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Fascia 16-19
Ninna nanna

Non dormo da giorni, ormai la notte è fatta di fragilità che in quanto uomini forse non dovremmo avere e confessioni che abbiamo bisogno di fare a qualcuno per sentirci un po’ a casa, illudendoci che sia soltanto un intimo campeggio, con i nostri più cari amici. Finché cala il silenzio, che striscia come un serpente crudele, e il peso della realtà ci casca sulle spalle più pesante di qualsiasi arma che dobbiamo caricare. C’è chi parla dell’amore della sua vita lasciato in stazione non con un lungo bacio d’addio, ma con uno fugace quasi quotidiano, promettendo che ce ne sarà un altro, un altro e poi un altro ancora. Chi della figlia alla quale ha promesso di tornare con tante belle bambole, e alla moglie di tornare a dormire tra le sue braccia. Chi per ultimo parla di sé, racconta dei suoi sogni e di come li realizzerà. Solitamente sono i più giovani, quelli che ancora credono e sperano, noi più vecchi siamo consapevoli che nulla sarà come prima. Poi nessuno parla più, ognuno pensa che l’altro stia dormendo o forse è ciò che vogliamo credere, ma la verità è che piangiamo. Noi uomini piangiamo. Versiamo lacrime che nessuno asciugherà né capirà mai. Abbiamo rimorsi, perché vediamo i nostri compagni morire giorno dopo giorno e con loro la propria moglie, figlia e sogni e ci chiediamo se avessimo dovuto fare qualcos’altro per loro e ci tormentiamo per questo, come lo facciamo per tutte le persone che dobbiamo invece uccidere noi. Anche loro hanno una madre, una moglie e dei figli che non rivedranno più e ce lo porteremo sulla coscienza per tutta la nostra vita, sognando i loro visi privi d’espressione, gli occhi diventare bianchi e il corpo cadere inerme al suolo. E siamo sicuri che anche loro ci pensano e si maledicono, ma non possono e non possiamo farci niente. Siamo nemici, non persone, non più. Ma soprattutto abbiamo paura di morire e, a dirla tutta, anche di vivere, perché non esistono vincitori e vinti nella guerra, comunque vada qualcosa dentro di noi sarà sempre spezzato. La guerra ci toglie tutto ciò che di umano ci resta, siamo costretti a uccidere il nostro prossimo, prendiamo la mira e uccidiamo. Se pensiamo troppo è finita. E così, in silenzio, passa un’altra notte senza il calore della vita che avevamo prima e che nessuno ci ridarà. Il rumore delle urla dei miei compagni e il susseguirsi di spari mi stordiscono e non capisco cosa stanno dicendo, penso a mia madre, al suo sguardo stanco e arrabbiato con la vita per aver invertito la rotta. Un genitore non dovrebbe avere la consapevolezza che suo figlio potrebbe non tornare mai più a casa, il tocco della sua mano raggrinzita per l’età, ma morbida come la pelle di un neonato, è l’unica cosa dolce che posso ricordare. Sono stordito dalla velocità con cui stanno succedendo le cose e continuo a non comprendere ciò che i miei compagni stanno, stavolta, urlando. Allora una voce mi raggiunge, riecheggia nella mia testa riportandomi alla realtà, mentre il vuoto mi riempie il petto e il cuore: «Granate». Per un secondo sento la mia mente liberarsi di qualsiasi altro pensiero e rimanere vuota, mi volto e scorgo lo sguardo severo, consapevole di non so bene cosa e magari nemmeno lo voglio sapere del mio amico. Nei suoi occhi ho visto per la prima volta la famiglia per la quale piangeva di nascosto la notte, senza nemmeno conoscerne i volti. Poi, il silenzio. Sento un enorme peso gravare su di me, non respiro e con le ultime forze rimaste lo spingo via, un corpo. Vedo Francesco, mio compagno, o meglio intuisco sia lui, chiede aiuto disperatamente, ma non riesco a muovermi. Urla di sentire caldo, urla contro Dio implorando di non farlo morire, chiede di vedere il figlio, prega per un suo abbraccio, poi muore accanto a me ed io non riesco a muovermi. La mia bocca è piena di polvere e ho un bisogno disperato di acqua, gli occhi bruciano, le orecchie pulsano e un dolore lancinante si sparge lungo tutto il mio corpo. Sento una voce fin troppo limpida per essere quella di uno dei miei compagni, allora capisco che si tratta della radio, inizio poco a poco a strisciare e mi rendo conto di non sentire le mie gambe. Tasto a vuoto il suolo finché non percepisco la forma rettangolare della radio, la prendo e comincio a parlare: «Il nemico è andato via, ma tornerà presto, quando sentirò i loro passi pesanti e gli spari di sicuro morirò. Sono morti tutti i miei compagni, soltanto io sono rimasto in piedi, erano tutti amici miei… ma presto li raggiungerò. Sono ferito anch’io comandante, ferito gravemente, lo capisco dal sangue che scorre. La vita scappa da me, da questo corpo malmesso che non ha mai dubitato di mettere in gioco la sua vita in nome di un sogno che ormai non realizzerà. Cercherò di difendere la patria signore, simbolo della mia fedeltà, se arriva prima la morte voglio che loro mi trovino in piedi, in piedi e ribelle, come ho sempre vissuto. Non cadrò comandante, io mi alzerò e combatterò, voglio che abbiano chiaro in mente che io non mi sono mai arreso. Sto perdendo i sensi signore, ormai quasi non vedo più… Morte, aspetta un momento che tra poco arriveranno. Vedo arrivare una donna… sorridendo verso di me, ma se quella donna è la morte, chi ha paura di morire? Si avvicina sempre di più e qualcosa nel suo viso mi è familiare. Sta cantando una ninna nanna della mia terra natale, mi sta accarezzando il viso, me la cantava mia madre. Non la dimenticherò mai».

Pubblicato: 24 Maggio 2022
Fascia: 16-19
Commenti
Il racconto mi è piaciuto molto. Ho apprezzato il tema trattato. La scrittura permette di entrare nella mente del protagonista, permettendo di entrare in empatia con lo stesso.
08 maggio 2023 • 11:53