scorresse in noi lo stesso sangue, Ginevra ereditò da me una coinvolgente voglia di riscatto. Non ci mise tanto a capire che non avrebbe potuto ricevere la compagnia di una sorellina o fratellino acquisito, vista la mia situazione. Spinta da questa consapevolezza, già all’età di tredici anni, iniziò a interessarsi alle condizioni in cui versava il mondo. I suoi amici di classe la insultavano reputandola esagerata, quando a sedici anni preferiva passare le domeniche a raccogliere i rifiuti che affollavano le spiagge di Capo Miseno, piuttosto che andare a vedere le partite di calcio dei ragazzi di quinta. Proprio durante una di queste domeniche, mentre raccoglieva una bottiglietta di plastica, le si avvicinò Matias, un volontario che si era aggiunto da poco. Ginevra trovò finalmente una persona con cui condividere i suoi interessi. Io ci avevo visto lungo e non mi meravigliai quando l’anno successivo mi confidò che si erano fidanzati. Mi meravigliò, tuttavia, la passione che gli trasmise per la sfida personale che aveva intrapreso: risollevare la periferia di Bagnoli dalle macerie, quel luogo di cui tanto aveva sentito parlare e che sognava di rifarmi vedere con gli occhi di mia madre. A diciannove anni, iniziò la loro lotta per alleviare Bagnoli dall’occupazione dello stabilimento, che limitava la possibilità di costruire nuove strutture nel rispetto dell’ambiente. Ero con loro quando si presentarono alle porte del sindaco di Napoli per mostrargli il progetto a cui avevano lavorato per mesi. Ginevra, oratrice per eccellenza, riuscì immediatamente a catturare l’attenzione del primo cittadino che, seppure scettico riguardo alcune proposte, rivelò di voler prendere in considerazione il piano d’azione elaborato dai due giovani. Ricordo che quello fu un giorno di festeggiamenti. Tornammo a casa con una bella notizia e cinque pizze. Asia ed il piccolo Giovanni, di ormai tredici anni, erano felici e mangiarono con piacere insieme a noi, ma nessuno sarebbe mai potuto essere più orgogliosa di una figlia acquisita quanto me in quel momento. Ginevra aveva inizialmente intrapreso questa sfida per rendere orgogliosa una sfortunata vicina di casa, ma adesso la situazione stava prendendo una piega diversa: la sua tenacia avrebbe garantito un futuro migliore a tutti i giovani che risiedevano in quella piccola periferia sul mare. Non nascondo che gli anni successivi furono difficili ma, piano piano, i semi che Ginevra stava piantando iniziavano a dare i loro frutti. Il primo traguardo fu raggiunto quando venne finalmente aperto un parco giochi, che sfruttava un enorme distesa verde, i cui lavori erano iniziati molti anni prima e rimasti inconclusi a causa della mancanza di fondi. A soli ventidue anni Ginevra aveva dato prova della sua forza, mostrando alle persone che per anni avevano illuso i cittadini presentandogli una città del futuro che sarebbe per sempre rimasta nel passato a causa della loro mancanza di volontà, che il cambiamento non deve necessariamente rimanere un’illusione. Non solo gli abitanti della periferia, ma anche quelli della città, avevano aderito alla raccolta di fondi dimostrando la loro volontà di lasciarsi indietro una zona dominata dal buio della pece e di permettere al sole di tornare a splendere. L’apertura del parco risvegliò l’animo di molti cittadini facendogli intravedere uno spiraglio del possibile futuro che li attendeva. Infatti, dopo il parco, i cambiamenti si innescarono in una macchina che permise un veloce susseguirsi di innovazioni: venne costruita una rete di trasporto urbano all’avanguardia capace di collegare la periferia al resto della città; furono installati impianti che rendessero più efficienti l’illuminazione ed il riscaldamento degli edifici; vennero messe bici e monopattini elettrici a disposizione dei cittadini per promuovere l’utilizzo del trasporto pubblico sostenibile, riducendo il consumo di CO2; l’intera spiaggia venne riabilitata all’accoglienza di visitatori durante l’estate al fine di incentivare il turismo e, soprattutto, per permettere ai residenti di approfittare della bellezza della loro costa.
Ginevra e Matias erano divenuti una fonte di ispirazione per tutti i giovani cittadini del napoletano, anche dei compagni delle medie che per anni gli avevano reso la vita un inferno. La città assisteva per la prima volta a una comunità che si muoveva nella stessa direzione. Era come se tutti avessero messo in pausa, per un momento, le loro vite frenetiche e si fossero inseriti nella marcia verso il raggiungimento di un più alto stile di vita. Il sindaco estese, ben presto, il progetto che aveva avuto importanti riscontri a Bagnoli, al resto della città. Napoli era diventata più bella: piante e alberi, per anni inghiottiti dalla presenza di palazzi ed uffici, tornarono a colorare le vie più affollate di verde; le vecchie strutture, che intristivano anche i bambini più felici a causa della loro trascuratezza, vennero sostituite. Tuttavia, bisogna riconoscere che la ritrovata bellezza della città non dipendeva solo dal fattore estetico, ma soprattutto dall’odio e la violenza che sembravano aver abbandonato la metropoli. Uno ad uno, i cittadini avevano capito quanto fosse inutile far prevalere il disprezzo nella loro vita e quanto fosse più vantaggiosa una felicità condivisa. Ginevra, tuttavia, non considerava ancora completa la sua missione. Lo stabilimento siderurgico rimaneva l’unico ostacolo alla definitiva affermazione della metropoli del futuro. Per quanto forti e volenterosi, Ginevra e Matias non sarebbero mai riusciti nel loro intento da soli. Fu soltanto grazie all’appoggio ricevuto da tutta la città che Bagnoli si liberò definitivamente di quell’orribile edificio che ricordava un passato, non troppo lontano, in cui aveva regnato l’egoismo e l’individualismo. Dopo poco, si decise che quello spazio dovesse essere impiegato per un utilizzo migliore. Ad oggi, Bagnoli ospita il più grande centro di accoglienza per i migranti d’Italia. L’intera città è dominata da un ricchissimo intreccio di culture, uno spettacolo a cui nessuno si sarebbe mai sognato di assistere qualche anno prima. Tutti hanno cura l’uno per l’altro; ognuno è libero di promuovere le proprie idee; la vita è alimentata dall’energia positiva rilasciata dai cittadini.
Oggi Ginevra compie trentadue anni, l’età che avevo io al nostro primo incontro, e, nonostante non potrò mai farle nessun regalo più grande di quello che lei ha fatto a me, ho deciso di raccontare la sua storia per invogliare più persone possibili a seguire il suo esempio. La storia di una ragazza conosciuta per caso che mi ha cambiato la vita. Sì, la mia situazione resta uguale: continuo a non poter avere figli, ma Ginevra ha riunito l’intera popolazione in una grande famiglia dotata di affetto e armonia, in cui fatico a non sentirmi una madre biologica per i tanti bambini che accudisco tutto il giorno. In quanto famiglia, tutta la città è stata invitata al matrimonio della mia figlioccia e Matias che si terrà l’anno prossimo. Già immagino i suoi occhi celesti illuminati dal bianco del vestito e dai raggi del sole più splendente che Napoli abbia mai visto. Oggi pomeriggio, dopo aver soffiato sulle trentadue candeline, ha subito iniziato a raccontarmi dei prossimi progetti che aveva in mente. È inarrestabile. Ho salutato tutti e sono tornata a casa, la porta a fianco. Scrivo mentre sono seduta sul divano che ho spostato davanti alla grande finestra della cucina. È sera e il mare è sormontato da una vastità di stelle brillanti. Finalmente lo vedo. Il rumore delle onde e l’odore salino si uniscono alla percezione visiva, culminando in uno spettacolo meraviglioso.