«Tu hai bisogno di me.»
Fu la freddezza nella voce del cavaliere a ghiacciare la stanza tutto intorno, il suono uscì quasi come un sibilo, c’era chi avrebbe persino potuto dire ricordasse il verso dei serpenti, d’altronde quella frase poteva ritenersi letale quasi quanto il loro veleno.
Questo era forse percepibile dal modo con cui ci tenne a sottolineare la parola tu, che faceva intuire quanto potesse essere pericolosa quella frase, era chiaro a tutti: non era una supposizione, un invito o un’affermazione qualsiasi, era quasi come un ordine.
Tutti i cavalieri presenti nella stanza lo percepirono, Pestilenza non era un tipo facile, non che in generale un cavaliere che annuncia morte e sciagure si possa anche solo lontanamente definire «facile», ma Pestilenza lo era in modo particolare.
Dopo anni di riposo aveva finalmente avuto la sua occasione per brillare, aveva potuto liberarsi dalla prigionia e nutrirsi di tutte quelle anime innocenti che non avevano peccato in niente, se non nel semplice atto di vivere la loro vita come avevano sempre fatto. Inammissibile durante l’era di Pestilenza.
Ma ora lui voleva di nuovo privarlo della sua gloria, lo stava nuovamente condannando ad anni di riposo e trascuratezza nei meandri di qualche buco infernale, come se fosse già arrivato al culmine della sua cattiveria.
Pestilenza poteva fare di più, sapeva fare di più. Ne aveva dato prova negli anni precedenti, la peste l’aveva soprannominata come il suo più grande capolavoro, tutti per anni e anni avevano avuto paura di lui e delle sue doti, ma i miseri umani si erano permessi di andare avanti con la loro stupida scienza, finendo per dimenticarsi completamente di quello di cui era capace. È vero, ogni tanto gli era stato permesso di sfuggire dalla noia lanciando piccoli virus qua e là sparsi per gli anni, ma questi non avevano fatto altro che allenare gli uomini a contrastarlo, aveva bisogno della sua rivincita.
E così fu.
Dal buio era risorto, quando la mezzanotte che segnava l’inizio dell’anno 2020 era scoccata aveva capito che era finalmente arrivato il suo momento per brillare, anche se si potesse dire l’avesse sempre saputo: nell’anno il cui numero nel mondo degli angeli simboleggia la calma, lui sarebbe intervenuto per ribaltare le sorti del destino e distruggere le vite di tutti quegli esseri umani che per anni lo avevano sottovalutato.
Si era a dir poco divertito a osservare gli umani disperarsi per un organismo più piccolo di loro stessi, era stato uno spettacolo degno del suo nome e non aveva di certo intenzione di fermarsi proprio in quel momento, quando gli umani si stavano iniziando a cullare un po’ troppo aveva deciso di scatenare il suo potere come mai aveva fatto.
Per non parlare della fama che aveva acquisito: nessuno dei quattro cavalieri si aspettava un suo intervento così improvviso, Morte ne era stato a dir poco felice, durante quegli anni aveva potuto di nuovo animare il suo circo di dannati, non c’era niente di migliore per quell’anziano la cui unica gioia era mietere le anime dei peccatori di tante morti improvvise.
Per non parlare di Carestia, il peccato di invidia si era aggiunto alla lunga lista dei suoi crimini, procurando nient’altro se non orgoglio a Pestilenza.
Inutile dire che tutti lo avevano temuto, tutti eccetto uno.
Colui che aveva avuto il coraggio di ridere davanti al suo immenso potere ora era lì, in quella stanza che odora di sangue e ferite, di morti e peccati, ma allo stesso tempo di gloria ed egoismo. Il suo grande cavallo rosso era l’unica cosa che spiccava nel buio tetro della stanza, appoggiato su di questo si poteva scorgere la figura di un esile braccio e un ghigno che brillava sul volto per metà oscurato: Guerra era di nuovo pronto a offuscare la sua luce, ne aveva dato prova solo qualche ora prima, scatenando senza preavviso la furia che aveva covato in quegli anni.
Pestilenza si rivolse ancora a Morte, purtroppo però stavolta non riuscì nel suo intento di mostrarsi forte e indifferente, era talmente arrabbiato che la sua voce uscì in una supplica:
«Andiamo, Morte. Se in questi anni il tuo inferno non è caduto a pezzi è stato solo grazie a me e non puoi permettere che il mio posto accanto al tuo trono venga preso da quel barbaro essere».
Ma il vecchio non osò proferire ancora parola, la sua figura rimaneva nascosta nel buio di un angolo della stanza, con niente più se non il luccichio dell’argento con cui la sua iconica arma era stata forgiata.
La sua presenza era importante quanto impercettibile nella stanza, se non fosse stato per i brontolii e mormorii sommessi provenienti dall’inferno che si portava dietro che ogni tanto echeggiavano nella stanza, nessuno si sarebbe accorto della sua presenza. I più curiosi avevano ipotizzato che quei brontolii provenissero da delle anime appena scortate in uno dei nove gironi, probabilmente non ancora abituati alla loro nuova vita, altri invece credevano provenissero da quelle crudeli anime intente a sbranarsi fra loro, come se già i peccati compiuti in vita non fossero sufficienti. In ogni caso, niente di questo era dato saperlo, la presenza di Morte nella stanza era segno che sarebbe stato lui, il giudice degli inferi, a decidere la sorte di tutta quella riunione.
Pestilenza però si costrinse a girarsi quando ai sospiri delle anime si aggiunse un lento, ma duro, battito di scarpe.
Fu così che dopo un’ora dall’inizio di quella riunione, la piccola figura di Guerra, che si portava dietro una scia di sangue e violenze, si decise a emergere dal buio, rivelando a tutti il suo maligno sorriso, in forte contrasto con l’aspetto fisico.
C’era da dire infatti che Guerra era stato vittima di un crudele scherzo di Dio, che aveva deciso di imprigionare la mente e l’anima di tutte le violenze del mondo nel corpo della più innocente e immatura delle creature da lui create: un bambino.
Erano tante le teorie su cui secondo molti si basava questa scelta, magari era stato un semplice scherzo, per farsi beffa di questa ignobile creatura, altri tendevano più al macabro e pensavano che quello fosse solo un corpo di una vittima di guerra destinato a reggere l’anima di Guerra per sempre, altri teorizzavano che invece fosse una scelta voluta e ben pensata: in un corpo così piccolo tutto il male portato da Guerra si concentrava in modo migliore, ma allo stesso tempo a causa delle sue piccole dimensioni non poteva essere molto. In ogni caso nessuno inizialmente prendeva sul serio questa entità, pensando che, nonostante il nome che pesava sulle sue spalle, una creatura innocente come quella non avrebbe mai potuto fare niente di male. Inutile dire che sin dall’alba dei secoli tutti si dovettero ricredere.
Guerra portava alle sue spalle un passato glorioso, di violenze e guerre da sempre ricordate e raccontate, entrate nella Storia per la loro crudeltà e classificate per la quantità di sangue che avevano lasciato nel loro cammino. Lui diceva di aver raggiunto la sua massima gloria con le due guerre mondiali, scontri sanguinari per cui metteva le basi da anni, uno dopo l’altro fecero cadere il mondo in un baratro di tristezza e lutti, Morte era fiero del lavoro fatto dal compagno. È anche vero però che Pestilenza non poteva covare rancore per quegli anni, per tutti i cavalieri furono momenti di successo, ognuno di loro infatti colse il momento di confusione e desolazione per allargare il proprio regno, lui stesso con la febbre spagnola riacquisì un po’ di quella gloria che negli anni stava andando perdendo, gloria che però venne brutalmente strappata dalle sue mani nuovamente quando Guerra distrusse completamente il suo teatrino, dando vita a uno spettacolo di cui lui non faceva parte.
Per questo pensare che il suo primato possa essere di nuovo rubato, era per lui una cosa inammissibile, non aveva finito di contaminare il mondo di tristezza, si meritava ancora più tempo.
Ma Guerra, con la sua camminata fiera e composta, sembrava non volerglielo permettere a ogni costo. Composto si accostò al fianco di Morte, osò rivolgergli quello sguardo ricolmo di sangue, illuminato dalla più crudele violenza, quello sguardo che solitamente illuminava gli uomini, facendoli cadere in quell’oblio di peccati che Guerra comanda.
Lo scettro della gloria era nuovamente come nei secoli passati in bilico fra due destini, entrambi non avrebbero fatto altro che alimentare la crudeltà della terra e la decisione spettava solo a uno di quei cavalieri, che con la sua mano ossuta e raggrinzita avrebbe potuto dare il via al terzo conflitto mondiale, oppure all’ennesima ondata epidemiologica.
Quella era una guerra interna che avrebbe potuto disintegrare dall’interno gli ultimi cardini della ragione umana.
Fu proprio in quel clima di tensione che l’ultimo dei cavalieri, colui che fino a quel momento era stato immerso nel suo desolato silenzio e che non aveva osato dire una parola, l’unico insieme a Morte che da entrambe le decisioni avrebbe trovato profitto, ma allo stesso tempo l’unico che non aveva mai nuotato in quel mare di gloria per cui Pestilenza si stava tanto crogiolando.
Carestia, sgranocchiando un pezzo di pane ammuffito, si stava avvicinando a passo lento al centro della stanza. I piedi ossuti producevano un rumore a dir poco terrificante ogni volta che un osso poggiava e strofinava contro il ferro, le braccia, troppo infantili per poter reggere il peso del suo compito, si tesero contro Pestilenza e con il viso caratterizzato dalla classica innocenza di ogni bambino, sorrise.
«Oh, non disperare amico mio.» Giocava con il pezzo di pane mentre la sua voce si trasformava in una stridula risatina. «Lui fa sempre così: prima ti vuole, ti dà gloria, ma appena non servi più ad allargare il suo patetico teatrino degli inferi, ti abbandona in un angolo. L’ha fatto anche con me, ricordi giusto? I miei tempi di gloria, quelle meravigliose carestie che hanno caratterizzato tanti di quei secoli… oh come dimenticarle! Tutti mi temevano e invece guardami ora!» un’altra risatina gli sfuggì dalla gola, gelando l’intera stanza. «Loro mi sottovalutano, gli umani non si curano più di quelle persone che in ogni angolo del mondo muoiono di fame. Non sanno di cosa sono capace, nessuno mi teme, eppure… il mio regno è grande come lo è sempre stato. Amico mio, la gloria non è tutto. Potrai pure creare grandi catastrofi naturali, ma gli umani ti sottovalutarono sempre finché loro non vengono toccati da queste, è così. Lascia che Guerra si prenda la sua gloria, lascia che Morte continui a muovere le sue marionette nel mondo. Lascia gli umani alla loro sorte e vedrai come ti temeranno.»
Fu con questo, con il gelo e la crudeltà nella voce di Carestia che la riunione rimase in sospeso, ancora indecisa sulla crudeltà con cui punire il mondo.