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Fantascienza
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Fascia 16-19
Nostalgia di un nuovo mondo

Un taccuino rovinato e consumato custodito gelosamente nel suo pesante zaino di scuola era il protagonista delle giornate di Irene. In un mondo ipertecnologico e industrializzato, ma estremamente egoista e individualista, scrivere e sognare erano le uniche valvole di sfogo che le erano rimaste.

Irene, determinata e sensibile, aveva appena compiuto sedici anni, spegnendo le candeline nel buio delle sua camera e, nonostante gli anni passassero imperterriti, continuava ad avere un grandissimo sogno che conservava, con cura e un po’ di imbarazzo, in una parte recondita della sua mente.

Ogni notte, prima di addormentarsi, rifletteva sul suo futuro incerto. Con le mani a sorreggere la sua testa pesante di sogni instancabili e di desideri che sentiva essere irrealizzabili, immaginava e fantasticava sul domani.

Era un tipico lunedì mattina: l’autobus aveva fatto venti minuti di ritardo e, una volta arrivato, Irene prese posto vicino al finestrino, impegnandosi a disegnare nella sua fantasia un mondo perfetto: in periferia, nella purezza della natura e immerso nella pace e nella solidarietà. Poi, però, l’autobus si fermava, il monitor segnava la sua fermata e l’amara realtà le piombava addosso. Si guardava intorno e si rendeva conto del fatto che, alla fine, non aveva alcun colore per dipingere il nero che la circondava.

«Scrivi bellissime cose per il tuo pianeta, Irene, ma purtroppo non rappresentano la realtà», le diceva sempre sua mamma. «Dovresti diventare un’attivista», diceva con tono ironico e pessimistico suo padre.

Nel suo paese, oramai, erano anni che ogni inverno pioveva acido cianidrico e metano e ogni estate le temperature superavano i quarantasette gradi a causa di ciò che chiamavano “riscaldamento globale”. Ogni giorno, il telegiornale aggiornava ogni casa sullo scoppio di nuove bombe atomiche e sulle statistiche di gas e polveri nocive presenti nell’ambiente. Tutta la popolazione era costretta a restare a casa il più possibile e aveva il permesso di uscire solo per lavoro, per andare a scuola e per situazioni d’emergenza. Irene, probabilmente, fuori dalla sua finestra aveva potuto ammirare solo palazzi e fabbriche e, a vederli tutti i giorni, iniziava anche a dimenticarsi del sole.

Eppure, sua nonna le aveva raccontato spesso che, tanto tempo prima, gli animali non erano solo una leggenda, il cielo era davvero azzurro e luminoso, il mare blu e cristallino e le mascherine non servivano a proteggersi dall’inquinamento. Irene ci credeva davvero e sperava vivamente di svegliarsi una mattina e sentire l’odore fresco del mare, puro degli alberi, dolce dei fiori.

Quel giorno, tornata da scuola, si imbatté nell’ennesimo articolo che affermava che Padova, insieme a Torino e Milano, era una delle città più inquinate d’Italia. Era infastidita e frustrata, ma non perdeva la speranza di cambiare il mondo.

«Ci vorrebbe più cura nei confronti di quello che ci circonda. Se solo imparassimo a metterci, ogni tanto, nei panni degli altri, avverrebbe una meravigliosa rivoluzione umana.»

Mentre si appuntava tutte queste riflessioni, il sole cupo era tramontato e la stanchezza stava cominciando a prendere il sopravvento. La mano che continuava a scrivere imperterrita e decisa iniziava a rallentare nel suo compito. Gli occhi vispi e attenti iniziavano a chiudersi ad intermittenza e, così, appoggiata la testa sul cuscino, il suo corpo venne avvolto dalle braccia di Morfeo.

Uno squillo fastidioso e sconosciuto rimbombava nelle sue orecchie e una strana luce fulgida si insinuava con insistenza nelle serrande della finestra. Quella mattina, Irene si svegliò di soprassalto. Il cuore le martellava velocemente nel petto, sembrava voler uscire dal suo corpo e correre all’impazzata per la stanza. Sentiva il suo corpo accaldato, febbrile e debole. L’orologio segnava le 6:45 del 23 maggio 2043. Quindi, si stropicciò gli occhi assonati, cercando di ritornare alla realtà e tentò di capire da dove provenisse il rumore irritante che l’aveva svegliata. Iniziò, però, a preoccuparsi, quando si ricordò di aver sentito al telegiornale che mancava poco alla più grande tragedia ambientale della storia, più grave perfino del Grande Smog che colpì Londra nel dicembre 1952. I cittadini erano stati avvisati e rassicurati, gli addetti alla sicurezza civile avevano deciso il regolamento e le misure da rispettare nel caso questo terribile avvenimento avesse toccato la Terra. Le rotelle del suo cervello, soffocato dai pensieri e dalle preoccupazioni, stavano girando alla velocità della luce. Non riusciva a realizzare cosa stesse per succedere. Irene si precipitò fuori dalla sua camera. Era madida di sudore, lacrime calde le rigavano le guance e le sembrava che il suo cuore stesse rallentando. Era terrorizzata. Aveva solo sedici anni e la sua vita sarebbe finita così? Sarebbe terminata per colpa di persone troppo impegnate ad idolatrare i soldi, senza preoccuparsi dell’amore e delle emozioni? Sarebbe finita per colpa di persone troppo focalizzate sul vivere nella ricchezza, uccidendo chi avrebbe solo voluto prendere una boccata d’aria senza una mascherina sulla bocca?

La porta d’ingresso della sua villetta si spalancò e due uomini alti e vestiti con tute bianche e grandi maschere antigas entrarono con decisione nell’ingresso. Uno di loro aveva tra le mani un registro grande e disordinato; si guardò intorno e, poi, catturato lo sguardo perso di Irene, chiese: «È lei Irene Monetti?». La ragazza osservò i genitori che le fecero segno di rispondere e lei annuì intimorita. «È stata scelta insieme ad altri suoi tre coetanei per avviare la missione di colonizzazione di un nuovo pianeta». Irene spalancò la bocca: era disorientata e sconvolta. I due uomini, però, la sollecitarono a fare in fretta e Irene, ancora con le mani tremolanti, si asciugò il viso umido, recuperò uno zainetto e ci mise alla rinfusa le prime cose che si trovava davanti e il suo adorato taccuino. Si precipitò, così, fuori dalla sua casetta con il cuore in gola e una strana sensazione di euforia ad invaderle il corpo. I genitori, apprensivi e agitati, la scortarono fino alla centrale spaziale e la salutarono tra baci e singhiozzi.

Una volta entrata nel camioncino che l’avrebbe portata sulla pista della sua navicella, l’uomo che le aveva comunicato di essere stata scelta per questa importante spedizione spiegò ai quattro giovani curiosi la situazione: la navicella sarebbe partita a breve per atterrare sul pianeta Aurora. Scienziati e ambientalisti stavano studiando da anni una possibile alternativa al loro pianeta con l’obiettivo di far nascere una nuova comunità. Ormai, la Terra stava per deteriorarsi: il clima era insostenibile, l’aria irrespirabile, la fauna e la flora a tratti inesistenti e le persone sempre più nemiche e ostili tra loro. L’unica opportunità di rivoluzione e cambiamento era migrare su un altro mondo per sviluppare nuovi principi, idee innovative e abitudini sane. Il compito era stato affidato proprio a quattro ragazzi dai quindici ai diciotto anni, provenienti da ogni paese della Terra, così che non fosse un posto influenzato da opinioni adulte, retrograde o assolutiste. «Cosa potremmo mai migliorare sulla Terra, se abbiamo già distrutto il nostro pianeta?», sussurrò retoricamente Giovanni, uno dei ragazzi. Aveva diciassette anni, era di Torino e sembrava l’unico calmo e ottimista. Aveva la testa alta e un sorriso fiducioso.

Irene, invece, stava realizzando di dover abbandonare per sempre la sua Terra, i suoi colori, la sua vecchia vita, ma un anomalo trambusto, seguito da un brusco atterraggio fece capire ad Irene che era arrivato il momento di realizzare quel sogno tanto inseguito e che sperava di realizzare. Quando tutti disordinatamente scesero dalla navicella e misero piede sulla terraferma, la voce sicura di Giovanni spezzò il silenzio: «Qualcuno dovrebbe indirizzare e guidare lo sviluppo di questa comunità». Simon, un ragazzo della Colombia, alzò la mano e disse: «Io sono forte e vigoroso, potrei essere un valido candidato». Giovanni, però, scosse prontamente la testa: «Forse non abbiamo bisogno di forza, ma di gentilezza e delicatezza». Tutti si trovarono d’accordo con l’affermazione sincera di Giovanni e decisero di sorteggiare il nome che avrebbe dato un ordine a questa nuova società.

Giovanni estrasse il biglietto stropicciato contenente il fatidico nome dalla sua tasca e lo pronunciò: «Irene». All’udire il suo nome, le gambe iniziarono a tremarle e gli occhi le erano diventati lucidi. Si fece coraggio e si diresse verso il punto più alto del Pianeta; ad adornarle il viso un sorrisetto timido. Prese il suo taccuino e pronunciò il discorso che avrebbe dato inizio a un nuovo mondo: «L’uguaglianza è un obiettivo da perseguire. Siamo tutti diversi, è vero, e non siamo dotati tutti delle stesse capacità e degli stessi talenti, ma dobbiamo avere tutti le stesse opportunità per sviluppare quelle capacità e quei talenti. Il primo passo è eliminare ogni tipo di discriminazione perché non abbiamo più bisogno di violenza per fare passi avanti. Dobbiamo impegnarci a promuovere e tutelare i diritti di tutti coloro che aspirano ad essere liberi perché la libertà è un nostro grande diritto. Dobbiamo unirci, collaborare e amarci per dare vita a qualcosa di importante e di rivoluzionario. Non è facendo la guerra che ci evolveremo. Stringetevi le mani e regalatevi un sorriso: è questa la pace; è questa la vera rivoluzione. Abbiamo visto il nostro pianeta esaurirsi e spegnersi e, quindi, siamo stati chiamati per costruirne un altro. Siamo stati chiamati noi adolescenti perché rappresentiamo il futuro e perché pieni di speranze. Ho capito che non è mai troppo presto per fare la differenza e ora è il nostro turno. È compito nostro rimboccarci le maniche per una necessaria palingenesi e per creare un mondo più pulito, più solidale e più sano e sono sicura del fatto che ognuno di noi, a modo suo, darà il contribuito adatto per rifiorire».

Irene concluse il suo discorso, seguito dagli applausi entusiasti dei compagni, con il cuore in gola e, per la prima volta, sorrise, realizzando che quello non era più solo un sogno nascosto nel cassetto, ma la realtà che lei avrebbe creato e finalmente vissuto.

Pubblicato: 20 Gennaio 2023
Fascia: 16-19
Commenti
Bello, nonostante io non ami particolarmente i testi di fantascienza, questo mi è piaciuto. La conclusione è sicuramente la parte più bella!
05 marzo 2023 • 12:14