Sono Christian. Ho diciassette anni e vivo nella grande metropoli di Milano. Corre l’anno 3020 e la situazione sanitaria è critica. Una terribile malattia nota come «Sindrome di Floster» ha causato in tutto il mondo centinaia di migliaia di morti e le speranze scarseggiano. La mia più grande passione è la lettura infatti fin da quando sono bambino ho sempre amato nascondermi tra le pagine dei libri, tant’è che a scuola mi chiamano «Letto», perché qualsiasi libro qualcuno citi, io l’ho letto. Ora è estate e ho trovato lavoro come bibliotecario per questo periodo. Quasi tutti i giorni vedo una ragazza che parla animatamente al telefono e non ho potuto fare a meno di origliare qualche volta, sono sincero. Un giorno decido che è arrivato il momento di parlarle e scopro finalmente il suo nome: Dalia. Mentre è intenta a scegliere il libro perfetto mi avvicino e le dico: «Se hai bisogno di un consulto, sono a tua disposizione!». Mi ringrazia e mi assicura che prenderà Fahrenheit 451, come sempre. Quel volume è ottimo, mi congratulo con lei. «Domani ti trovo qui?» mi domanda. Le rispondo affermativamente ed esce radiosa dal locale con il libro tra le mani. È davvero gratificante sapere che ci siano ancora giovani appassionati lettori; in genere prediligono altri passatempi. Nel pomeriggio non entra nessuno e sfoglio le notizie di oggi: niente di incoraggiante. Arriva rapidamente l’ora di chiusura, prendo un libro dallo scaffale «Classici» e torno a casa con la bici. Mentre pedalo senza la mascherina sul viso, mi rendo conto di quanto mi è mancato sentire la brezza estiva. Appena varco la soglia di casa, vengo travolto dalle urla di mia madre. Poco dopo arriva anche papà e ceniamo tutti insieme. C’è una novità: ora grazie a una pillola, si può curare la malattia. È ancora in via sperimentale, ma la renderanno disponibile a breve. Che notizia! Finito di mangiare decido di lavare i piatti per la mamma, dopodiché le do un bacio, saluto il papà e mi chiudo in camera. Il libro che ho preso al volo, purtroppo è Cime tempestose: non avendomi emozionato granché, lascio perdere e invio un messaggio al mio migliore amico. «Ciao Grande, domani passi in biblioteca? Mi manchi.» Mi risponde quasi subito: «Ciao Letto, domani vengo a salutarti. Un videogioco mi ha tenuto impegnato, ma mi faccio perdonare» e mi allega una faccina con le dita incrociate. Sorrido e incomincio a cercare informazioni su questa nuova pillola ma per il momento non trovo nulla, così metto via il telefono e crollo in un sonno profondo… Apro gli occhi di scatto: sono in ritardo! Mi vesto di fretta, addento una fetta di pane tostato e mi precipito verso il mio posto di lavoro. Davanti alla porta trovo Dalia, seduta sugli scalini che attende l’apertura. Mi fissa con aria imbronciata ma un secondo dopo scoppia a ridere. Non appena incrocio il suo sguardo, mi rendo conto che non sono più abituato ai sorrisi delle persone, ed è un peccato, perché alcuni sono davvero incantevoli. Le domando perché è qui se ieri ha preso in prestito un libro di quello spessore. «L’ho finito questa mattina e volevo che mi consigliassi un romanzo bello quanto questo.» È un’ impresa degna di Ercole trovarne uno che soddisfi quel requisito. «Vediamo cosa posso fare» le rispondo pensieroso. 1984? Canto di Natale? Il giovane Holden? Dopo qualche minuto riemergo dai miei pensieri e le chiedo: «Perché ti piace leggere?». Ci pensa su un attimo poi mi dice: «Mi aiuta a non pensare, a conoscere il mondo che alloggia nella mia testa. Tu perché leggi?». Per le sue identiche ragioni. Le consiglio un libro che conoscono in pochi: Più forte di ogni addio. Dalia deve andarsene e sulla porta incrocia Giovanni, il mio migliore amico. C’è subito intesa tra loro. Ora è settembre. La pillola è disponibile da un po’, ma a me non convince pienamente e per il momento decido di non prenderla. Molte persone fanno il contrario, seguendo giustamente le proprie idee. Passano i giorni e la propaganda per questa pastiglia aumenta tanto quanto le persone che l’hanno inghiottita. Nel frattempo sono state approvate delle nuove leggi e tutti coloro che hanno seguito la cura, riceveranno una specie di attestato: il Flos code. Per il momento è necessario solo per entrare nei luoghi di aggregazione ma io non li frequentavo nemmeno prima. Stranamente non vedo Dalia da un po’. Un giorno la scorgo seduta sui gradini a leggere il libro che le avevo consigliato. «Che fai qui? Perché non entri?» le domando perplesso. «Mia mamma ha preso quella maledetta pillola! È a casa con la febbre altissima e sono due giorni che non mangia. Non posso nemmeno più entrare qui» mi risponde lei con gli occhi pieni di lacrime. «Ma che dici? Certo che puoi entrare, ci sono solo io. Che è successo, sei chiaramente sconvolta. Vieni!» «Mi chiederai anche tu di farti vedere il Flos code?» Non capisco perché si comporta così: io sono sempre io, lei è sempre lei. «Scherzi? Vieni dentro. Ho imparato a capire quando stai male. Parlamene.» Mi abbraccia calorosamente e mi ringrazia. «Non credevo che l’inferno potesse essermi così vicino! Ora sei il mio unico amico: per le persone sono la causa della diffusione della sindrome perché non ho preso quella pillola! Mia madre, non vuole più vedermi: non vuole avere contatti con nessuno che non l’abbia presa. Nemmeno con me! Non so dove stare e le uniche cose che mi ha permesso di tenere sono quelle che vedi.» La rassicuro: «Per te ci sarò sempre». Posso capire come si sente: quel codice manca anche a me e come lei ho perso tutti gli amici che avevo, perfino Giovanni. So che le sembra di avere un peso sulle spalle che fatica a reggere, che si sente sola come non lo è stata mai e che vorrebbe unicamente far capire alle persone che è un diritto, non essere giudicati per le proprie scelte. Lo so bene: mi sento violato come lei. «Quando ero bambina, mia madre mi diceva che nella vita avrei incontrato tante persone, alcune buone, altre meno, ma che “l’incontro speciale” sarebbe stato solo uno. Credo di aver incontrato il mio: sei tu.» Queste parole mi sconvolgono: mio padre mi raccontava la stessa storia. Consolidato il rapporto, mi dice: «Ho sempre cercato quell’incontro nei personaggi dei libri, ma mi sbagliavo. Grazie a te ho continuato a crederci. Avevo quasi perso la fiducia nelle persone: credevo che non avrei mai trovato nessuno per me. Che sarei stata sola per sempre». Le sue paure sono le mie, però almeno i miei genitori mi vogliono bene. Queste settimane è stata nello stanzino dietro la sala lettura della biblioteca ma voglio darle un posto più confortevole. Andiamo a casa e sulla soglia incrocio lo sguardo fulminante di mia madre: «Chi è? Quando arriva tuo padre te la vedi con lui! Lo sai che non devi portare nessuno a casa in questa situazione!» sbraita. Le spiego che i suoi genitori l’hanno cacciata di casa e che non ha un posto dove dormire. Appena le spiego la motivazione, le intima di non tornare più e mi dice di ringraziarla se non ha cacciato pure me. Sono sempre stato un ragazzo che prende le responsabilità delle proprie scelte: se sono convinto di fare la cosa giusta, niente può fermarmi. «Mamma, lo sai quanto vi voglio bene. Ma questa volta non posso stare con le mani in mano. Se mi vuoi cacciare con lei, fallo. Questa battaglia è tanto sua quanto mia.» Oggi è esattamente un mese che dorme nel retro della biblioteca. Insieme a me. Un giorno, in totale confidenza, Dalia afferma: «La cosa che più mi manca è guardare le stelle dalla mia finestra». Allora, per sdrammatizzare, le dico: «Qui non ci saranno finestre, ma la stella più luminosa è accanto a te» e le faccio il solletico. Vederla ridere è una soddisfazione: dall’inizio abbiamo passato momenti difficili e altri drammatici. Eppure siamo ancora qui. Lei ride. Io gioisco nel vederla ridere. Dalia è il mio incontro speciale, ne sono certo. Lei mi rende felice, c’è quando ho bisogno di un volto amico e mi fa ridere quando ho solamente voglia di prendere a testate il muro. Oggi è il mio compleanno e ha un regalo per me: qualcosa che testimonia a pieno quanto questa ragazza mi conosca. Mi ha regalato la sua copia di Più forte di ogni addio: una di quelle con gli appunti sui margini, le note in fondo alla pagina e le frasi più belle evidenziate con il giallo. Ho anche io un «regalo»: mi inginocchio davanti a lei e le dico: «Dalia. Sei la sola persona con cui condividerei ogni istante della mia vita. Non posso entrare in nessuna gioielleria per comprarti un anello come conviene, però mi piacerebbe se mettessi questa fedina al tuo anulare sinistro. Sei tu il mio incontro speciale. Mi hai convinto che dopo la pioggia esce sempre il sole. Mi hai dato la prova che quando una persona speciale entra nella tua vita, non importa quali o quanti cambiamenti apporterà, saranno sempre la cosa migliore che la vita ha da offrirti. In genere sono bravo con le parole ma ora sono solo due quelle che mi vengono in mente: vuoi sposarmi?». Oggi è il 13 maggio 3041. La crisi sanitaria è passata e io e mia moglie festeggiamo vent’anni di matrimonio. Siamo diventati i proprietari della biblioteca e abbiamo due splendidi figli a cui abbiamo insegnato a rispettare le persone e le loro scelte mettendo da parte giudizi e pregiudizi. Affisso alla porta della biblioteca c’è un cartello che nota solo chi si ferma. Cita le seguenti frasi: «Chiunque tu sia, uomo, donna, bambino o anziano. Di qualunque colore sia la tua pelle, di qualsiasi nazionalità tu sia o in quale religione tu creda. Che il tuo orientamento sia eterosessuale o omosessuale, che il tuo portafogli sia pieno fino a scoppiare o completamente vuoto, in questo locale potrai entrare sempre. Anche se non sai leggere. Ma avrai l’obbligo di essere te stesso. Non dovrai nasconderti né fingere. Se avrai bisogno di una spalla su cui piangere o un amico con cui ridere, le nostre porte saranno sempre aperte. Soprattutto se cerchi il tuo “incontro speciale”. Il mio l’ho trovato proprio qui, che curiosava insaziabile tra gli scaffali del reparto “Classici contemporanei”». Quella sera, dopo aver fatto l’amore, mia moglie si gira verso di me e mi confida che oggi in biblioteca è venuta una ragazzina che somigliava a lei. Le ha chiesto un consiglio e Dalia le ha spiegato che avrebbe dovuto affrontare quella situazione rimanendo sé stessa, perché quella persona che ti apprezza c’è anche quando tutto sembra perduto. «Mi sei venuto in mente e ho pensato che non so dove sarei se non ti avessi incontrato. Ti amo e amerò ogni tuo piccolo difetto, lo prenderò per mano e lo convincerò che non è sbagliato, così come tu hai sempre fatto con me. Grazie di esistere» mi disse con quell’incredibile sorriso di cui mi sono innamorato.