La ragazza, il cui nome era Susan, e della quale era facile dedurre le origini nordiche semplicemente osservandone l’incarnato pallido e delicato, possedeva una lunga chioma bionda raccolta in un ordinato chignon, un viso dolce su cui si aprivano due occhi grandi dal colore simile a quello dei mari purissimi della terra da cui proveniva, un piccolo nasino e una piccola bocca carnosa. Ogni parte del suo corpo sembrava essere regolata da specifiche proporzioni, il suo portamento eretto e il vestito nero che metteva in risalto la sua figura sinuosa, le donavano l’aspetto di una giovane graziosa e raffinata. Susan sin da bambina aveva fantasticato sul suo avvenire, ma solo col trascorrere del tempo aveva compreso la sua forte passione per l’arte. Si sentiva spesso frustrata, quasi schiacciata dalla paura di non riuscire a raggiungere i suoi obiettivi, il primo dei quali era quello di diventare una grande artista. Il sogno proibito era invece quello di creare una fondazione artistica che avesse come scopo quello di far conoscere a livello internazionale non solo i suoi quadri, ma anche quelli di sconosciuti ma validi artisti che faticavano, proprio come lei, a emergere. Tentò di catturare l’attenzione di qualche critico d’arte, sperando che apprezzando i suoi dipinti, li pubblicizzasse, facendoli uscire dall’anonimato in cui erano confinati, ma ogni tentativo fu vano; coloro ai quali Susan si rivolgeva, la liquidavano con freddezza o, ancor peggio con fare compassionevole, invitandola con malcelato disprezzo, a rinunciare alle sue velleità artistiche. Ragioni di pura sopravvivenza la costrinsero ad abbandonare per un periodo le sue aspirazioni per dedicarsi a un lavoro che certamente non la appassionava: segretaria del direttore di un piccolo ufficio postale di periferia. Susan sentiva che la scintilla che aveva dentro persisteva nonostante la sua misera e monotona condizione, e che la incoraggiava a non perdersi d’animo. La consapevolezza che un giorno sarebbe riuscita a cambiare la sua esistenza le infondeva il coraggio necessario per recarsi ogni giorno al lavoro. Le giornate scorrevano velocemente, perché grande era il desiderio di trovarsi finalmente nel suo minuscolo appartamento, libera di programmare e organizzare il suo futuro: appollaiata su una poltrona sgangherata, leggeva, scriveva, disegnava schizzi, con la segreta speranza di realizzare il suo sogno. Un giorno assorta nella realizzazione di un dipinto sentì bussare, ma una volta aperta la porta del suo appartamento si stupì di non trovare nessuno. Stava per chiudere l’uscio quando scorse una rosa appoggiata sullo zerbino. Perplessa la raccolse e, osservandola notò che era un fiore di rara bellezza, una splendida rosa. Fu come folgorata. La rosa divenne la sua nuova fonte d’ispirazione, e nell’urgenza di riprodurla sulla tela, si affrettò a riporre il quadro cui stava lavorando e a disporre una tela bianca sul cavalletto: senza esitare intinse il pennello nella tempera rosa e iniziò a dipingere. Se qualcuno si fosse soffermato a guardare Susan in quegli istanti ne sarebbe rimasto incantato: idee e pensieri le scorrevano velocemente nella mente e si traducevano in pennellate veloci e allo stesso tempo delicate. Nei giorni che seguirono Susan era impaziente di tornare a casa dal lavoro per potersi dedicare al suo quadro, che una volta terminato si rivelò un’opera magnifica che non avrebbe sfigurato in qualche importante galleria d’arte. Si dedicò subito ad altri dipinti, quasi in preda a una febbre benefica che trovava nella pittura la sua cura. Purtroppo i materiali, come la tempera e le tele, cominciarono a scarseggiare, e con il suo magro stipendio non poteva permettersi altre spese. Fu allora che accadde un fatto incredibile: un pacco pieno di nuovi pennelli e tempere si materializzò davanti alla porta del suo appartamento, esattamente com’era accaduto in precedenza con la rosa, come se un angelo custode fosse sceso sulla terra per aiutarla, o più precisamente nell’appartamento al terzo piano al numero undici di Kensington Garden. Susan era immensamente felice per quel regalo inaspettato, ma al tempo stesso sconcertata: non aveva proprio alcuna idea sull’identità del suo misterioso benefattore. I giorni che prima scorrevano inesorabilmente lenti all’interno dell’ufficio postale, ora erano resi meno noiosi dalla prospettiva che, appena tornata a casa, avrebbe potuto continuare a dipingere. Susan però iniziava a interrogarsi sulle ragioni che spingevano uno sconosciuto ad aiutarla, cominciando a sentirsi sempre più sospettosa e inquieta. Un dubbio soprattutto la tormentava: non avendo parlato mai con nessuno delle sue esigue risorse economiche, né tantomeno della necessità di procurarsi i materiali per dipingere, come poteva uno sconosciuto essere a conoscenza delle sue esigenze? Con molta preoccupazione pensò di aver trovato la soluzione del suo enigma e non le piacque per niente: dedusse, infatti, che il suo benefattore fosse così ossessionato da lei da osservarla giorno e notte. A quel punto la preoccupazione di Susan crebbe a dismisura e la spinse a confidarsi la mattina seguente con l’unica amica che aveva in città; dopo averla ascoltata attentamente la ragazza la rassicurò, azzardando che forse un uomo ricco aveva incontrato Susan all’ufficio postale e magari aveva colto un suo sfogo, decidendo poi in un impeto di generosità di impiegare un po’ del suo denaro per aiutarla. Susan accettò dubbiosa la tesi della ragazza, ma nei giorni successivi fu così presa dal lavoro e dalla pittura, che finì per non pensare più a quel mistero che la tormentava. La settimana seguente, uscendo dall’ufficio, notò un grande striscione che invitava i giovani, aspiranti artisti a presentare le proprie opere presso una mostra che avrebbe avuto luogo a Notting Hill il mese seguente. Tutte le opere presentate sarebbero state valutate da una giuria competente, e quelle selezionate sarebbero state esposte. Dopo aver letto l’annuncio Susan percorse la strada per tornare a casa, quasi volando: era impaziente di iscriversi, e cercava di capire quale fra i quadri che aveva realizzato fosse il più adatto a tentare la fortuna. Quasi immediatamente la sua scelta cadde su quel fiore splendido che spiccava tra fiammate di rosa, di verde smeraldo e di oro antico: decise che era perfetto perché in quel quadro aveva impresso tutta la sua passione di giovane donna. Sognava a occhi aperti il giorno in cui le sue opere avrebbero avuto estimatori di tutto il mondo, e un po’ della sua anima sarebbe stata visibile ai loro occhi e li avrebbe emozionati. Giunse il giorno di presentare alla giuria il suo dipinto, ma con sua somma delusione il suo quadro non superò la selezione. Scoprì con rammarico che, contrariamente a quanto sbandierato nel cartellone pubblicitario, erano state scelti i dipinti di pittori già affermati, i cui nomi avrebbero sicuramente attirato un numero maggiore di visitatori. Susan era stata così impegnata nel suo tentativo di essere ammessa alla mostra da non dare troppa importanza alla notizia riportata da tutti i mezzi d’informazione, ovvero la cattura di un malfattore, responsabile di un numero imprecisato di reati: quel giorno apprese con sgomento che l’appartamento in cui aveva vissuto fino al giorno in cui era stato imprigionato si trovava in un quartiere non troppo distante dal suo, ma la delusione che la opprimeva le fece dimenticare ben presto tutto il resto. Giunse il giorno di apertura della mostra e Susan decise comunque di recarsi ad ammirare le opere esposte e magari trarne qualche spunto per le sue future realizzazioni. Una volta arrivata decise di recarsi nell’ala principale dell’edificio dove erano presenti i lavori di maggior valore e quasi svenne vedendo appesa al centro della sala la sua rosa, verso la quale in molti sembravano mostrare apprezzamento. Riacquistato un minimo di lucidità, si chiese come il suo quadro fosse potuto arrivare fin lì. La risposta arrivò velocemente nella sua mente e la raggelò; qualcuno doveva essersi introdotto in casa sua per sottrarle il dipinto. «Perché rubarlo per poi portarlo qui?» si chiese Susan senza riuscire a trovare una spiegazione logica. Il giorno dopo, mentre si apprestava a uscire da casa per recarsi al lavoro, sentì lo squillo del telefono e rispose: la chiamata proveniva da un carcere di massima sicurezza e la voce che le parlò all’altro capo le fece una confessione che la raggelò. Era il famoso criminale che aveva terrorizzato la città! Che cosa voleva da lei? Che legame poteva esserci tra un malvivente spietato e un’anonima ragazza? Una voce profonda, che le metteva i brividi, le raccontò di averla notata passando sotto la sua finestra, e di averla vista disperarsi di fronte a un dipinto che non riusciva a completare per la mancanza del materiale necessario. Le aveva portato una rosa e in seguito gli agognati colori: poco prima di essere catturato aveva rubato il suo quadro e, corrompendo un membro della giuria con l’offerta di una somma considerevole di denaro, aveva ottenuto che fosse esposto alla mostra in una posizione privilegiata. Susan ascoltava senza riuscire ad articolare una sola parola, e quando la breve telefonata terminò, si accasciò sulla poltrona come una bambola di pezza. La paura lasciò il posto a un cupo sconforto: aveva sperato che la sua arte fosse apprezzata per ciò che esprimeva e riusciva a comunicare, invece scopriva che qualcuno aveva imposto il suo dipinto con un espediente immorale, svilendo così la bellezza che lei vedeva in quella rosa in cui aveva infuso una parte di sé. Si sentì svuotata, l’incanto era svanito, restava una cruda realtà che faticava ad accettare. Forse rimase su quella poltrona per ore, ma alla fine comprese che forse si sbagliava: non era stato il disonesto espediente di quel malfattore a far apprezzare il suo dipinto, ma la bellezza, la passione e l’amore profondo per l’arte che da esso trasparivano. In fondo era stata proprio la bellezza della sua opera a provocare un turbamento nell’animo di quell’uomo losco e immorale. Susan si sentì improvvisamente più leggera. In fondo il suo sogno non era quello di raggiungere la popolarità, bensì quello di comunicare le proprie sensazioni e i suoi più reconditi pensieri nella maniera che più di ogni altra le era congeniale: dipingendo. Straordinariamente ci era riuscita, in tanti avevano amato la sua rosa. Sorrise, sistemò una tela bianca sul cavalletto e pensò che in fondo la sua vita era appena cominciata e che per nulla al mondo si sarebbe arresa rinunciando alle sue passioni. La soluzione a tutte le sue angosce era semplice, si disse Susan: «Da oggi in poi avrò più cura di me stessa, mi darò fiducia e soprattutto imparerò ad amarmi anche quando fallirò».