L’utopista volle la scimmia, e così creò la scimmia. Vide la scimmia ma volle l’uomo, e così creò l’uomo. Vide l’uomo ma rivolle la scimmia. Gli studiosi discutono sull’accezione che il verbo “creare” possa avere nelle sue infinite sfaccettature ebraiche usate nel Grande Libro; per quanto riguarda l’utopista, possiamo subito metter luce su questo punto per non parlarne più in seguito. Gli si presentavano alla testa infatti curiose immagini formatesi dalle cose che gli si presentavano agli occhi. Il suo “io” le tesseva (le immagini) come i ragni fanno con le loro ragnatele e poi, per inerzia, queste si materializzavano, comparivano e scomparivano a suo piacimento, come lucciole di notte. Le loro essenze (intese come impatto fisico-visivo) venivano canalizzate attraverso il trono su cui sedeva l’utopista giorno e notte, nel grande vuoto al fondo di questa vita. Oscuro in questo procedimento rimane cosa abbia stimolato nella sua testa l’idea di scimmia, visto che quando volle l’uomo fu perché vide la scimmia, ma, da quanto sappiamo, niente vide quando volle questa. Dunque gli viene in mente l’uomo come concetto di “oltre scimmia”; se per Nietzsche il rapporto scimmia-uomo risulta essere equivalente a quello uomo-oltreouomo, per l’utopista semplicemente con l’oltreuomo si ritorna alla scimmia, cadendo così, per ironia della sorte, in una sorta di eterno ritorno. Laddove si può vedere nell’utopista una dimostrazione di una grave incoerenza all’interno del sistema filosofico di Nietzsche, noi ci vediamo semplicemente un paradosso su cui è inutile ragionare più di tanto.
Gli uomini erano soliti camminare, e più in generale vivere, con al fianco una grossa fiamma di luce sempiterna; e se per questi era normale averla, il primo di essi dovette aspettare assai prima di esserne illuminato. Attorno a lui niente vedeva bruciare, dentro di lui invece bruciava tutto, e lui non se ne accorgeva. Era infatti il suo desiderio di avere la fiamma che l’utopista gli aveva promesso ad ardere più della fiamma stessa. Inutile dire quanta fosse la sua contentezza nel momento in cui la ricevette e quanto l’ammirava. «La mia fiamma, come brucia, come brucia!» si diceva. Un giorno l’utopista lo richiamo a sé, davanti al suo trono, davanti al suo tetro volto e così lo tentò: «Ora prendi quel dono ch’io ti ho fatto e che porti sempre con te e accompagnalo sul punto più alto della Terra, dove, col vento che soffia lassù, lascerai che si spenga». Il pover uomo, in virtù di quella stessa fiamma che gli ardeva dentro e che lo spingeva a volere e desiderare, si sentiva in dovere di controbattere, eppure la bocca si serrò e rimase ammutolito; era come se qualcosa di esterno lo bloccasse e sottomettesse. L’unica cosa da fare era eseguire gli ordini dell’utopista, e così fece. Nessuno sa dire e forse neanche ipotizzare cosa provasse quell’uomo durante il suo cammino, che per la prima volta da quando ebbe ricevuto la fiamma, fu solitario. Ragionò, e in certi momenti gli sembrò di toccare vette del pensiero molto pericolose, di sicuro più di quella che stava per raggiungere. La fiamma lo consolava di giorno, lo illuminava di notte e non lo faceva bagnare quando pioveva; durante l’intero cammino l’uomo non chiuse una volta gli occhi e sfidò la sete quanto la fame, uscendone vittorioso ma con il cuore affannato dal male di vivere. Infatti, una volta raggiunto il punto più alto della Terra, si sentiva il cuore come totalmente seppellito in una landa deserta e arida. I piedi rimanevano incollati al terreno con chissà quale forza sovraumana, mentre la fiamma cominciava a soffrire per gli innumerevoli soffi del vento, che prima qui e poi lì la coglievano di sorpresa. L’uomo la guardava e per la prima volta vide una forma fissa, stabile, con contorni e colori nitidi… il fuoco, che è vita, che è legge dell’universo quanto la guerra, si stava facendo morte, e con la dipartita di esso, la luce lasciava spazio alle tenebre. L’altro, guardando questo orrendo spettacolo, cedette e si lascò trasportare dal vento che gli fece sbattere la testa contro un sasso. Si risvegliò nella sua bella casetta in mezzo al nulla e con al fianco di nuovo la fiamma; confuso quanto felice si mise alla ricerca dell’utopista fino alla morte. Mai lo trovò e così passò il resto della sua vita errando nella terra e nell’anima.
Dopo di lui comparirono altri uomini con al fianco le loro fiamme e l’utopista tornò a tentare ciascuno di loro; come abbiamo già detto infatti, rivolle la scimmia (senza alcuna fiamma). Questa volta, credendoci fino in fondo, e anche un po’ adirato, inarcò le sopracciglia, gonfiò le guance fino a quasi farle esplodere e soffiò spegnendo così tutte le fiamme. Con esse si spense anche ciò che di ardente e misterioso l’uomo aveva dentro di sé, e così questi tornarono a mangiare banane e ad aggrapparsi su rami di alberi qua e là. Solo pochi di essi si dimostrarono resilienti e si mantennero vivi durante tutta questa sciagura. Questo piccolo gruppo di “eletti” mandò al cospetto del grande utopista un povero balbuziente per discutere sull’accaduto: possibile che fossero così tanto idioti da farsi rappresentare da un uomo la cui retorica, per ragioni apparentemente ovvie, non era proprio il suo forte? E nonostante tutto l’uomo miserabile venne mandato dal Sommo, e tornò anche! Non volle raccontare a nessun vivo ciò che lì accadde, ma si narra che si recasse spesso sul punto più alto della Terra, dove tempo addietro avvennero le vicissitudini che andiamo raccontando, e che ne parlasse al vento, per poi tornare settimane dopo. Un giorno, tornato particolarmente stravolto dal viaggio, cercò di convincere tutto il gruppo di uomini rimasti sulla Terra a raggiungere con lui il posto da cui veniva, e quindi di abbandonare la loro terra natia. Come già detto, un povero balbuziente secondo quale mistero divino avrebbe potuto convincere un intero gruppo di persone non solo a prendere una decisione, ma a prenderne addirittura una così tanto scellerata? Eppure, il giorno dopo erano già in cammino verso quella che il balbuziente ripeteva essere «T-te-rra S-an-ta». Da quando arrivarono, ogni giorno, erano soliti sedersi al centro di questa grande landa e mettersi in cerchio, tenendosi per mano. «R-re-sistete» diceva il balbuziente, e quelli resistevano, giorno dopo giorno, finché, al centro del cerchio, non comparì una grande fiamma. Tutti gli occhi degli uomini ne rimasero terribilmente illuminati, quanto il loro povero cuore. Questa grande fiamma non si curava del vento, e imperiosa bruciava catturando a sé più ossigeno possibile. Le scimmie che rimasero per sempre ai piedi della Terra Santa ci hanno riportato notizie su cose assai mirabili, su come questi tanti uomini profeti andassero predicando strani concetti su catene sociali (o come dicevano loro per far suonar meglio le sillabe, social catena) e sul vivere in armonia, andando a comporre una grande musica; tra l’altro alcune scimmie ci hanno riportato testimonianze di alcune melodie provenienti da quel posto, il punto più alto della Terra. Ogni volta che lassù si presentava qualche problema, gli uomini chiedevano aiuto alla Grande Fiamma. Una volta un bambino chiese all’ormai vecchio balbuziente «Ma cosa vi diceste tu e l’utopista?» e il balbuziente, ormai superata la sua difficoltà nel parlare, rispose. «Mi disse “Sai cosa ho visto quando volli la scimmia all’inizio di tutto?” e io “N-no, c-cosa?” “Vidi te”».