6 Agosto 1945
Harry Truman sgancia sulla città giapponese Hiroshima la prima bomba atomica della storia, soprannominata Little Boy: è anche la prima bomba atomica a essere utilizzata in guerra.
Kaito lesse il titolo in prima pagina del quotidiano inglese ad alta voce e si passò una mano tra i suoi capelli corvini, lo sguardo fisso sulla data di quel giorno.
Nathan, seduto sul prato accanto a lui, anche se cercava di ascoltare senza perdere il filo del discorso, non prestava molta attenzione a ciò che l’altro ragazzo diceva: era fin troppo impegnato a pensare ad altre cose in quel momento.
«Certo che Truman è proprio un bastardo» esordì Kaito, accartocciando il giornale.
«Già» affermò Nathan, senza alzare lo sguardo da ciò che stava facendo, i ciuffi castani che gli coprivano la vista e che doveva costantemente spostare.
«Tu non ci pensi a tutte quelle persone che sono morte per colpa di un folle esperimento? Magari avevano una famiglia, delle persone che amavano…»
«Ci penso eccome!» disse Nathan, e Kaito poté percepire un pizzico di tristezza nella sua voce «ma più ci penso, più vorrei piangere, anche se so che non posso».
Il giapponese lo guardò stranito con la testa leggermente inclinata di lato, al che quello sospirò.
«I fantasmi non possono piangere.»
«Oh, è vero» mormorò Kaito, guardando i fili d’erba solleticargli le caviglie coperte dai pantaloni.
I fantasmi non piangevano perché erano persone morte. Ed essere morti significava che le funzioni del loro corpo, sostanzialmente, non lavoravano più.
Anche se sia Kaito che Nathan erano in grado di provare emozioni, in quanto morti, il loro sistema nervoso aveva smesso di funzionare, e senza il sistema nervoso, che produceva un neurotrasmettitore che stimolava la lacrimazione, era praticamente impossibile piangere.
Kaito e Nathan erano fantasmi, persone ormai decedute e invisibili per tutto e tutti – non che in vita le cose fossero diverse, anzi.
«Non credi che sia una disgrazia? Sentirsi tristi ma non poter piangere… sembra quasi una tortura» chiese Nathan, la testa ancora bassa.
«Già» rispose Kaito, e dopo quella frase ci furono alcuni istanti di silenzio.
Il canadese era ancora intento a maneggiare qualcosa tra le mani, imprecando sottovoce quando ciò che stava creando si spezzava e doveva ricominciare tutto il lavoro daccapo.
«A proposito di pensieri» esordì Kaito per rompere il silenzio tra lui e Nathan «tu ci pensi mai a come e al perché siamo morti? Non avresti preferito una morte diversa?»
Solo in quel momento Nathan alzò di colpo la testa per incontrare le iridi scure del ragazzo seduto accanto a lui, le labbra schiuse per quella domanda così improvvisa e inusuale.
«Scusami, non avrei dovuto chiederlo» disse Kaito, distogliendo lo sguardo imbarazzato «fai come se non avessi sentito niente».
Nathan ci pensò un attimo, indeciso su come mandare avanti la conversazione; poi, parlò:
«Probabilmente mi sarebbe piaciuto morire in guerra, così da essere considerato un eroe. Anche se non credo che avrebbero accettato uno come me nell’esercito.»
Kaito ritornò a guardare il canadese, che ora aveva le labbra curvate lievemente in un sorriso triste.
«Chi l’avrebbe mai detto che la nostra relazione sarebbe stata la causa della nostra dipartita» disse il più grande, portandosi le ginocchia al petto «e pensare che mia madre stava quasi per accettare il fatto che fossi omosessuale».
Quando ancora esistevano – perché sì, prima di incontrarsi esistevano solo, non vivevano – la gente dava loro la stessa importanza che si dà a una foglia d’autunno caduta dal ramo di un albero, oppure ai sassolini che si trovavano sul ciglio della strada. Poi si erano conosciuti, e da quel giorno si erano sentiti davvero vivi, percepivano con nitidezza il forte sentimento che li univa assieme e percepivano altrettanto bene il terrore di quello stesso sentimento.
Tra i due ragazzi cadde un silenzio imbarazzante. Di nuovo.
Ma questa volta, fu Nathan a parlare per primo:
«Lo sai, sono felice di essere morto.»
«Eh?» domandò Kaito, credendo di aver sentito male.
«Non è poi così male essere un fantasma… insomma, posso fare tutto quello che voglio senza essere giudicato perché nessuno mi può vedere… posso anche amarti senza avere più il timore di essere picchiato» disse Nathan sorridendo e, in quel momento, il giapponese sentì il proprio stomaco attorcigliarsi – perché anche se era morto, il sorriso del suo compagno gli faceva sempre lo stesso effetto.
Forse, quello di Nathan era un sentimento egoista.
Ma non importava.
Fin quanto aveva Kaito al suo fianco, e Kaito aveva lui, sarebbe andato tutto per il meglio.
Perché dopotutto erano morti a soli venti e ventitré anni, non avevano avuto nemmeno il tempo di andare a convivere e costruire rapporti solidi con i loro pochi amici, per cui a Nathan restava solo Kaito, come a Kaito restava solo Nathan.
E a loro andava bene così.
Il canadese ritornò a concentrarsi su quello che stava facendo, senza proferire parola.
«È da quando siamo arrivati qui che non smetti di raccogliere quelle margherite, si può sapere cosa stai facendo?» domandò curioso Kaito, guardando il suo ragazzo.
Nathan non rispose; esclamò entusiasta un “finalmente ho finito!”, per poi guardare l’altro sorridendo.
Si mise in ginocchio davanti a lui per poggiare delicatamente sul capo quello che aveva appena creato, senza smettere di sorridere un secondo.
«Una corona di fiori?» disse Kaito tastando sulla testa i petali bianchi delle margherite, i fiori con i quali era stata composta la coroncina.
«Sì! Ti piace?»
«La adoro.»
Il sorriso sulle labbra di Nathan si fece ancora più largo, e in quel momento Kaito si sentì il ragazzo più fortunato del mondo ad avere al suo fianco una persona come lui.
Il giapponese si avvicinò lentamente al volto dell’altro, per poi poggiare le sue mani sulle sue guance e unire le loro labbra in un bacio.
Nathan finì steso sul prato con Kaito sopra di sé, e quest’ultimo si allontanò di qualche centimetro dal suo viso.
«Sei bellissimo» disse accarezzando i ciuffi castani del suo lui.
«Mai bello quanto te.»
«Lo so, al mondo non esiste essere più attraente del sottoscritto» disse scherzosamente Kaito, e Nathan roteò gli occhi divertito.
«Ho detto che sei bello, non attraente.»
«Credevo che la cosa fosse sottointesa.»
Kaito si spostò da sopra il ragazzo e si stese al suo fianco, facendo intrecciare le loro mani.
«Sono felice di poter passare tutta l’eternità assieme a te» esordì Nathan accarezzando con un dito la guancia dell’altro.
«Se fossi in te non direi lo stesso… ho un carattere difficile, lo sai, vero?»
«Sì, ma non importa. Tu per me sei perfetto così.»
Dopo quella frase, Kaito baciò nuovamente il canadese, rischiando quasi di far cadere la corona di fiori.
«Sarà un’eternità stupenda» affermò poi sorridendo.
Ed era vero: ogni momento per Nathan e Kaito sarebbe stato magnifico, per il semplice fatto che, quei momenti, li avrebbero vissuti insieme.

