Tom era incredulo: non era mai salito su un aereo prima d’ora e oggi avrebbe attraversato i cieli su quel veicolo a lui così strabiliante e magico.
Aveva sempre amato gli aeroplani e non vedeva l’ora di osservare il mondo dall’alto, immerso nelle nuvole e cullato dal vento.
Tirando con forza il pesante trolley, provava a rimanere al passo con sua sorella, che ogni tanto gli lanciava un’occhiata seccata, come se fosse stufa di avere un fratello che riusciva a fatica a far muovere la valigia.
Ormai si era abituato a lei: altezzosa e a volte anche impertinente, pretendeva tutto e subito, esagerando sempre con il tono di voce.
Emily voleva comandarlo come i genitori anche se aveva quattro anni meno di lui.
Odiava quando lei faceva così, ma i suoi genitori lo ignoravano sempre quando glielo faceva notare.
Non amava rassegnarsi al potere di sua sorella e non voleva sottomettersi a nessuno al di fuori dei suoi genitori.
Papà David gli si avvicinò e gli chiese se volesse fare cambio con la sua valigia meno pesante.
Lui rifiutò orgoglioso: era grande ormai e sapeva che doveva dimostrare a tutti di essere forte, coraggioso e capace.
Dopo il check-in uscirono sulla pista per imbarcarsi e finalmente lo vide.
Alto e lucido, l’aereo sembrava svegliarsi dopo un lungo letargo solo per dargli un passaggio per un nuovo mondo.
Salì e si diresse al suo posto: era emozionato e non vedeva l’ora di decollare.
Ormai erano in volo, avvolti dalle nubi, la testa immersa in mille pensieri e splendidi paesaggi, quando il comandante annunciò che erano giunti a destinazione.
Scesi dall’aereo e recuperate le valigie, si avviarono all’albergo.
Non era mai stato a Parigi, ma aveva la possibilità di visitarla in quei tre giorni di vacanza.
L’albergo era elegante e pulito, la hall ampia e accogliente, piena di visitatori e di gentili facchini che aiutavano le famiglie a trasportare i bagagli nelle loro stanze.
Tom non avrebbe mai immaginato che esistessero stanze tanto belle e comode: le pareti erano di un bel giallo limone, i mobili erano puliti e lucidi, i letti morbidi e profumati erano sormontati da grandi cuscini soffici e il bagno, anche se piccolo, era pieno di saponette e asciugamani che odoravano di limone, lavanda ed eucalipto.
Dopo aver sistemato le valigie, si era fatto molto tardi e decisero di andare a dormire.
Il giorno dopo iniziarono a visitare la città: le strade erano affollate di persone e turisti, i parchi erano immersi nel cinguettio degli uccelli confuso con il rumore delle automobili, i palazzi sembravano essere stati costruiti apposta per le riprese di un film, i bar erano pieni di vita e di odori deliziosi.
In quel miscuglio di sensazioni Tom si sentiva quasi perso, eppure non aveva voglia di uscirne.
Si mise in posa davanti a statue, ponti, case e vie, si sforzava di non chiudere gli occhi anche se il sole lo accecava, cercava di accontentare la fame implacabile di sua madre, decisa solo a riempire interi album di fotografie di quel viaggio.
Assaggiarono piatti favolosi, dolci squisiti e altre delizie, visitarono chiese, monumenti, piazze, salirono fino in cima alla torre Eiffel, avvolti da un piacevole venticello e intontiti di fronte a un panorama da sogno.
Al ritorno però la famiglia si rese conto che qualcosa mancava.
Tom era sparito.
Il ragazzo era scomparso nel nulla: nessuna traccia in albergo, il telefono era rimasto nella borsa di sua madre e sembrava che nessuno si fosse accorto della sua assenza fino a quel momento.
Chiamarono la polizia, che iniziò immediatamente le ricerche, e attesero disperati che il figlio fosse ritrovato.
Emily era la più preoccupata di tutte: si rendeva conto che non aveva mai trattato bene Tom, ma ora che era scomparso si sentiva in colpa per aver pensato unicamente a divertirsi invece di preoccuparsi anche del fratello.
Intanto Tom si era perso: aveva visto un ladro che provava a rubare una borsa a una signora così, tra le urla della donna e dei passanti, si lanciò all’inseguimento.
Seguì il ladro tra molti vicoli stretti, tra piazze e strade, quando riuscì a raggiungerlo e a recuperare la borsa.
Il ladro fuggì e Tom, entusiasta del suo eroico atto, si fermò a riprendere fiato, felice del suo gesto.
Una voce maschile alle sue spalle lo fece sussultare: un poliziotto gli intimò di consegnare la borsa e di alzare le mani.
Era in trappola.
Si mise a correre, confuso e atterrito, mentre nella testa il desiderio di non essere scoperto sovrastava incontrollato ogni pensiero razionale.
Si nascose in un vicolo e, quando fu sicuro di aver seminato il suo inseguitore, si rese conto del guaio in cui si era cacciato.
Era solo, in fuga e non sapeva dov’era.
Capì che doveva trovare un nascondiglio, e in fretta.
Esplorò rapidamente il vicolo e trovò una vecchia scala antincendio, così iniziò a salire cercando di non fare rumore.
Credeva che sul tetto avrebbe potuto essere al sicuro dai poliziotti che pattugliavano le strade.
Arrivato in cima però il pavimento sotto di lui cedette.
Cadde nell’appartamento sottostante provocando un gran baccano.
Si guardò intorno spaventato: quel posto sembrava abbandonato da anni.
Le pareti erano spoglie, i mobili erano pieni di polvere, mucchi di scatole erano sparsi un po’ ovunque e fortunatamente non c’era nessuno, eppure in cucina c’erano ancora delle scatole di cibo che miracolosamente non erano ancora scadute.
Si accertò che nessuno abitasse in quell’edificio: trovò un documento che spiegava che quella casa doveva essere ristrutturata ma, per mancanza di fondi, era rimasta spoglia da qualche anno.
Gli sembrava un luogo sicuro dove nascondersi, così decise di restare per un po’, almeno finché non avesse ritrovato la sua famiglia.
Aveva provato molte volte a stare in casa da solo quando i suoi genitori lavoravano e quando sua sorella usciva con i suoi amici, eppure quella casa non lo faceva sentire tranquillo: guardava le pareti con diffidenza, si aggirava per le stanze pronto a ogni minimo rumore, controllava più e più volte che nessuno lo seguisse ed era riluttante a toccare qualsiasi cosa.
Per la prima volta si sentiva realmente solo e dimenticato.
Dalla finestra dell’appartamento abbandonato riusciva a vedere il sole che lentamente lasciava il posto alla luna, che come lui sembrava volersi nascondere agli occhi degli uomini.
Entrò nella polverosa camera da letto e si gettò sul materasso spoglio, addormentandosi quasi immediatamente.
Intanto le auto della polizia setacciavano le vie di Parigi per ritrovarlo, mentre gli elicotteri perlustravano i cieli in quella notte nera come l’inchiostro.
Il giorno dopo si svegliò presto: il letto era scomodo ed era troppo agitato per godersi il piacere dei sogni che la notte offre agli uomini.
Sapeva che non poteva rimanere in un posto fisso troppo a lungo e voleva ritrovare la sua famiglia al più presto.
Fece una rapida colazione con un pacchetto di crackers non ancora scaduti, poi impilò degli scatoloni per uscire dal buco del soffitto.
Scese senza far rumore dalla scala antincendio e cercò dei cartelli per ritrovare la strada di casa.
Notò delle sue foto su un palo della luce: anche se non conosceva il francese, capiva che lo stavano cercando da parecchio tempo.
Sotto la foto c’era un numero di telefono: era quello di sua madre.
C’era anche un indirizzo, che pensava fosse quello dell’hotel, così, staccato il manifesto dal palo, cercò una delle tante cartine per turisti disseminate nelle piazze.
Dopo una lunga ricerca trovò la mappa, eppure rimaneva un problema: come memorizzare il percorso senza un telefono o una cartina?
Cercò allora qualcosa per poterla ricopiare: era molto bravo a disegnare, ma senza un foglio e una matita la sua bravura era inutile.
Prese un tovagliolo da un tavolo di un bar, ma aveva bisogno anche di una matita.
Abbassò lo sguardo per un secondo e, incredibilmente, trovò una moneta da due euro.
Non perse tempo e corse in una cartoleria a comprare fogli e matita.
Intanto un uomo, che lo aveva riconosciuto, si appostò fuori dal negozio e, appena uscì, lo mise in un sacco.
Dopo un tempo che sembrava eterno, si ritrovò in quella che sembrava una soffitta.
Guardandosi intorno però si rese conto che era legato a una sedia nell’appartamento dove si era rifugiato.
Sentì d’improvviso la cupa voce di un uomo, probabilmente il suo rapitore, che parlava al telefono con qualcuno: dal poco che riuscì a sentire capì che stava chiedendo un ricco riscatto.
D’un tratto l’uomo uscì, lasciandolo solo: aveva un’occasione per fuggire.
Notò un paio di forbici su un mobile non molto distante, così iniziò a saltellare per raggiungerlo.
Con fatica riuscì ad afferrarle e tagliò le corde che lo legavano alla sedia.
Corse allora nel punto in cui si trovava il buco nel soffitto: le scatole che aveva impilato erano ancora dove le aveva lasciate.
Salì sul tetto ma in quel momento rientrò il suo rapitore.
Quando lo vide cercò di salire sulle scatole per afferrarlo, così Tom le fece crollare, facendolo cadere nuovamente nell’appartamento.
Così l’uomo finì sotto quel mucchio di scatoloni polverosi, dandogli il tempo di fuggire dalle scale di emergenza.
Eppure non poteva continuare a scappare, sarebbe stato presto riacciuffato dall’uomo.
Decise così di nascondersi in un cassonetto nel vicolo, aspettando che il suo inseguitore andasse a cercarlo in un altro luogo.
Dopo una lunga attesa ebbe la certezza di essergli sfuggito e così uscì dal suo nascondiglio.
Recuperò il foglio, la matita e, dopo aver ritrovato e ricopiato la mappa, si incamminò alla ricerca dell’albergo, cercando di non farsi vedere.
Dopo un po’ però vide il suo inseguitore.
Non lo aveva ancora notato: sembrava tornare all’appartamento, deluso e frustrato a causa della sua fuga.
In quel momento Tom poteva fuggire sfruttando la situazione, eppure vide dall’altra parte della strada un poliziotto.
Poteva avvicinarsi all’agente, rivelare la sua identità e permettere che il suo rapitore fosse consegnato alle autorità.
Avrebbe potuto vendicarsi delle sue azioni crudeli consegnandolo alla giustizia, evitando anche che altre persone come lui fossero trattate in quel modo.
Così si avvicinò al poliziotto e gli mostrò il poster con il suo volto.
L’uomo lo riconobbe e chiamò subito l’albergo.
Però Tom lo trattenne e gli indicò l’uomo, raccontandogli tutto ciò che aveva fatto e che aveva passato in quelle giornate.
Il poliziotto allora non perse tempo e si avvicinò alle spalle del ladro.
Appena egli si girò ebbe appena il tempo di riconoscere il ragazzo che aveva rapito.
Non ebbe però il tempo e l’opportunità di prenderlo, perché il poliziotto lo aveva già afferrato e ammanettato.
Quella sera tornò all’albergo, dove poté riabbracciare la sua famiglia: era stata una vacanza fuori programma, ma era ugualmente contento che fosse tutto finito.