Mi chiamo Manfredi, ho dodici anni e un hobby speciale, la pesca. Quando sto sugli scogli con la mia canna da pesca, chiudo gli occhi e assaporo la vita, la gusto come un bicchiere di Coca-Cola ghiacciato. Questi momenti per me sono preziosi, mi abbandono completamente a me stesso, mi lascio alle spalle ogni problema. Oggi sono andato alla mia postazione di pesca preferita, ho armato la canna e mi sono comodamente seduto sullo scoglio. Mi sento toccare la spalla: «Ciao posso sedermi accanto a te?». È un ragazzo alto e longilineo, con una faccia piena di lentiggini e gli occhi grandi. Non ho voglia di dirgli di sì perché a pesca mi piace stare da solo e sentire il rumore del mare! Ma questo ragazzo ha un non so che di simpatico e, pur controvoglia, gli dico di sì. «Io mi chiamo William, e anche a me piace pescare.» «Io Manfredi… ma allora perché non peschi?» «Ecco… io… non ci vedo.» «Dai William, non mi prendere in giro! Chi non vede si muove male, ha bisogno di un bastone…» «Sì, sì è vero Manfredi, ma io ho perso la vista due anni fa a causa di una malattia, questi scogli però li conosco benissimo, ci venivo sempre insieme a mio padre, conosco ogni loro buca!» La mia quiete è rovinata per sempre, ma la sua voce è rilassante e guardandolo penso che è sicuramente una persona speciale. «Metti il filo venti e un amo piccolo, oggi non c’è troppa corrente in acqua e il mare è limpidissimo. Occorre rendere invisibile il finale, altrimenti i pesci non mangiano» mi dice. Inizia un po’ a tremarmi il labbro inferiore, «Va bene, lo faccio, ma poi mi spieghi come fai a vedere quello che hai detto.» «Non lo vedo, lo sento» mi risponde. A quel punto iniziamo a parlare interrottamente di tutte le nostre battute di pesca e ogni pesce catturato si allunga di 10 – 20 cm per sbalordire l’altro. Arriva il tramonto, ci salutiamo, non ho pescato niente a parte un piccolo saraghetto che ho liberato. A casa non riesco ad addormentarmi, continuo a pensare a William. Ho spento la luce e ho cercato di trovare le mie cose nella stanza ma, pur sapendo dove si trovano, non riesco a trovare niente e non riesco a capire come fa William e, soprattutto, non capisco dove trova tutta quella serenità, tutta quell’allegria, proprio non lo so! Sono sincero, spero di incontrarlo ancora, anche se in qualche modo ha interrotto la mia battuta di pesca. Sono ormai due mesi che non vado a pesca perché il fine settimana piove sempre. Mi capita spesso di pensare a William, non so niente di lui, non gli ho chiesto neanche quale scuola frequentasse. Finalmente una domenica di sole, una giornata giusta per la pesca, ma sicuramente William non ci sarà. Invece lui è già seduto sugli scogli che pesca. «Ciao William! Ma non mi hai detto che tu non puoi pescare perché non vedi?» «Sì è vero, ma sto cercando di superare i miei limiti, sto pescando con gli artificiali, così non ho bisogno di innescare l’esca ed è tutto più facile.» «Certo, certo, sai sono felice di averti incontrato.» Iniziamo insieme a pescare, che sintonia! Non parliamo, ma è come se lo facessimo. Mi è sempre capitato con i veri amici di non aver bisogno di parlare ed essere comunque in sintonia con loro. In altre situazioni forse mi avrebbe fatto pena, invece per questa evidente sua felicità sincera e contagiosa non ho mai pensato se soffrisse della sua situazione. Lo guardo meravigliato e incantato. «Lo sento, lo sento… pesce, pesce!» grida William. «Questa volta l’ho preso! Ecco, si arrende sale in superficie, è mio!» È un pesce serra grandissimo, aiuto William a tirarlo fuori dall’acqua, non ne ho mai visto uno così grande, pesa almeno sei o sette chili o forse anche di più. Il pesce serra combatte fino allo stremo, ma William non molla. Una volta a terra si dimena, cerca comunque di riguadagnare il mare e, sinceramente sono dispiaciuto. «È molto grande?» mi chiede William. «Sì, è tanto grande e mi fa pena.» «Che facciamo, lo liberiamo?» dice William. «Sì, lo fotografo per postarlo su Instagram e lo liberiamo.» Non riesco a prenderlo senza sporcarmi tutto, è troppo grosso ma non ci penso due volte, lo prendo, stringendolo al petto e lo ributto in acqua. Appena in acqua rimane per qualche attimo fermo, incredulo, poi fa uno scatto e scappa, come se avesse compreso di essere stato graziato. Mi guardo intorno e mi accorgo di essere circondati da diverse persone che attirate dalle nostre grida, si sono avvicinate curiose. Alcuni si congratulano con noi per aver rilasciato il serra, altri scuotono la testa manifestando tutto il loro disappunto. Noi siamo comunque felici, abbiamo finalmente catturato il serra che avevamo sempre sognato di prendere e lo abbiamo rilasciato, come fanno i veri pescatori sportivi! Su Instagram ci sono già cento «Mi piace» e sono appena passati quindici minuti. Senza pensarci chiedo a William: «Hai visto che pesce?». «Certo che l’ho visto, di un grigio luccicante, con i suoi grandi occhi neri e la coda scattante» risponde. «L’hai immaginato» gli dico. «No, no, io vedo, tutti i particolari e i colori sono più belli di quelli reali.» Non so cosa rispondergli e sinceramente mi sento anche un po’ stupido. Guardo di nuovo il cellulare e leggo 1000 visualizzazioni e 500 «Mi piace» alla foto postata. Guardo William e per rompere l’imbarazzo gli dico: «La nostra foto del pesce sta spopolando su Instagram». Ridiamo come pazzi, siamo felici. Ci sono pesci che tutti sognano di catturare e quando succede, quasi ti sembra di aver catturato un amico, per quante volte lo hai immaginato. Quindi, farlo ritornare in mare per poterlo forse pescare nuovamente, è come riaprire la sfida e il sogno. Tengo stretta la mia canna, fa caldo e mi piace ascoltare il mare… sono felice. Grazie William!
