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Avventura
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Fascia 13-15
Un uomo e un futuro

«Ci fu un uomo, molto tempo prima di ciò che c’è ora, che pronunciò una frase essenziale e importantissima per tutti quelli del suo tempo; nessuno gli credette e lo ascoltò: secondo me, se gli Uomini Passati l’avessero ascoltato, i miei incubi non si sarebbero avverati. Quest’uomo si chiamava Albert Einstein, uno scienziato famosissimo che, pieno di saggezza, aveva detto testuali parole: “non so quando ci sarà la terza guerra mondiale, ma so con certezza che la quarta si farà con i sassi”»  guardai gli occhi dei bambini, impauriti dall’inizio di quella conversazione, e decisi che d’ora in avanti ci sarei andato più piano con quegli scriccioli indifesi.

«Sapete che cosa sono le guerre mondiali, vero?» chiesi lanciando un’occhiata interrogativa alla maestra, che se ne stava in disparte nella classe incoraggiando gli alunni a rispondere di sì in coro.«Molto bene, allora non serve che spieghi l’affermazione di Einstein. Vi racconterò, invece, come si è svolta la storia dopo la terza guerra mondiale, come siamo arrivati fino a oggi, nella nostra comunità sostenibile, in simbiosi con la natura e gli altri esseri viventi. Vi racconterò la Storia Passata della nostra città. Siete pronti?» domandai, carico di aspettativa. I bambini risposero subito affermativamente, e dunque cominciai il mio viaggio nel Passato.

«Ero solo un bambino quando la prima bomba nucleare caduta a chilometri di distanza bruciò quasi interamente il mio piccolo paesino. Ormai in guerra si usavano solo quelle; e, per costruirle, i capi dello stato usavano i soldi del popolo. Mio padre si trovava al fronte con mio fratello; e mia madre era morta nello scoppio; rimanevamo solo io e mia sorella più piccola, che non faceva altro che piangere. Io ero molto forte anche allora, ma in quel momento non sapevo che cosa fare: ero completamente disorientato e mi ricordo che uno sconosciuto, all’improvviso, entrò in casa, prese me e mia sorella e ci portò fuori correndo. Non ricordo che faccia avesse, e nemmeno la sua voce, ma so che senza di lui saremmo stati perduti; ci portò infatti, dopo dieci buoni minuti di cammino, in una grotta buia e fredda e ci disse di aspettare. Pochi giorni dopo l’uomo portò nel bunker altre quattro persone: una vecchia che diceva di essere una esperta nelle migrazioni, una giovane che invece assicurava di essere una biologa, un ventiquattrenne neolaureato in medicina e un politico gravemente ferito. Dopo che l’uomo misterioso ebbe portato al sicuro quest’ultimo, scomparve del tutto.

Scoprii poi che la vecchia si chiamava Rebecca, la giovane, Melissa, il ragazzo, Carlo e l’adulto voleva essere chiamato solo il “Politico”. Rimanemmo là dentro per circa due anni, usando le scorte preparate nel magazzino per sopravvivere; creai un legame speciale con loro, perché mi aiutarono ad affrontare la morte di mia sorella, per una malattia, e a salvarmi dalla pazzia: non li dimenticherò mai.
Una volta che i bombardamenti smisero di tormentare le nostre notti, trovammo il coraggio di uscire dal nostro nascondiglio. Quello che ci si presentò davanti era indimenticabile, inimitabile e disumano: un disastro totale. Davanti a noi appariva solo una cosa: sassi. Sassi ovunque, c’erano solo quelli, dalla forma appuntita e frastagliata: erano taglienti, più appuntiti di una lama, e ricordo benissimo come facevano male sotto i piedi. Einstein aveva ragione.

La vita, in quella miseria, era davvero molto dura. Imparammo a dosare l’acqua, ad apprezzare un piccolo pezzo di terra coltivabile, a cucinare grazie al sole, ma soprattutto imparammo a fidarci uno dell’altro: era l’unica cosa da fare per vivere, anzi per sopravvivere; ognuno aveva un lavoro preciso e fondamentale, e se una persona non lo svolgeva anche solo per un giorno cascava tutto il palco: il mio compito era quello di zappare la terra, visto che avevo più energia degli altri. Dopo qualche intoppo iniziale, il sistema funzionò alla perfezione, ma, a un certo punto, non ci bastava più; avevamo tutti bisogno di andare via da quel posto, di sapere se c’erano delle civiltà ancora in vita, se si poteva ricominciare da capo, ma in un modo migliore.

Decidemmo così di partire: il duro lavoro di alcuni mesi ci permise di fare qualche giorno di pausa per dedicarci interamente alla costruzione di una zattera in legno, per fuggire da quel posto attraverso il fiume che distava qualche chilometro da lì. Ricordo bene la sensazione che provai quando lasciai terra e mi sistemai nella zattera: fu come lasciare di nuovo la mia casa; ma era necessario per costruire un futuro migliore ai miei figli.

Inizialmente vagammo un po’ senza meta seguendo il corso del fiume e fermandoci di tanto in tanto, facendo così passare molto lentamente le settimane; vivevamo di pesca e di tutto ciò che il mondo vegetale ci poteva offrire. Durante i nostri viaggi, discutevamo molto fra di noi, cercando di rispondere alle domande che ci tormentavano, e di buttare giù delle idee per la società che avremmo potuto, ma soprattutto dovuto, costruire, in modo da non commettere gli stessi errori.

Dopo circa due mesi di viaggio, quando ormai le nostre speranze morivano come il sole al tramonto, intravedemmo del fumo che si alzava sopra alcune montagne di macerie e sassi taglienti: in realtà non era la prima volta che ci capitava; spesso sopravvivevano ancora degli incendi provocati dalla guerra, ma questo fumo non era come gli altri, che erano fumi neri e tossici che ti strappavano dal corpo la capacità di respirare, anche a centinaia di metri di distanza. No, questo era diverso, era un fumo pulito, grigio, che sembrava essere provocato da legno vero, non dalle sostanze schifose lasciate dalla guerra. Così, come è giusto che sia, carichi di speranza, desiderio, eccitazione e un pizzico di paura, lasciammo la nostra “imbarcazione” e ci incamminammo verso quella direzione.
Dopo due giorni di cammino, percepii delle voci che discutevano dietro un cespuglio. Erano deboli e tremavano nella mia testa: la sorpresa mi fece paralizzare per un bel po’, e quando riuscii a svegliarmi dalla trance, urlai di gioia, sentendo il cuore più leggero e stracolmo di emozioni contrastanti. Melissa e Carlo accorsero subito, pensando che mi fossi fatto male, e quando sentirono le voci si guardarono increduli, piangendo. Solo a quel punto comparve una faccia sconosciuta in lontananza:, un uomo, con i capelli scuri e vestiti strappati. Di punto in bianco si mise a correre verso di noi, urlando ripetutamente parole incomprensibili a causa della distanza. D’istinto, mi alzai e corsi anche io, seguito da Carlo, Melissa, il Politico e Rebecca, comparsi in quel momento. Diciamo che Rebecca stava più zoppicando, ma questi sono dettagli. In seguito scoprimmo che non c’era solo l’uomo, che si chiamava Edoardo, ma anche un ragazzo, Lorenzo, un’altra donna sulla trentina, Ana, e un vecchio contadino, Giovanni. In tutto eravamo nove, e così partirono subito i primi giorni di festa.
Mi sentivo libero, in un posto sicuro, ricolmo di speranza e calmo. Passavo le notti a immaginare il mio futuro, a come costruirlo, a come strutturarlo. Era una sensazione bellissima, ma sapevo che sarebbe stata seguita da un duro lavoro costante. Infatti, una settimana dopo il nostro arrivo, cominciammo quella che gli adulti chiamavano progettazione: loro si riunivano la mattina, e noi bambini, insieme a due persone che a turno saltavano la seduta, lavoravamo per ricavare il cibo necessario da mangiare. La scarsa vegetazione non ci aiutò molto, ma qualcosa si trovava sempre… di sera ci riunivamo attorno al fuoco e i più grandi esponevano le idee che il Consiglio (era così che chiamavamo le sedute) aveva formulato: io ci capivo ben poco, ma so che piano piano loro stavano progettando la futura società: pezzo dopo pezzo, decisero che d’ora in poi l’umanità sarebbe stata una civiltà sostenibile e rispettosa per l’ambiente; che avrebbe ricordato gli sbagli passati e non li avrebbe commessi di nuovo; decidemmo che ci sarebbe dovuto essere un governo molto attento, capace di selezionare successori che sapessero governare saggiamente un popolo. Decidemmo di instaurare un governo che controllasse il sistema economico, ma non a proprio favore, bensì per il bene della comunità; decidemmo di creare un sistema che assomigliasse a un governo democratico, ma con regole un po’ diverse: tutti avrebbero potuto “votare” quando volevano, scrivendo le proprie idee in una relazione e consegnandola al Granconsiglio. E infine decidemmo un’altra cosa: avremmo dovuto ricostruire tutto insieme, risolvendo pacificamente le divergenze, mettendo insieme pezzetto per pezzetto, un giorno alla volta, per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato, per risollevare il mondo dalle macerie e creare un’umanità migliore, spazi per i giovani, simbiosi con l’ambiente e un mondo nuovo per i nostri successori. Il lavoro sarebbe durato anni, è vero, ma ragazzi miei, guardate quello che abbiamo costruito ora: un popolo che lavora bene insieme, che si basa sulla fiducia e il lavoro proprio e altrui. Grazie alla nostra fatica Passata e la vostra del Presente, il mio sogno si è avverato. Mi avete reso e mi renderete felice in eterno, e non lo dimenticherò mai, credetemi. Mai.»

Pubblicato: 26 Gennaio 2023
Fascia: 13-15
Commenti
per me è un capo lavoro stupendo, mi è piaciuto molto come il ragazzo da piccolo è riuscito a superare le mille difficoltà iniziali come la morte della madre e della sorella, ma il resto è perfetto di come si sono distribuiti i compiti e del significato della guerra ai bambini e di come Einstein aveva ragione. Veramente bello anche la scrittura è coinvolgente e la storia e molto bella.
07 maggio 2023 • 20:16