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Fascia 16-19
Sette secondi

Sembra tutto perfetto. Sono qui, sul terrazzo che affaccia dritto sul tramonto, circondato da mille pezzi di carta alla ricerca della risposta. Ne vale la mia intera esistenza, non posso deludere nessuno. Manca ancora qualcosa, eppure è una delle migliori che io abbia mai composto. In ogni nota c’è un pezzo della mia storia, del mio vissuto, ma comunque non riesco a trovare quel piccolo dettaglio per renderla finalmente perfetta. O forse non deve esserlo: la bellezza è nell’imperfezione, proprio perché questa può essere diversa da persona a persona. Fatto sta che il concerto è tra tre giorni, e il pezzo di chiusura non è ancora pronto. Mi gioco tutto: la mia reputazione, il mio patrimonio. Potrei mettere a tacere tutte le voci che girano sul mio conto e quello di mia madre. Non è facile, cambiare vita. Immaginate farlo per tre volte, in posti diversi, con persone nuove, in situazioni totalmente differenti le une dalle altre. Si possono quasi considerare come tre periodi non legati tra loro, poiché purtroppo la massa tende a giudicare qualcuno dopo i sette secondi che portano alla loro prima impressione. Successivamente, di rado quell’idea cambia. Puoi essere chi vuoi, ma quei ticchettii di orologio valgono molto più di tutto quello che si possa aver vissuto in passato. E noi due ormai siamo stati etichettati come quelli che non si possono adattare, che non sono inseriti in alcun contesto, destinati solo a vagare come dei nomadi in cerca di un qualcosa di introvabile. Tutto questo può essere superato, dopo anni di agonia. Siamo persone innocenti e innocue, come tutti gli altri. Posso dimostrare quanto valgo, far vedere il mio talento a quella massa di persone che all’unisono appare sempre con lo stesso sguardo morto e spregevole. Posso riscattarmi con quei tasti neri e bianchi, un po’ come Pasolini con la poesia, o come Ezio Bosso con la sua amata musica. È lui la mia luce in fondo al tunnel. Si tratta di un uomo che attraverso le note ha dimostrato come l’apparenza non sia nulla rispetto all’interiorità, e di come la massa possa essere dirottata verso una nuova visione più aperta rispetto a quei famosi sette secondi. È quello che serve anche a me, e manca davvero poco. Una croma in più, un secondo in sospeso che potrebbe sistemare tutto. Si è fatto tardi, meglio andare a dormire. Non riesco ad aprire gli occhi: sento solo una voce abbastanza familiare davanti a me. Dei soffi di un vento leggero e freddo mi accarezzano il viso, mentre acquisto sempre più consapevolezza al punto da aprire gli occhi. Sono sul palco. Ma non uno qualsiasi, sono nel teatro dove mamma mi portò per la prima volta a un concerto. È tutto… magico. Sono su uno sgabello abbastanza alto, forse un po’ troppo per suonare il pianoforte. Intorno a me non c’è nessuno, solo un presentatore girato di spalle che non riesco a riconoscere, nonostante la voce già sentita. Sembra tutto così maestoso, preparato per l’occasione. La platea appare poco illuminata, ma ciò che so dire con certezza è che sono tutti uguali. Gli uomini indossano lo stesso completo, le donne lo stesso vestito rosso. È strano, non si muovono. Forse si aspettano qualcosa, forse stanno ascoltando le parole del conduttore. Ora che ci penso, cosa sta dicendo? Non riesco a capire nulla, nonostante si stia trattenendo nel suo discorso. Se tutti sono così interessati alle frasi pronunciate, allora perché io non capisco? Sento solo un mucchio di parole che si sovrappongono e separano in continuazione, creando un mormorio confusionario. Il loro volume sale, al punto da iniziare a dare fastidio. Non riesco a parlare, vorrei urlare per mettere tutto a tacere ma non sono in grado. Mentre queste voci diventano sempre più assordanti c’è una luce, un faro che punta dritto alla platea e si muove all’interno di questa. Le voci si fermano, come il faro. Punta dritto al centro dei posti a sedere, dove è illuminata una donna vestita di bianco, diversa da tutte le altre. Riesco a capire le parole del presentatore, che ha appena menzionato il mio nome. Ora se ne va, mentre questa donna si alza in un silenzio probabilmente ancora più assordante delle voci di poco prima. Ho un pianoforte davanti, che aspetta solo di essere suonato. Sembra che il pubblico sia venuto qui solo per quello. Non ho nulla di preparato, potrei andare sul classico e riprodurre il Valzer in A minore di Chopin, o Per Elisa di Mozart. Vada per la prima. Avvicino le mie mani ai tasti, e succede qualcosa di insolito – come se il resto non lo fosse. Improvvisamente non so più come suonarlo. Ho fissa la melodia in testa, che rimbomba sempre più forte, ma non riesco a mettere le dita sulla tastiera. Non so suonare. Non ricordo come si fa, e più i secondi passano più iniziano a prendere vita le occhiate di tutti quegli spettatori senza differenze tra loro. Una nuova voce proviene dalla mia destra, dietro il sipario. Mi giro ad ascoltarla. «Cosa aspetti? Sono tutti qui per te. Vogliono vedere e sentire cosa sei in grado di fare. Sei stato tu a dirmi che è la nostra occasione, non rovinarla così.» Tuttavia, nessuna figura corrisponde a questa voce. È chiaramente mamma, ma non riesco a capire dove sia. Forse si trova dietro quel telone talmente lungo che sembra non avere né fine né accesso; forse devo raggiungerla. Ho bisogno di lei, di un conforto; tutto qui dentro sta iniziando a fare male. Dovrei provare ad alzarmi. Sono in piedi, e tutta la platea fa lo stesso seguendomi, finendo per nascondere quella stupenda donna alla quale non riesco a non rivolgere pensiero. Ora che siamo tutti in piedi, sembra ancora peggio. Una forza mi impedisce il movimento, come se fossi in qualche modo ancora seduto, e parallelamente a questo iniziano a spuntare altre, nuove, strazianti, voci – questa volta provenienti dalle prime file della platea. «Suona! Sono minuti che sei lì a guardarci, il pianoforte non si suona da solo!» Tutti gli sguardi stanno diventando ancora più freddi di quanto non lo siano stati fino ad adesso, come se a tutto questo si stesse aggiungendo un’aria di disprezzo. Mi sta lacerando da dentro; non posso accennare alcun tipo di movenza, l’unica cosa che desidero è raggiungere mia madre dietro il palco per nascondermi da tutto questo. Oppure quella donna! Lei, l’unica che si contraddistingueva per il viso pulito, per la veste candida e per la purezza del suo animo, visibile da centinaia di metri. Forse è a lei che devo rivolgermi. Non la trovo, sono tutti in piedi e ogni ticchettio che passa tutto sembra cambiare posizione e forma, dal teatro agli spettatori, ricreando nel silenzio più totale quel ronzio che fino a qualche minuto fa mi ha torturato. 1: Anche il minimo lamento sul mio non suonare sparisce, allontanandosi sempre più. 2: La luce che illuminava la poltrona della donna che cerco è scomparsa, lasciando nel pubblico un’aria ancora più cupa. 3: Non riesco più a sentire la presenza di mamma, dietro di me non c’è altro che vuoto. 4: Il presentatore mi passa davanti, fissandomi ogni metro che percorre, quasi dicendomi «Mi hai deluso». Papà, che ci fai lì? Perché mi guardi così? Tutto questo è per mantenere alto il nostro nome, la nostra famiglia. Sai, da quando ci hai lasciato nulla è stato facile. Perché quello sguardo, dopo i sacrifici a cui ho dovuto sottopormi in tutti questi anni? 5: Il teatro sta cambiando. È sempre più diverso, ha un aspetto meno classicheggiante. La conformazione degli interni è cambiata, appare sorprendentemente moderna. Un momento: questo è il luogo dove si terrà il concerto tra due giorni. 6: L’illuminazione cambia insieme al teatro, e la ricerca di quella donna è sempre più straziante. La platea improvvisamente viene tutta abbagliata da una luce che sembra non provenire dal teatro, come se qualcuno volesse farmi notare qualcosa. Eccola! È proprio qui sotto, è stupenda. Il resto delle persone è come fosse in secondo piano, il suo bianco è così accecante da camuffare e rendere sopportabile l’inferno che mi circonda. 7: Scena iniziale, occhi chiusi. Riesco con un po’ di sforzo ad aprirli. Sono nella mia camera da letto, sudato e con l’affanno. Abbagliato dalla luce del sole proveniente dal balcone che stanotte ho lasciato aperto, noto che i mille fogli di carta a causa del vento si sono dispersi nell’appartamento. Tiro un sospiro di sollievo, è tutto finito. Chiama mia madre, preoccupata riguardo alle paure che stanno occupando questi ultimi miei giorni. «Tesoro, sappi che comunque vada domani saremo sempre io e te, uniti da un legame che va oltre degli stupidi giudizi. Ti voglio bene.» Ha ragione. Quei sette secondi possono essere, questa volta, la mia salvezza: è vero che la prima impressione incide sul giudizio di qualcuno, ma mai ho pensato che una seconda volta si potesse dare la possibilità di vivere altri sette secondi per fornirne una nuova. Focalizzandomi sulla ricerca di una perfezione che non mi caratterizza ho finito per perdere di vista l’obiettivo principale, ovvero rendere felice la mia famiglia.

Pubblicato: 24 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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