Corsi il più veloce possibile. Papà non mi vide, ero troppo distante. Dopo qualche ora di cammino, mi addentrai in una piccola città. Speravo in qualcosa di meraviglioso, invece mi sbagliavo. Il cielo era quasi nero, la gente correva da tutte le parti tossicchiando. Indossavo dei vestiti colorati ed io sembravo, anzi, io ERO tutto ciò che c’era di colorato. Intravidi un piccolo pub all’angolo della strada, e decisi di entrare: due ragazzi chiacchieravano al bancone con un drink in mano. Mi avvicinai e loro mi notarono subito: «Ehi, non ti ho mai vista da queste parti, sei nuova?» esordì uno. «Um, sì, io sono appena…»
«Sono Charlie» mi interruppe il più vicino, allungando la mano.
La fissai per qualche secondo, poi la strinsi con decisione «Mi chiamo Elena» dissi con un sorriso.
Parlammo un po’. «Da dove vieni di preciso?» chiese Charlie. Non volevo proprio parlarne, ma mi lasciai andare: «La mia è una città formata da villaggi e campi. Un tempo molte piccole comunità si sforzarono di salvare la terra. Sempre più persone capirono che tutte quelle piccole creaturine che vivevano in simbiosi avevano bisogno di essere salvate. Ci fu una migrazione verso spazi più grandi che l’uomo ancora non si era azzardato a toccare, dove il mondo vegetale si impossessava di ogni cosa, intento a proteggerla con tutto sé stesso. Prima che succedesse, tutti ritenevano questo cambiamento senza speranza, e il raggiungimento di una vita sostenibile un’utopia. Ma l’utopia si trasformò in progetti, e i progetti in realtà. Una parte del mondo subì una mutazione: l’ambiente e il clima, i quali in precedenza subivano pesanti danni, venivano curati con delicatezza in un angolo di speranza. Le persone fecero tutto il possibile per contribuire allo sviluppo di ogni ecosistema, studiandolo con cura. Furono inoltre adottati i metodi di utilizzo dell’energia solare: la sostenibilità infettò tutto con la sua magnificenza. Il desiderio di un mondo migliore pulsava nei cuori di tutti, ma solo pochi avevano il coraggio di agire» sospirai.
« Abbiamo una grande responsabilità» conclusi.
Charlie mi osservava sorridente «Io vivo in periferia. Qualche volta potresti fare un salto, che ne dici?» risi.
«Anche tu, qualche volta, potresti fare un salto all’Eco-city» dissi.
Cercai i suoi occhi e, quando il suo sguardo raggiunse il mio, al posto del ragazzo dal sorriso smagliante di prima, c’era un volto furioso indignato. Mi spinse via facendomi cadere a terra, e mi urlò addosso: «Siete dei ladri! Un giorno, la tua città verrà distrut…» stava per colpirmi sul finire della frase, quando una mano lo afferrò e lo strattonò via in modo brusco «Oh, ma che maleducato» sputò aspro il ragazzo, mettendosi fra me e Charlie.
«Jake, non immischiarti» ringhiò questi, tirandogli un pugno. I capelli castano chiaro di Jake gli coprirono il volto, posizionato lateralmente a causa del colpo. Solo allora notai che aveva una bandana nera a coprirgli naso e bocca. Lentamente egli si voltò verso Charlie, che ora rideva e lo guardava con aria di sfida e, col labbro sanguinante, e si lanciò su di lui con una velocità disumana. Lo riempì di pugni e, poco dopo, sentimmo le sirene della polizia. Jake si alzo di scatto, lasciando Charlie a terra gonfio e dolorante.
Io mi reggevo appena in piedi ma, prima che potessi fare qualcosa, mi afferrò e mi trascino con lui «Corri!» si affrettò a dire, prima che fossimo fuori dal locale. Non sapevo neanche dove stessimo andando, le gambe iniziarono a bruciare, ma fermarsi ci avrebbe fatto finire dritti in carcere. Jake svoltò in una traversina, e ci nascondemmo lì. Le macchine della polizia sfrecciarono dritte: ci avevano persi.
«Perché stai…» mi tappò la bocca con la mano larga e calda, portandosi l’indice al naso: il suo profumo mi avvolse completamente, avendolo così vicino «Fai silenzio! Vuoi farti arrestare o cosa?» sussurrò. Presi il suo polso e lo abbassai con forza, liberandomi.
«Quello che andrebbe in prigione sei tu, quindi perché mi hai trascinato fin qui?» sussurrai a mia volta.
Mi fissò a lungo «Non capiresti» si limitò a replicare «ti porterebbero in prigione, e ti farebbero morire lì dentro. Ti ficcherebbero un proiettile in testa» sussurrò malinconico.
Non capivo: perché avrebbero dovuto farlo?
«Vivo qui vicino, cerca di non fare troppo rumore» disse incamminandosi. Io lo inseguii. Non sapevo cosa mi portasse a farlo, ma con lui sarei stata al sicuro per un po’. Aveva una piccola casetta accogliente e ben arredata.
«Puoi sistemare le cose in camera mia» enunciò prendendo un tovagliolo e un po’ d’acqua.
«E tu? C’è solo una camera…». Avanzai piano, sfilando lo zaino e stringendolo in grembo.
«Non preoccuparti, dormirò sul divano» continuò, senza nemmeno guardarmi. Avanzai, e posai lo zaino sul tavolo. Gli presi delicatamente il fazzoletto bagnato di mano, e i suoi occhi incontrarono i miei in un attimo.
«Che c’è?» si affrettò a domandare. Aveva abbassato la bandana e, in quel momento, mi accorsi della sua perfezione: occhi verde smeraldo, capelli castano chiaro le cui ciocche scivolavano sulle ciglia, era alto ed assolutamente perfetto.
«Volevo aiutarti. Dopo tutto quello che hai fatto oggi, è il minimo che possa fare» dissi con un timido sorriso. Jake schiuse leggermente le labbra morbide e, senza dire nulla, mi lasciò fare. Potevo intuire che fosse sorpreso che qualcuno si prendesse cura di lui. Mi accovacciai e appoggiai il fazzoletto bagnato sul labbro sanguinante. Lui mi fissò per tutto il tempo.

