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Romance
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Fascia 16-19
L’unico treno che Emma Spaletti doveva prendere

15 aprile 2018

L’unico treno che Emma Spaletti doveva prendere si trovava al binario 9, diretto a Firenze.

Camminava tra i gruppi e le famiglie in stazione cercando di non spintonare nessuno, ma nella foga non si rese conto di aver perso un orecchino, impigliatosi in chissà cosa. Se ne sarebbe accorta molte ore più tardi quando ormai stava arrivando a destinazione.

Emma faceva sempre tutto di fretta. Se aveva un appuntamento con qualcuno, mettiamo alle 17, lei usciva di casa alle 17, non facendo caso al tempo che avrebbe impiegato per arrivare al luogo prestabilito.

Viveva la sua vita così, noncurante degli orologi messi dieci minuti in avanti per avere l’illusione di essere in orario, e delle sveglie sul cellulare che suonavano a vuoto, che lei puntualmente spegneva, facendo finta di nulla. Il suo modo di amare, invece, era spesso in anticipo. Tra una relazione e l’altra, infatti, si rimproverava di amare troppo. Troppo presto, troppo intensamente, troppo poco. Mai, in ritardo.

Glielo aveva detto una volta la sua ex ragazza: «Non si può amare bene se si è sempre in affanno». Al che lei aveva ribattuto «Amo male, allora?»

15 aprile 2017

Eva si alzò dal letto e si mise a sfogliare qualche pagina del libro che le aveva regalato Emma al loro secondo appuntamento. Emma, appoggiata ai cuscini del letto, la scrutava e faceva roteare l’anello che aveva all’indice.

Mentre lei leggeva, si ricordò con tenerezza delle sue labbra gonfie e della gonna che aveva dovuto sistemare prima di prendere la metropolitana per tornare a casa.

Sorrise, perché quel pomeriggio aveva imparato cosa fosse il desiderio. Avevano trovato una mostra che piaceva a entrambe, ma non la videro mai, poiché Emma aveva sbagliato direzione del tram, ed Eva aveva dimenticato i biglietti a casa, per cui rimasero fuori dall’atelier, sotto un piccolo balcone per ripararsi dal sole. L’unica cosa che si ricordava di quel pomeriggio era che le aveva chiesto quali fossero i suoi fiori preferiti e lei aveva risposto i lillà.

I suoi pensieri vennero interrotti da Eva che alzò lo sguardo verso di lei e le disse: «Emma, io non ti amo più».

«Lo so, l’ho visto» le rispose. Aveva passato tutta la settimana precedente costringendosi a non chiederle «Ma mi ami? Mi ami ancora? Sono sempre io, non mi vedi?»

In fondo, sperava che i suoi sospetti fossero infondati, e invece Eva non l’amava più.

«Ti ho amata molto, sai. Convivevo ogni giorno con i tuoi occhi» disse Eva. Ed era vero. Quando andava in libreria, per esempio, si sorprendeva ad avvicinarsi sempre più allo scaffale delle poesie – che aveva sempre evitato prima di conoscere Emma – invece di andare al primo piano dove c’erano i gialli. Tuttavia, una settimana prima, si era accorta che il suo cuore era diventato cieco, riconosceva Emma grazie al suo profumo, ma non la vedeva più. Quel più l’aveva attanagliata per giorni, e a causa sua aveva dormito poco e male e aveva mangiato anche peggio.

Sapeva che tutte le storie d’amore potevano finire, e sapeva che poteva finire anche la sua, solo che non era pronta a lasciarla andare. Si era innamorata di lei piano, sedendosi nella sala d’attesa del suo cuore, che in quel periodo era gremita. Dopo pochi mesi si rese conto di esser rimasta la sola ad aspettarla, e dall’altro capo della scrivania la stava aspettando anche lei.

Durante i mesi di conoscenza, in cui facevano tutte le cose che fanno le coppie, sebbene loro non lo fossero ancora, pensava che sarebbe durata poco.

Uscivano, andavano alle feste, agli eventi, facevano l’amore. Le piaceva stare con Emma, ma questa sensazione le tenne compagnia per sette mesi, fino a quando divenne troppo occupata ad amarla e a farsi amare. Si era arresa a capire quale fosse il suo inganno.

Quella settimana si rivide nelle poesie di amori finiti e di amori sofferenti. Leggeva le parole degli altri per cercare il suo modo di amare, ma a volte quello che trovava non le piaceva, e si arrabbiava perché si sentiva esposta al giudizio di tutti. Si sentiva centinaia di occhi puntati addosso pronti a smascherarla, a dimostrarle che in realtà, era lei quella che amava male, e che nonostante ciò era stata lei quella che aveva deciso di chiudere la relazione.

Eva si avvicinò a Emma e l’abbracciò, restarono così, Emma sul bordo del letto ed Eva in piedi, per molti minuti.

Non si dissero niente, non c’era molto da dirsi.

Da quel pomeriggio non si videro mai più.

15 ottobre 2017

Emma si stava preparando per andare all’università, ed essendosi alzata mezz’ora prima che la sveglia suonasse, poté truccarsi e fare colazione seduta al tavolo della cucina. Di solito si truccava sul tram e mangiava una brioche presa al bar sotto casa. Fu contenta di godersi la mattinata, si sentiva serena.

Mentre stava chiudendo la porta di casa, sentì squillare il cellulare, ma non rispose. Chiunque la conoscesse sapeva che non le piaceva parlare al telefono, perciò non la chiamava mai nessuno.

Quella mattina però, a chiamarla era Eva, e quando vide il suo nome sul display si emozionò. Non parlavano da un anno ed Emma, a malincuore, si era dimenticata il suono della sua voce.

Pensò a quella chiamata persa tutto il giorno, e nel pomeriggio inoltrato, seduta su un panchina, la richiamò. Sperava non rispondesse, magari aveva sbagliato numero, e invece dopo due squilli «Pronto? Emma?» in quel momento si accorse di quanto le fosse mancata la voce di Eva.

«Ciao» disse Emma.

«Ciao» rispose Eva.

«Perché stamattina mi hai chiamata?»

«Perché oggi la mia coinquilina ha comprato dei lillà.»

Anche se non poteva vederla, Eva sapeva che Emma stava sorridendo.

«E come mai?» domandò Emma.

«Per lo stesso motivo per cui quella volta mi dicesti che erano i tuoi fiori preferiti.»

«Si sarà innamorata allora, magari di te, chi lo sa.»

«Può essere.»

Stettero in silenzio, ma nessuna delle due terminò la chiamata.

Poi Eva disse: «Ti avevo chiamata per dirti che io, ogni tanto, vivo ancora attraverso i tuoi occhi. L’altra sera sono andata in gelateria con Nina e Anastasia, e ho preso un cono cioccolato bianco e arachidi.» Lei non mangiava mai le arachidi, non che non le piacessero, proprio si dimenticava della loro esistenza. Quella sera si rese conto di aver preso i gusti preferiti di Emma solo quando si fu seduta ai tavolini di plastica davanti alla gelateria. Guardò il cono e sorrise.

Emma, dal canto suo,  si pentì di averla richiamata, sperava che le sue parole non le facessero più effetto, invece si trovò a dover fare dei respiri profondi per calmare il cuore che le batteva all’impazzata.

«Penso di aver sbagliato a lasciarti» mormorò Eva.

«Dici? A me sembravi piuttosto sicura di te» rispose Emma.

«Anch’io pensavo di esserlo. Ti propongo un piano.»

«Sentiamo.»

«Se il  15 aprile ti accorgi di essere ancora innamorata di me ci vediamo a Firenze, di fronte a Palazzo Vecchio, dove abbiamo festeggiato il nostro primo anniversario. Ti ricordi?»

«Certo che me lo ricordo, ma perché fra sei mesi e non subito?» chiese Emma.

«Perché così abbiamo tempo per riflettere sui nostri sentimenti. Ci stai?»

Emma pensò che fosse un’idea romantica e insensata, ma accettò comunque.

15 aprile 2018, ore 17.30

Emma si trovava di fronte a Palazzo Vecchio, con le mani occupate dalla giacca di jeans e dalla borraccia. Era sicura di essere in orario perché si era accordata con Eva il giorno prima, ma lei non c’era.

Gironzolò un po’ per la piazza, non allontanandosi troppo dal luogo dell’appuntamento.

Passò un’ora, poi due, ma Eva non arrivò.

Si accorse di non aver guardato il cellulare da quando era arrivata a Firenze, era troppo emozionata all’idea di rivederla che se ne era dimenticata. Quando lo tirò fuori si accorse di non aver attivato i dati mobili, senza i quali non aveva accesso a Internet. Fu subito più sollevata perché, magari, Eva le aveva scritto un messaggio e lei, semplicemente, non lo aveva visto.

Quando attivò Internet le arrivarono tre messaggi che risalivano a due ore prima, tutti da parte di Eva.

«Ciao! Sono così contenta di vederti. Non arrivare in ritardo» recitava il primo.

«Cazzo, ci siamo bloccati perché un tizio non voleva scendere. Non so quando ripartiremo.»

«Siamo ripartiti, ma il tizio non è ancora sceso. Nei corridoi dicono che sia armato. Speriamo bene» recitava l’ultimo.

Quello che Emma non sapeva era che l’uomo era veramente armato e che aveva tentato di accoltellare un passeggero, e nel fuggi fuggi generale Eva aveva sbattuto la testa ed era morta, senza che nessuno la potesse aiutare.

Settimane dopo, a seguito di un’autopsia, trovarono nella sua giacca di pelle un foglietto con scritto «E fino a quando crede che possiamo continuare con questo andirivieni del cazzo?»

Se Emma fosse stata lì avrebbe potuto rispondere «Per tutta la vita».

 

Pubblicato: 21 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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