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Fascia 16-19
La Via Lattea

C’era un bambino che correva per le strade della Vecchia Città. I capelli oscillavano sulla sua fronte bianca. Il suo petto si alzava e abbassava velocemente, mentre la sua bocca compieva profondi respiri. Si muoveva con agilità tra le strade abbandonate e ricoperte da soffice erba e piccoli fiori bianchi che spuntavano tra le crepe dell’asfalto. Anche i muri degli edifici erano completamente avvolti da edera e da altri rampicanti costellati da piccoli boccioli che custodivano petali colorati. Emanavano un profumo dolce e leggero, del quale i polmoni del bambino si nutrivano ghiottamente. Il rumore dei suoi passi rimbalzava come una palla tra i palazzi vuoti. Era l’unico suono che svegliava quelle vie silenziose, ma ogni tanto era possibile sentire il cinguettio di qualche uccellino che aveva costruito il suo nido lì vicino.

Gli animali giungevano raramente nella Vecchia Città. Forse, anche se ora erano ricoperti di verde, gli animali potevano comunque percepire quanto quei luoghi fossero stati malati e li evitavano. Tutti sapevano come era prima la Vecchia Città. Anche lui aveva visto numerose foto raffiguranti lunghe file di macchine in coda nelle strade in cui lui ora correva rimbalzando sull’erba. Era rimasto stupito dalla tristezza che gli trasmettevano quelle piccole persone chiuse in barattoli fumanti che si muovevano grazie a ruote. Adesso che non c’erano più macchine, se non nei musei, la gente usava mezzi elettrici condivisi.

Passò di fianco ad alcune enormi scatole grigie su cui si trovavano ancora attaccati alcuni adesivi consumati dal tempo. Si ricordava di averli visti in un documentario del Vecchio Mondo sullo spreco alimentare. In quelle immagini quelle scatole strabordavano di rifiuti e avanzi. Era difficile per lui comprendere come fosse stato possibile che nel passato la gente buttasse il cibo in un emisfero, mentre non ne aveva nell’altro. Adesso ogni persona aveva i propri pasti giornalieri, non aveva importanza in che parte del mondo si trovasse. La scienza era stata in grado di provvedere ai bisogni alimentari degli uomini senza sfruttare la terra o gli animali. Si era creata una simbiosi tra l’uomo e la natura. Gli uomini ora amavano la terra, avevano spento tutti i motori e fermato tutte le emissioni tossiche per lei. Non c’erano più quegli alti edifici fumanti che tingevano il cielo di cenere.

Il bambino ora stava correndo davanti a quello che in un tempo lontano era stato il cortile di una scuola. Le altalene e gli scivoli erano ricoperti di verde, gli alberi erano diventati folti e avevano allargato i loro rami fino a solleticare le finestre dell’edificio. Sentendo le gambe bruciare per lo sforzo, il bambino decise di fermarsi per prendere fiato. Si lasciò scivolare sull’erba umida e poi sbirciò il cielo sopra di lui. I suoi occhi vennero illuminati dalla bellezza del cielo. Abbassò subito lo sguardo arrossendo. Sentiva il suo cuore battere più veloce invece di rallentare. I suoi antenati non avevano mai potuto scorgere, nemmeno nei giorni più sereni, quello che lui poteva ammirare e contemplare in una qualsiasi notte semplicemente alzando lo sguardo. Tra poco avrebbe raggiunto gli altri alla Radura e, appoggiando la testa sulle gambe di sua madre, avrebbe gioito di quanto stava in cielo.

Gli uomini, ora che avevano abbandonato le grandi zone urbane, vivevano nel verde. Osservavano e rispettavano gli spazi della natura. Tuttavia alcuni edifici della Vecchia Città venivano ancora utilizzati, come per esempio i musei, le biblioteche e gli ospedali. Una lucciola gli accarezzò una tempia. La seguì con lo sguardo mentre si tuffava in un piccolo cespuglio. Si sollevò e riprese la strada, questa volta camminando. I bambini prima di lui non potevano camminare da soli, era troppo pericoloso. Sua mamma gli aveva detto che molto tempo prima la gente faceva cose molto brutte anche agli altri uomini. Gli aveva spiegato che nel passato la gente non amava i propri simili. Il bambino giunse a un incrocio e un’improvvisa corrente d’aria lo fece rabbrividire. Davanti a lui si trovava un alto palo che terminava con tre vetrini colorati. Cominciò a camminare più veloce, desideroso di arrivare alla Radura. L’aria era fresca, leggera e pulita. Gli edifici cominciarono a farsi più radi, la vegetazione più fitta. Finalmente si lasciò alle spalle anche l’ultimo edificio. Ora davanti a lui si trovava una distesa infinita di steli alti e lucenti. C’erano numerosi fiori di campo dai colori vivaci e papaveri rossi che bramavano la luce dei corpi celesti. Il bambino sentì il suo cuore riempirsi di gioia. Anche la natura intorno a lui era gioiosa mentre danzava nella brezza. Cominciò a correre su un piccolo sentiero segnato da una scia di sassolini che ora rotolavano sotto le sue scarpe. Alla fine del sentiero sapeva avrebbe trovato la Radura; una distesa di erba bassa sopra cui numerose sagome erano sdraiate. Non sentiva più la stanchezza di prima. Gli steli ai suoi lati sembravano battergli il cinque. Cominciò a sentire delle voci e dei mormorii, si stava avvicinando. Ecco che arrivò alla Radura. Subito una voce dolce lo chiamò per nome. Vide il volto di sua madre sorridergli. Era seduta vicino ad altre sagome. Il bambino la raggiunse sorridendo. La donna lo strinse a sé e si sdraiarono insieme. Sopra di loro cielo svelava uno spicchio di universo. Una lunga crepa scura occupava il cielo luminoso. Era di un viola che nemmeno i fiori erano in grado di imitare. Numerose venature partivano da lei perdendosi poi nei colori del cielo. Dietro la crepatura sembravano esserci sfumature di arancione e rosa. Numerosi puntini bianchi erano stati spruzzati sul profondo blu del cielo.

Gli umani prima di loro avevano creato un soffitto tra la terra e l’universo. C’era voluto molto tempo prima che la Via Lattea fosse nuovamente visibile. Ed ora decine di persone sdraiate tra le coccinelle e le lucciole guardavano all’universo e se ne sentivano parte. Una sonora risata attirò la sua attenzione. Sollevò il busto e si sedette a gambe incrociate. Osservava le persone illuminate dalle stelle e ne ammirava le diversità. Di fianco a lui c’erano due ragazze che si tenevano per mano sussurrando dolci parole. La ragazza più vicina aveva il capo avvolto da un hijab lucente, mentre l’altra portava al collo un piccola stella a sei punte che luccicava della luce del cielo. Pensò a quanto ciò sarebbe parso inopportuno nel passato, eppure quelle ragazze erano felici. Si ricordava di un termine che aveva imparato a scuola e da cui la Vecchia Società era ripartita: l’humanitas. Era una parola antichissima che non aveva mai trovato riscontro nella realtà fino ad ora.

L’humanitas era il saper riconoscere e rispettare l’uomo in ogni persona. Tutto ciò che era umano non doveva essere estraneo agli umani. Erano questi i principi secondo cui viveva la Nuova Società. Un forte chiacchiericcio destò nuovamente l’attenzione del bambino. Alcuni ragazzi si erano raggruppati intorno a un’anziana signora che teneva in mano un libricino illuminato da una fievole luce. Il bambino si alzò e trotterellò verso il piccolo gruppo. La donna indossava dei guanti con i quali sfogliava con delicatezza le pagine ingiallite e assottigliate dal tempo. Si trattava di un libro di poesie del Vecchio Mondo che la donna stava ora leggendo ad alta voce. Il bambino si sedette dietro la donna e sbirciò una pagina del libro. C’era una breve poesia:

L’utopia è come l’orizzonte:
cammino due passi, e si allontana di due passi.
Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi.
L’orizzonte è irraggiungibile.
E allora, a cosa serve l’utopia?
A questo: serve per continuare a camminare.

Eduardo Galeano

Il bambino sollevò lo sguardo verso la Via Lattea e si domandò cosa sarebbe successo se gli uomini non avessero cominciato a credere nelle utopie.

Pubblicato: 31 Gennaio 2023
Fascia: 16-19
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