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Fascia 16-19
Rosso sangue

Ampie gonne rosse volteggiano nella sala; calici di cristallo riempiono i grandi tavoli a sinistra, mentre sul lato destro si stende una tovaglia candida sovrastata da numerose pietanze.
«Secondo voi chi ha organizzato questo ballo?»
«Speri nel principe azzurro misterioso che cerca la sua principessa?»
«No, cerco qualcuno con cui lamentarmi per la scelta del dress code: il rosso non mi dona affatto.»
In effetti anche io ho trovato insolita la lista di requisiti esposta fuori dal palazzo: tutti gli abiti devono essere rossi; i bambini non possono entrare nella sala e, in caso di necessità, devono essere vestiti di bianco; si consiglia l’utilizzo di tacchi molto alti per assecondare la conformazione della sala.
«Chissà magari si tratta di qualcuno che lavora nel mondo della moda e vuole trovare il colore per la sua nuova collezione.»
«In tal caso mi ritengo fortunata a essere una delle cavie perché questo posto è stupendo!» esclama Ilaria mettendosi in bocca cinque tartine.
Mia figlia stringe la mia mano e guarda la mia amica con diffidenza. Ha nove anni e la sua personalità è composta da «non dare confidenza agli estranei» e unicorni. Ilaria però non è un’estranea, è stata la prima persona che ho incontrato dopo essermi trasferita in Italia: ci siamo conosciute in aeroporto e siamo diventate ottime amiche. Purtroppo però lei ama scherzare e ad Altea, una bambina incredibilmente seria per la sua età proprio come suo padre, gli scherzi non piacciono affatto: da quando al suo compleanno Ilaria le ha rovesciato un barattolo di cioccolata in testa, mia figlia non le ha ancora rivolto la parola.
«Che ne dici se ci buttiamo in pista anche noi?» propone la mia amica con un sorriso.
«Non so se è una buona idea…»
«Non fare quella faccia: siamo venuti qui per divertirci. Non puoi andare a un ballo senza ballare! Sei stata tu a insistere per venire… e non mi hai ancora detto perché.»
«Mio padre ogni anno portava la nostra famiglia a visitare un castello poco distante dalla casa dove sono nata e restavo sempre senza fiato di fronte alla magnificenza della sala ballo. Volevo provare di nuovo quell’esperienza, ma sono passati tanti anni e non sono più una bambina.»
Restiamo a parlare un po’, mentre la luce argentea della luna illumina la finestra alle sue spalle, poi Ilaria prende entrambe le mie mani e mi trascina al centro della sala. Volteggiamo insieme sulle note di un valzer mentre avviso Altea che è libera di girare per la stanza, ma le ricordo di non allontanarsi troppo. Ora che mi guardo intorno mi accorgo che è l’unica bambina, l’unico puntino bianco in un mare di rosso; in effetti in altre circostanze l’avrei lasciata a casa con la baby-sitter, ma in questi giorni non lavora perché è malata e poi ho pensato che le sarebbe piaciuto venire qui.
All’improvviso si spengono le luci e la musica, lasciando spazio a un brusio confuso. Ho perso di vista Altea, spero solo che non si spaventi tutta sola al buio.
Quando si riaccendono le luci sento grida agghiaccianti attraversare la sala e mi rendo conto che tutti stanno correndo verso l’uscita in modo disordinato. Cerco Altea con lo sguardo e quando la trovo il mio cuore perde un battito: è accasciata al muro, il vestito bianco tinto di rosso sul petto. Qualcuno commenta a voce alta: «L’assassino deve essere ancora qui, forse è uno di noi.»
Alla parola «assassino» sento la testa girare e, non appena un medico lì presente mi conferma che non c’è più nulla da fare, mi precipito giù per le scale. Uscendo dal portone controllo il cellulare: otto chiamate perse da Ilaria. Deve aver seguito la folla che usciva senza accorgersi di quello che era successo. Vedo una macchina familiare sul marciapiede opposto e mi avvicino.
«Ciao Fabio, per caso mi daresti un passaggio fino a casa? Sono venuta insieme a Ilaria ma credo sia già andata via.»
«Certo, sali.»
Solitamente amo passeggiare per le strade di notte, ma dopo quanto appena successo non mi sento tranquilla. Ovunque il mio sguardo si posi vedo il corpo senza vita di Altea con una ferita di arma da taglio all’altezza del cuore.
«Come mai anche tu qui? Non ti ho visto al ballo» chiedo per distrarmi.
«Infatti non ero lì.»
Il telefono squilla: è di nuovo Ilaria.
«Scusami, non avrei dovuto lasciarti, sono una pessima amica. Io… mi dispiace, adesso arrivo e ne parliamo. Sono andata via perché Fabio mi ha incontrata e mi ha detto che ti avrebbe riportata lui. Avevo troppa paura, perdonami.»
«Non preoccuparti, sto bene.»
«Ho saputo di Altea… mi dispiace che…»
«Ascolta devo andare, ci sentiamo.»
Fabio mi osserva dallo specchietto mentre termino la chiamata. Sono seduta sul sedile posteriore perché quello anteriore è sommerso da scatoloni. So che sta traslocando insieme alla sua compagna in una villetta fuori città, anche se ci siamo conosciuti solamente qualche mese fa alla festa di compleanno di Ilaria.
Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di un vestito bianco macchiato di sangue, ma la vittima questa volta sono io.
«Come va il trasloco?» chiedo.
Fabio non risponde.
«Tutto bene? Ho detto qualcosa che ti ha ferito o…»
Mi interrompo quando lui si gira di scatto verso di me puntandomi una pistola alla testa.
«Fabio, cosa stai facendo? Dove hai preso quella pistola?»
Non mi ascolta; ripete fra sé e sé parole sconnesse. Il suo polso trema, la sua coscienza vacilla, lo sguardo si annebbia.
«Non farlo Fabio, guardami!»
«Lei mi ucciderà…»
«Lei chi? FABIO, LEI CHI?»
Il parabrezza si infrange; Fabio è ricoperto da schegge di vetro. La sua pistola cade tra le mie mani. La macchina è finita contro un albero a margine della strada mentre lui era voltato verso di me, i rami sono entrati nell’abitacolo e il vetro tagliente ha ferito gravemente Fabio. Credo sia morto.
Scendo dall’automobile stringendo la pistola in mano. Il tempo di voltarmi e riconosco una voce familiare.
«Lo ammetto, quasi speravo che il tuo amico fallisse. Per lo meno ha allontanato la tua stupida amica come avevo chiesto. Ho atteso per anni il momento in cui ti avrei guardato di nuovo negli occhi, per l’ultima volta prima che li chiudessi per sempre. Il mio volto tornerà nei tuoi incubi.»
«Cosa ci fai tu qui?»
«Saluti così la tua cara sorellina? Nostra madre ci aveva insegnato le buone maniere, sbaglio? Ti è piaciuta la festa? Sapevo che saresti venuta, da quanti anni non ci vediamo? Dieci forse?»
«Sapevi che avrei portato Altea, hai ucciso tua figlia!»
«No, ti sbagli, quella non era mia figlia; non più dopo che tu me l’hai portata via, come hai fatto con tutto il resto.»
«Cosa vuoi da me, non ho nulla da dirti.»
«Voglio giustizia Martha.»
«Ti ho ucciso una volta e posso farlo di nuovo, attenta a ciò che dici.»
Faccio qualche passo e ci posizioniamo l’una di fronte all’altra.
«Perché lo hai fatto?» mi chiede con sguardo di sfida.
«Semplice: perché Martha De Graaf non era nessuno, Melanie invece aveva una famiglia, una figlia, un marito che l’amava, amici in tutta la città e un lavoro stabile. È stato semplice prendere la tua identità: siamo gemelle, sai anche tu che difficilmente gli altri riescono a distinguerci.»
«Per questo motivo hai ucciso mio marito, lui ti aveva scoperta!»
«Ti amava davvero quell’uomo, è morto invocando il tuo nome. Un vero peccato che sia stata costretta a soffocarlo, ma non smetteva più di domandare di te.»
La tensione si intensifica tra i nostri sguardi, i respiri si fanno sempre più veloci.
«Un piano perfetto: ti trasferisci in un altro paese, rompi i rapporti con i tuoi vecchi amici, costruisci una nuova vita, con una nuova identità e un nuova famiglia. Peccato che io non facevo parte di questo piano, perciò mi hai gettato giù dalla scogliera, quella notte, nella nebbia. Ci eri quasi riuscita: uno scoglio mi ha tagliato la scatola cranica e hai visto la spiaggia tingersi di rosso mentre le onde mi portavano via. Io però ero viva, un traghetto mi ha soccorso e mi ha portato all’ospedale più vicino. Dopo giorni mi sono accorta di non avere più una mia identità e all’infermiera ho dato il tuo nome.»
«Mi ricorda tanto gli scherzi che amavamo fare da bambine: ci siamo scambiate anche stavolta, però non stiamo più giocando.»
La testa gira vorticosa; alla luce opaca del lampione si intravedono chiazze di sangue sul vestito rosso. Non è armata, eppure il lampo di follia che attraversa i suoi occhi mi fa rabbrividire: non esiterebbe a uccidermi a mani nude. Stringo la pistola con tutta la forza che ho e la punto verso di lei. Niente più parole, dobbiamo porre fine a questa storia una volta per tutte. Premo il grilletto.
Un tonfo sordo; tre gocce di sangue cadono sull’asfalto. L’ultima cosa che vedo davanti a me sono gli occhi blu di Melanie che sono il riflesso dei miei; il ricordo di due bambine che giocano insieme a sfidare le onde. Una mano gracile stringe la mia, distesa a terra. Chiudo gli occhi; dopo solo il buio.

Pubblicato: 23 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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