Lunedì 9 Maggio
Lo fai una sola volta. Ti rendi conto che ce l’hai fatta. Dici a te stesso di essere in grado di continuare. Così vai, non ti fermi mai, ti muovi, sudi, salti, rimani a fissare i secondi che a uno a uno compaiono e scompaiono sullo schermo del pc. Cuffie. Musica al massimo. Lil Peep che canta dei suoi problemi con quella ragazza mentre tu vai avanti e indietro, indietro e avanti per la tua stanza. E così faccio anche io. Mi affaccio alla finestra. Fuori è l’alba. Non un rumore. Quindi torno dentro, decido di guardare l’ora: le 5.48. Mancano una ventina di minuti. Riempio il poco tempo rimasto sistemando la mia camera. Troppe magliette, felpe, pantaloni, scarpe in un’unica piccola stanza. Non oso neanche lontanamente avvicinarmi al letto. Alcune magliette le avevo tirate fuori senza neppure usarle. Seguendo il segno già presente, comincio a piegarle accuratamente. La prima. Tutto bene. La seconda. E sono le 5.53. Nel frattempo metto come sottofondo un episodio di Skam Italia, che ho visto e rivisto. Mi siedo un attimo su una sedia a riflettere. Ho veramente intenzione di fare questa cosa ancora e ancora? «Boh, dai vedremo» penso. Sono le 6.08. Mia madre si sveglia alle 6.10, quindi spengo tutto e mi metto tra le coperte. Ci vuole molto autocontrollo per resistere. Molta forza di volontà. Imposto la sveglia alle 6.12 e appoggio la testa sul cuscino. Sento la sveglia di mia madre che suona; si alza e va in cucina. Due minuti dopo suona la mia, mi alzo e mi dirigo in bagno per una doccia. Acqua gelata possibilmente. Corro a fare colazione. Non mangio da ieri sera. Può sembrare una cosa normale. È quando si cerca di rimanere svegli per tutta la notte che la fame arriva prima del dovuto però, per non fare confusione e cercare di non svegliare i miei genitori, mi ero chiuso in camera. Non avevo pensato minimamente al cibo, ma ormai l’avevo superata. «Mi faccio del caffè.» Mia madre mi guarda storto: io non bevo caffè. «No, non te lo fai non ti serve tutta quella caffeina.» Quindi prendo solo latte e cereali: tanto il caffè lo avrei preso a scuola. Alle 7.02 sono fuori casa, aspettando il bus. Sono 25 ore che non dormo, ho passato solo una notte. Ginnastica le prime due ore. Sono carico oggi. Sono molto positivo. La corsetta di riscaldamento la faccio più veloce e meglio degli altri. Zero stanchezza. Ho voglia di correre, di urlare, saltare. Dopo 24 ore il nostro cervello aumenta il livello di dopamina per compensare la mancanza di sonno. E così a pallacanestro divento campione nazionale. Le ultime tre ore sono attentissimo. Prendo nota di ogni cosa che l’insegnante dice. Mi dirigo verso casa, pieno di energie, musica alle orecchie, cammino velocemente.
Dopo 36 ore senza dormire generalmente si ha un innalzamento di pressione, seguito da disidratazione. E così mentre studio biologia sulla mia scrivania, mi accorgo che la mia concentrazione va scemando, così come l’umore «euforico» che avevo stamattina.
Alle 19.02 esco di casa e mi dirigo verso la palestra. Sto camminando sul marciapiede, un passo dopo l’altro. Per una frazione di secondo vedo tutto nero, passo falso: inciampo. Forse è meglio che questa volta salto la lezione? Magari ci torno quando il mio corpo si abituerà, anche se allenarmi mi sarebbe stato d’aiuto per svegliarmi. Torno a casa, ceno. Sento come se l’ossigeno non mi arrivasse bene al cervello. Alle 22.39 i miei vanno a dormire, sono il solo a essere sveglio. La scorsa notte ho faticato a rimanere sveglio, inoltre ho quasi 48 ore di sonno arretrate, quindi questa volta sarà molto più complicato. Ma io ero più che preparato: una corda. Il mezzo con cui sarei potuto uscire e rientrare dalla finestra di camera mia al secondo piano quando volevo. Sono le 23.07, mi sto calando giù. Avevo con me giusto il necessario: portafoglio, cellulare. Non avevo intenzione di perdere anche solo un minuto. Non volevo addormentarmi e ritrovarmi lei nuovamente nei miei sogni. Mi ero accuratamente organizzato con il mio gruppo di amici (che non sanno nulla del mio nuovo obiettivo): lunedì sera, 23.30, al CluBaldoria, una discoteca aperta solo recentemente. Sono seduto su una panchina, aspettando il bus. Arriva dopo una decina di minuti, fortunatamente si ferma, e decido di andarmi a sedere in fondo, immerso nella mia musica. 505 degli Arctic Monkeys si interrompe da una chiamata. Ludovica? Rispondo. «Oi, è successo un macello.»
Martedì 10 Maggio
Sono in ritardo. Il bus continua il suo percorso, qualche curva, qualche pozzanghera della notte prima. È praticamente vuoto. Solo io, l’autista e una vecchia signora, sull’ottantina? Perché dovrebbe trovarsi in un bus diretto fuori città a mezzanotte di un martedì?
Mi sento stordito. Ogni tanto è come se mi spegnessi per qualche secondo: il mio cervello cerca disperatamente un solo attimo di riposo. Sono su quella sedia inerme, fissando il nulla. Squilla il telefono. Rispondo. È bene che questo si sbrighi a portarmi al CluBaldoria. Delicatamente mi appoggio sullo schienale del sedile davanti al mio. Sembrava morbido quanto un cuscino. Sembra di essere nel mio letto. Sento le nuvole soffici.
L’autobus frena di colpo, svegliandomi e facendomi sbattere la testa indietro. Non so per quanto ho chiuso gli occhi, ma non è abbastanza. Mi sento stordito. La signora non c’era più. Scendo. Sono le 00.20. Mi stanno tutti aspettando. Entro e subito cerco Ludovica. Cammino a stento. Non vedo nulla. Sento solo voci su voci che si sovrappongono e creano caos nella mia testa. «Scusa tu saresti… ?» dice uno. Lo guardo, cerco di continuare. Dove sono gli altri? Provo a chiedere a qualcuno, ma a stento riesco ad avere una comunicazione sensata. «Dovrebbero essere in fondo alla sala, lì, tra i tavoli.» Mi guardo intorno, cerco di trovare facce conosciute. La musica è forte e ritmata. Alzo la testa verso il soffitto, lo guardo per qualche secondo. Mi sento qualcosa volare in faccia. Pezzi di muro stavano crollando. I ragazzi continuano a ballare. Nessuno si stava accorgendo che il soffitto stava cadendo a pezzi. Cerco di correre via. Non riesco a fare granché. Mi giro verso un’altra direzione.
Dopo 72 ore: allucinazioni visive e uditive causate dalla mancanza di sonno.
Vedo lei. Lei, la persona con cui avevo passato tutta la mia infanzia, era lì. Sorride. Proprio colei che mi aveva fatto passare gli anni migliori. È lei che guardavo negli occhi la sera prima della fine. Con quegli occhi pieni di lacrime. Lei su quel letto d’ospedale. Lei che mi guardava e sorrideva. Che mi teneva la mano. Me la stringeva, mentre la presa diventava sempre più debole. Lei che continuo a vedere tutte le notti. Il motivo per cui avevo smesso di dormire. Lei.
Mercoledì 11 Maggio
Mi sveglio. Sono a casa. Mi sento bene.