Tra un ulivo e un altro, nello scorcio tra due rami, si intravede Proserpina. Immersa nel verde e avvolta in una densa aria calda si intromettono alte case di pietra e stradine che si snodano una sopra l’altra costeggiando alberi, cespugli di bacche e fiori profumati. Ogni singolo arbusto, foglia e filo d’erba però, probabilmente il giorno prima non era ancora germogliato oppure era appena una ruvida zolla. Infatti, se dovessimo tornare indietro nel tempo, quando la città era ancora disabitata e deserta, sul suolo avremo visto solo terra arida e sassi. La fitta vegetazione si è sviluppata e coltivata solo con l’arrivo delle persone, non dell’individuo, ma delle famiglie, degli innamorati, e anche di quelli che invece provano rancore e gelosia. Per questi ultimi infatti, nascoste dietro i muri, tra una casa e l’altra, crescono in silenzio rampicanti dalle spine pungenti e dalle foglie rosse e velenose. Capaci di inerpicarsi su qualsiasi cosa che intralci il loro cammino, di scavalcarlo e lasciarlo indietro avvelenato.
Una volta girato l’angolo però ci si ritrova nella piazza principale della città, la quale al centro cresce in tutta la sua maestosità una quercia sugheraia, dai rami robusti come tronchi stessi e foglie scure e spesse. Quest’albero fu il primo a nascere e prendere forma quando a Proserpina giunse la famiglia fondatrice, che diede origine a ciò che ora splende in tutte le sue sfumature di verde. Non è certo merito degli accidiosi e i malvagi se dopo tutto questo tempo il centro della città vanta ancora la sua quercia. Anzi è solo grazie a quelli che si distinguono chiaramente dai precedenti se si è mantenuto in vita senza il bisogno di nutrienti particolari o eccessiva irrigazione. Semplicemente la quercia è stata alimentata da sentimenti, sentimenti che ininterrottamente sono stati coltivati a distanza di anni e di generazioni. Nonostante gli alti e bassi, le incomprensioni che hanno fatto cadere qualche foglia dall’albero, complessivamente le relazioni nella comunità di Proserpina sono state in grado di mantenere il grande millenario in vita.
Dalla piazza la città si divide in tanti sentieri che passano tra un palazzo e un altro. Anche senza entrare in nessuna casa si può notare come in ogni abitazione, sotto a ciascuna finestra e sopra ogni balcone siano accumulati vasi, anfore e centinai di altri recipienti pieni di ogni genere di fiore o specie vegetale. Però nessuno di quelle è stata messa lì casualmente o sparpagliata sulle piastrelle di terracotta come potrebbe sembrare. Nessuno le ha lasciate lì ad accumularsi solo per incuria e dimenticanza. Ognuno dei recipienti continente terriccio fertile e semi che ogni proprietario custodisce con estrema cautela e conserva con preziosità. In ogni variazione di vegetale, nel suo odore o nei petali scorrono sentimenti, memorie e ricordi che senza il giusto trattamento e nutrizione seccano e perdono la loro sostanza. Ed è grazie all’odore, al colore e la specie di verde cresciuta nel vaso se si è in grado di rivivere ogni momento semplicemente ricordandosi di ciò che cresce in quel vaso. Ed è per quello che la parola pianta viene considerata insignificante dagli abitanti di Proserpina, per il modo in cui viene sottovalutata la figura che rappresenta, che contiene molto più di minerali e clorofilla.
La sua essenza non è nota neanche agli abitanti di Proserpina, che passano il loro tempo a prendersene cura come se appena ne seccasse un filamento, un frammento della loro memoria andasse perduto per sempre. Ma anche metri e metri al di sotto dei loro piedi si sviluppano distese di radici che si legano e intrecciano l’una con l’altra. Ci sono quelle più annodate e più profonde, simbolo di esperienze condivise nel tempo e di legami inscindibili e quelle che invece si devono ancora incontrare nel loro percorso e rimangono quasi affioranti.
A volte si alza lo sguardo e fitte nubi grigie iniziano a circondare il sole offuscandone i raggi. Guardi in basso e la superfice del terreno inizia gradualmente a ricoprirsi di uno strato di pioggia leggera. Le foglie sembrano quasi lasciare spazio l’una all’ altra separandosi in modo che ciascuna possa godere di qualche goccia. Ma ci sono quelle che si nascondono tra i muri e sotto i sassi, quelle che pungono e che avvelenano qualsiasi cosa gli si avvicini o si ritrovino davanti. Loro invece provano a incastrarsi nelle fessure dei marciapiedi e dei muretti, scappando dalla pioggia. Lei però le rincorre scivolando su tetti e tra le grondaie e le segue fino a scovare il loro nascondiglio. Lentamente, goccia per goccia le fessure si allagano e quando le strade si inondano, finalmente sarà arrivato il giorno in cui tutto viene ripulito. Tutte le malefatte cancellate e dimenticate, le condotte dei prepotenti e degli egoisti vengono annegate dal pianto del cielo. La prossima volta che usciranno dalla crepa dentro la quale si erano rifugiati, saranno germogliati in fiori lilla. Tutto quello che è bastato per far sì che ciò succedesse sono state le lacrime, il sudore e l’impegno della gente che il cielo ha riversato. Il loro amore è stato ripagato con la pioggia, che oltre ad aver irrigato i loro ricordi ha trasformato ciò che di male cresceva, in bene.
Il nostro mondo sarebbe un mondo pieno di foreste maestose, se avessimo tutti più cura uno dell’altro. Se fossimo tutti in pace l’uno con l’altro, nonostante i disaccordi. Se avessimo ciascuno la volontà di mantenere le cose belle in vita e dimenticarci delle erbacce. Allora forse, saremo fortunati a sufficienza di mai ritrovarci in una città come Proserpina, dove anche le erbacce e le spine ci fanno apprezzare ciò che di bello ci offre la vita.