Bentornato!
Non fai ancora parte della nostra community?
Nessun Genere
  |  
Fascia 16-19
Sono felice

Le gocce scorrono sul mio viso, come lacrime di pianti mai compiuti.

Il mio riflesso nel lavandino sembra guardarmi in modo strano: attento, deciso, sembra non riconoscermi, non comprendermi.

È un pensiero stupido: i riflessi non possono comprendermi.

Eppure quello sguardo, il mio sguardo, non mi corrisponde.

Sono stanco: la giornata è stata dura e sono qui per miracolo.

Per un attimo mi sento dimenticare tutto, come un’amnesia temporanea: ogni mio pensiero, ogni mia emozione, ogni mio ricordo della giornata sembrano svanire per un attimo e mi pongo istintivamente una domanda.

Chi sono io?

Nell’attimo in cui tutto riaffiora nella mia mente, mi rendo conto di non essere sicuro del mio essere.

Mi guardo allo specchio, mi sciacquo la faccia e, deciso, dico: «Io sono Carlo, ho quindici anni e sono felice».

Le mie parole però sembrano forzate, come se uscissero controvoglia e poco convincenti.

Sospiro e, dopo essermi asciugato il viso, mi incammino verso il mio letto e verso un sonno tranquillo.

Durante la notte però non chiudo occhio: non passa un minuto e mi sposto cercando un lato fresco del materasso, allontanandomi dal caldo del mio corpo.

È una notte gelida, ma per qualche motivo sento il bisogno di distaccarmi dalle lenzuola scaldate dal mio calore, come se non mi appartenesse.

Il giorno dopo non riesco a non pensare alla scorsa notte: possibile che io non mi conosca?

Dovrei conoscermi meglio delle mie tasche, non trattare me stesso come uno sconosciuto.

Nel pomeriggio chiesi al mio migliore amico di descrivermi e lui mi disse: «Tu sei Carlo, sei un ragazzo testardo, gentile e calmo, ma dovresti smetterla di fare problemi sulla tua vita. Ma soprattutto sei felice».

Quindi sto sbagliando a dubitare di me?

Forse devo solamente smettere di farmi problemi?

Eppure non mi sembra corretto il fatto che io devo affidarmi alla parola di qualcun altro per sapere chi sono.

Torno a casa con la testa piena di domande senza risposta.

Mio papà è in cucina, intento a preparare la cena.

Vedendomi così pensieroso, mi chiede cosa mi affliggesse.

Gli pongo il mio problema e lui mi risponde affettuoso: «Sei Carlo, mio figlio, sei un ragazzo premuroso e sensibile, ma soprattutto sei felice».

Le sue parole mi rallegrano: dopotutto, è un padre, conosce bene suo figlio.

Ma se ci fossero alcuni lati di me che non conosce nemmeno lui?

E se alcune mie sfaccettature siano ancora ignote al suo sguardo?

Può davvero conoscere tutto di me?

Io voglio scoprire la realtà da tutte le angolazioni, senza tralasciare alcun dettaglio.

Deluso da questa considerazione, vado in camera mia, cercando di non pensare a questo problema.

Provo a leggere un libro, ma la mia mente è affamata di risposte, così provo a distrarmi con un rompicapo, ma ogni mia mossa mi fa riflettere sulla mia identità.

È buffo, prima cercavo disperatamente di scoprire chi sono, ora tento di non pensare al mio dubbio su cui ho speso ore e ore di riflessione e d’impegno.

In questa stravagante situazione non riesco a rilassarmi: la mia mente sembra voler passare oltre a questa questione, mentre il mio corpo vuole delle risposte, come se pretendesse la conferma di appartenere a me e non a un estraneo.

Il giorno lascia spazio alla gelida notte, portandosi dietro ogni cosa fuorché i miei dubbi.

Anche la giornata successiva scorre rapida e disattenta.

La scuola è finita: prima di uscire dalla classe noto un volantino di un concorso di scrittura.

Ho sempre amato scrivere: è un modo per tenere la mente occupata e lontana dai problemi, e a me servirebbe davvero una pausa dalle mie ricerche e dalle mie preoccupazioni.

Nell’attesa del concorso, i miei dubbi si affievoliscono e finalmente inizio a rassegnarmi all’idea di non conoscermi completamente.

Ma il tempo, eterno nemico, passa troppo in fretta e il fatidico giorno giunge quasi immediatamente.

Fiducioso nelle mie capacità, mi reco nell’aula dove dovrò scrivere il racconto.

Appena entrato però mi rendo conto di tutti gli altri ragazzi che, come me, hanno intenzione di partecipare e anche di vincere.

Il concorso inizia: subito una ventina di tastiere cominciano a essere usate forsennatamente, mentre il rumore dei tasti premuti in rapida successione inondarono in pochi attimi la sala prima silenziosa.

Mi sento quasi inadatto a questo luogo, come se fossi solo una brutta caricatura dello scrittore.

In quella sala tutti si danno da fare e sembravano avere una fonte infinita di ispirazione da cui attingere per innumerevoli storie appassionanti.

Ed io?

Come posso competere contro di loro, se l’ispirazione la trovo di rado e mai troppa?

Le mie dita tremano, hanno quasi paura di quei tasti, si rifiutano di scrivere e di dar forma a un racconto.

Forse è perché non sono uno scrittore, forse è perché io non sono io.

Chino il capo, chiudendo gli occhi, pensando a chi sono realmente.

Intanto però le mie mani si mettono all’opera.

Conosco la tastiera di un computer a memoria e riuscirei a scrivere anche a occhi chiusi, come sto facendo ora.

Li apro lentamente, osservando il monitor ora pieno di parole.

Senza nemmeno accorgermene, sto scrivendo la mia storia.

Per la prima volta ho la possibilità di scoprire le mie passioni, i miei difetti, i miei sogni e i miei problemi.

È come se stessi ascoltando la storia della vita di qualcuno, scoprendo però che si tratta della mia.

Ascolto la mia storia.

La risposta era dentro di me: finalmente, leggendo quelle parole, scopro chi sono realmente.

Una gioia immensa mi pervade, come un tiepido fiume che inonda le mie vene di vita.

Finisco di scrivere, invio il mio racconto e torno a casa.

Solo che per strada sorrido.

Il tempo passa troppo in fretta, ma ormai non importa: conosco chi sono, mi riconosco.

Controllando le mail, scopro che ho vinto il concorso.

Il giorno della premiazione arriva: dopo ore di viaggio in auto e di ricerca di un parcheggio, raggiungo il teatro dove avverrà a breve la cerimonia.

La sala è ampia e luminosa, colma di persone intente a parlare e di ragazzi annoiati che attendono che la premiazione inizi.

D’un tratto le luci si spengono, i giudici si presentano e nominano i vincitori.

Mi chiamano sul palco, tra uno scroscio di applausi.

Appena salgo mi presento al pubblico così: «Mi chiamo Carlo, ho quindici anni e so chi sono. Ma soprattutto, sono felice».

Pubblicato: 2 Giugno 2022
Fascia: 16-19
Commenti
Non ci sono commenti per questo racconto.