Una ragazza sta leggendo un libro seduta accanto alla finestra. La storia la prende tanto che non riesce a staccare gli occhi dalle pagine. Mentre segue con attenzione la vicenda che assorbe tutta la sua attenzione, sente un improvviso rumore che sale dalla strada. Sarà stato un incidente, si dice. E riprende a leggere. Ma subito dopo ecco un altro colpo. Il vetro della finestra trema. Perfino il libro trema fra le sue mani. Ma lei non vuole a nessun costo staccarsi dalla pagina. Che mi importa di quello che succede in strada!, si dice. Al terzo colpo però è la casa intera che si scuote e traballa. E lei non può fare a meno di alzarsi e avvicinare la faccia al vetro. Quello che vede le fa cadere il libro dalle mani…
La testa le cominciò a roteare vorticosamente, spalancò gli occhi ma la scena non cambiava. Il fumo denso, la polvere grigiastra, i colori cupi conferivano a tutto ciò che appariva ai suoi occhi un paesaggio lunare, arido, insensato. Alcune piccole persone in strada correvano disordinatamente, altre stavano vivendo l’esperienza drammatica al rallentatore; si muovevano lentamente, prive di logica. Alcune sembravano addirittura immobili.
Le urla raggiunsero fragorosamente le sue orecchie fin là, al terzo piano di quell’elegante palazzina della Roma antica, della Roma bene, in quel quartiere così sicuro vicino alla Santa Sede. Le urla la riportarono a ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi.
Che sarà stato? Una bomba? Un disastro aereo o forse un attentato?
Le domande si rincorrevano nella sua testa confusa e frastornata. Che faccio? Scendo in strada? Vado a vedere? Ah no, il cellulare… chiamo qualcuno.
Il monologo si faceva sempre più intenso e inquieto, quando, improvvisamente, il campanello della porta cominciò a suonare: un suono continuo, ininterrotto, un trillo così insistente che anche in quella situazione tanto precaria provò un profondo senso di fastidio. Così chiuse quel pensiero angoscioso, prese coraggio e andò ad aprire la porta. Quello che vide aveva dell’incredibile, non sapeva se si trovava in un film di Spielberg – nella migliore delle ipotesi – o se fosse scherzo ben fatto, geniale… Ma no!, si disse, quello che stava accadendo era la pura realtà.
Uomini di Domopak di fronte a lei, alti, forse quattro o cinque, si confondevano tra loro e indossavano elmetti che lasciavano scoperti solo gli occhi. Abbracciavano stret ti quelli che erano i loro bambini, cioè armi di ultima generazione, presumibilmente laser. La loro voce era metallica, lontana, trattenuta probabilmente dall’elmo spaziale. La pettorina della tuta era tutta pulsanti e valvole color an tracite, che in un attimo assumeva una sfumatura lucida.
«Chi siete? Che cosa volete da me? Che cosa sta succedendo» gridò isterica.
Gli uomini spaziali, come stessero leggendo un comunicato stampa, dissero: «Stiamo evacuando il quartiere, ogni residente deve immediatamente lasciare la propria abitazione. Sarà consegnata alle autorità competenti. Non siamo autorizzati a comunicare alcuna informazione. Chiunque pro vi a scappare o a non rispettare questi ordini sarà arrestato. Prego signorina, prenda il necessario e venga con noi».
Provava a pensare alle cose da prendere, a cosa stava succedendo, ai soldati là alla porta e non capiva se in quel film erano i buoni o i cattivi… Accidenti, però, cosa portare con sé in queste situazioni? La paura rendeva impossibile valutare con attenzione le priorità. Doveva pensare e in fretta.
Gli occhi si posarono quasi per istinto sul libro sotto la finestra, caduto dopo il rimbombo fragoroso. Il libro che stava leggendo così intensamente, da escluderla dalla realtà ora sembrava un oggetto necessario, indispensabile… ma per cosa? Pensò che nel posto dove l’avrebbero condotta di certo un libro non l’avrebbe aiutata, né salvata… Non si è mai sentito che la lettura salva la vita. O no? E lei si trovava in una situazione di estrema precarietà e pericolo. Per di più era tutta sola.
A quel punto successe una cosa davvero molto strana, cui diede importanza solo in seguito: il grande orologio sul camino segnava le due del pomeriggio ed era la stessa identica ora che segnava quando era passata davanti al focolare per prendere il libro e iniziare a leggere. Ma probabilmente ricordava male, si trattava di una svista. Quindi si abbassò velocemente, afferrò il libro e si girò. Prese poi la sua sciar pa preferita, gli occhiali da sole dai quali non si separava mai, infilò tutto in uno zainetto e corse alla porta, verso quelle “non-persone” luccicanti che l’attendevano pazienti.
«La preghiamo di indossare questa maschera per la sua incolumità».
I soldati le porsero un oggetto stranissimo, sembrava una maschera di design in titanio, ma simile a quella popolare di Pulcinella. Uno dei due “domopakkiani” gliela porse e lei afferrò quell’oggetto così ridicolo che assumeva forme via via differenti: si muoveva, si dilatava, quasi a vo lersi adeguare ai suoi alti zigomi. Restò stupita dalla forma che aveva assunto e, senza porsi ulteriori domande, l’avvicinò al viso. A soli circa cinque centimetri di distanza la maschera fece immediatamente presa. Sentì un freddo intenso, quasi gelo, ma che le procurò una profonda sensa zione di benessere. Le parve di vedere, udire meglio, ma soprattutto poteva respirare un’aria nuova, fresca, come priva di tossicità. Il corpo fu subito preso da freddi spasmi per poi raggiungere uno stato di equilibrio, di serenità in teriore. Fantastico! Tutto ciò era semplicemente fantastico! Il suo corpo e la sua mente erano in perfetta sintonia, paralleli. Il disagio e la paura erano stati completamenti annullati, grazie al vigore che conferiva la maschera.
Sorrise e si sentì forte, indistruttibile e sicuramente più intelligente e astuta. Un soldato, notando la sua reazione, e si fece scappare: «Perfettamente funzionante, ora saprai cosa combattere».
Ma il suo superiore lo richiamò aspramente al silenzio.
Che cosa doveva combattere? Qual era il pericolo che la stava aspettando? Che cosa intendeva dire il soldato?
La porta dell’appartamento si chiuse e lei seguì i solda ti: alcuni le si schierarono davanti per farle strada e altri, invece, rimasero alle sue spalle, come al seguito di una regina.
L’ascensore aprì le porte e lo specchio riflesse la sua immagine. Era splendente, forte e gloriosa come una guerriera antica chiamata per chissà quale missione. La maschera era scomparsa, ma non se ne stupì, era ormai parte di lei, come una seconda pelle.
Arrivarono all’ingresso dello stabile o ciò che ne era rimasto. La polvere si era diradata, ma ovunque regnava un disordine e un fuggi-fuggi generale. Proprio là, al centro della strada, un enorme cratere nell’asfalto era la sicura giustificazione all’enorme boato che aveva fatto tremare tutto. Dal profondo buco si diffondeva un fumo giallognolo che saliva alto, per poi allargarsi in cima, come a formare il fungo atomico di Hiroshima. Le persone che venivano in contatto e respiravano quel fumo s’immobilizzavano all’istante. Tutto restava fisso, privo di suono, distaccato dal reale. Ecco perché alcune persone sembravano ferme, non dipendeva dal loro stato di disorientamento, da ciò che stava accadendo. Non dipendeva dal loro stato di shock. Ma c’era qualcosa di terribile, qualcosa di spaventoso che proveniva dal cratere e che provocava tutto questo.
Procedettero veloci e sicuri tra il disordine e la disperazione, quasi avessero un percorso stabilito, dei programmi da rispettare fedelmente. La ragazza fu condotta di tutta fretta con un mezzo militare in un luogo imprecisato, nulla poteva vedere da quei vetri completamente neri che la tagliavano fuori da quella realtà.
Il mezzo correva silenzioso, nessuno parlava, nessun suono proveniva dall’esterno. Lei stringeva il suo zainetto fiduciosa come non mai, sicura di quella sua nuova forza, sicura di poter affrontare qualsiasi cosa.
Arrivarono. Fu condotta nei sotterranei di un antico palazzo, dove si snodava un tunnel ben illuminato da una luce intensa. Bianco il pavimento, bianche le pareti e i soffitti a volta. Giunsero in una sala affollatissima di gente di tutte le razze. Gente disperata. Sguardi persi nel vuoto che aspettavano un segno o un gesto che potesse significare la salvezza. Si voltò e vide che i soldati di Domopak l’avevano lasciata andare. Allora, vedendo quei volti desolati, si domandò se anche loro fossero stati condotti con le sue stesse modalità in quel luogo scomodo. Ma lei non si sentiva come loro. Era sicura di se stessa e forte. Non aveva paura. Da quando aveva indossato quella maschera aveva acquisito una nuova e rigenerante energia positiva.
Attese a lungo, si chiedeva cosa stesse succedendo fuori, nel mondo, dopo questo terribile avvenimento. Tutto ciò, però, non le suscitava né dolore né preoccupazione: era stranamente fredda e distaccata come se i suoi pensieri negativi fossero stati spazzati via. Non aveva timore di nulla.
Tra la folla vide un uomo curvo, probabilmente un frate francescano, visto il lanoso saio che s’intravedeva. Il frate alzò il capo, parve osservarla con attenzione, poi la indicò con il bastone che usava per sorreggersi e gridò: «Ecco l’Eletta!».
La folla si divise e mormorava le stesse parole. Lei corse davanti al frate e gli chiese spiegazioni, anche se era pronta e già immaginava che il destino le avrebbe riservato un ruolo importante.
Il frate la guardò teneramente e le raccontò una storia. La storia narrava di un mondo dove gli uomini vivevano in pace e dove il benessere e la serenità dominavano in tutti i luoghi della terra. Nella storia, a un certo punto, gli uomini si fanno cattivi, distruggono man mano il mondo in cui vivono. La smania di dominare la natura e gli altri uomini li spingono alla sopraffazione. Rovinano ogni tesoro che è stato concesso loro. Le racconta che il cuore dell’uomo si è inaridito, si è prosciugato di ogni goccia di buon sentimento. Ed ecco allora che lo spirito dei Tempi giunge tra gli uomini. Lo spirito dei Tempi ferma il tempo, è venuto per fermare per sempre tutto ciò che l’Uomo era, sia di buono che di cattivo. Quello era ciò che stava accadendo in quel momento.
Il frate la guardò intensamente e le disse che era la predestinata e avrebbe avuto il compito di fermare lo spirito dei Tempi per salvare il mondo. Solo lei, unica nella sua purezza d’animo, sarebbe stata capace di ripristinare l’equilibrio sulla terra.
Mille domande affollavano la sua mente, ma voleva già andare e combattere, era pronta, prontissima. Adorava il suo mondo, la natura, il sole, le stelle, il cielo e quanto di più bello. Ricordò, in quel momento, l’orologio sul camino fisso alle due, il tempo si era già fermato. Il tempo si era già fermato durante la lettura del libro. Il frate continuò la storia e le raccontò dell’esistenza di un libro scritto da una popolazione antichissima ma evoluta, la cui conoscenza si era persa nei tempi. Il manoscritto riportava tra le sue pagine le istruzioni per sconfiggere lo spirito dei Tempi e anche il modo di riportare il bene a regnare tra gli uomini. Il frate la guardò teneramente con quegli occhi rugosi e buoni e, tremando dall’emozione, le disse piangendo che stava parlando proprio del suo libro! Che il suo libro, quello che aveva nello zaino, era “il Libro!”.
Lei afferrò lo zaino. Appena lo aprì vide il libro emanare una luce accecante. Lo prese con gentilezza e rispetto, come se tutto il suo essere fosse connesso con il libro. Il libro era diverso. Non aveva più la copertina azzurra che l’aveva fatto risaltare ai suoi occhi dallo scaffale della sua libreria preferita. Davanti a lei un sigillo era impresso su un’antichissima copertina di pelle. Tre gambe stilizzate erano intrecciate in un vortice, al cui centro c’era un volto. Un volto di donna. Il suo. Lei era il sigillo del libro!
Alzò gli occhi, incontrando quelli del frate che, in un amore fraterno, le disse: «Sono sicuro che farai ciò che devi. Ho fiducia in te. Tutto il mondo ha fiducia in te».
Prese il libro di nuovo e lo aprì lentamente e ciò che vide fu sconcertante. Il libro non conteneva le pagine. Non c’erano scritture antichissime, magari geroglifici. Ogni spazio riservato alle pagine aveva una scheda in cristallo, quattro in totale, nelle quali s’intravedevano minuscoli circuiti. Istintivamente seppe cosa fare, e poggiò con delicatezza il palmo destro della mano sul primo cristallo. Si produsse una scossa che fece sobbalzare il frate. Nella sua mente furono indirizzate, come attraversando un virtuale spazio dimensionale, tutte le informazioni contenute nel primo cristallo, che era la genesi del mondo, l’origine del bene e la nascita dell’uomo. Seppe tutto ciò che gli scienziati si chiedono. Com’è nato il mondo, la nostra origine, il nostro ordine. Fece lo stesso col secondo cristallo: l’evoluzione. L’uomo produce, trasforma e scopre le regole che governano il cielo e la terra. Il terzo e ultimo cristallo era l’apocalisse: la caduta dell’uomo e la venuta dello spirito dei Tempi.
Ora la sua mente aveva appreso la sapienza conservata nei cristalli e la sua forza era quella di chi conosce il suo passato, il suo presente e il suo futuro. La conoscenza era in Lei e ora sapeva cosa fare per fermare lo spirito dei Tempi. Così chiuse il libro, lo rimise nello zainetto e corse via.
Si sentiva leggera e veloce come il vento, forte del sapere e della sua missione. Tornò in superficie e lo scenario apocalittico davanti a lei era agghiacciante: tutto era fermo e paralizzato. Gli uomini, gli animali, l’aria, tutto bloccato in uno scenario di desolazione. Strinse i denti e corse più forte, il suo spirito era pronto e si diresse là, dove tutto era cominciato dove quel fumo denso s’innalzava.
Quando arrivò al cratere il fumo usciva ancora giallo, sempre più intenso, ma ora aveva due occhi grandi e minacciosi che la guardavano. Ebbe timore di quello sguardo che conosceva bene dentro di sé.
La storia dell’uomo aveva già visto questo male abbattersi. A quel punto aprì il libro e prese il quarto cristallo. Pose entrambe le mani su di esso. I circuiti e i nuclei di energia presero a girare vorticosamente, dapprima attorno a lei e poi attorno al cratere, emanando fasci di luce colorata. Gli occhi dal cratere si fecero sempre più minacciosi e grandi. I fasci colorati racchiudevano il fumo giallo. Il fumo però si faceva sempre più denso. I palmi delle mani le bruciavano intensamente e tremavano con violenza. I fasci colorati si stavano indebolendo, lasciando che il colore giallo prendesse il sopravvento. Il frastuono della battaglia era vivo. Strinse di più il cristallo, ma tutto era vano. Tutto era inutile. Fu allora che il suo pensiero vide l’azzurro: l’azzurro del cielo, l’azzurro del mare, l’azzurro degli occhi di un bambino appena nato… l’azzurro della copertina del libro. La natura, il mondo, ciò che c’era di bello nell’uomo e nella creazione. La mente si svuotò improvvisamente. Il calore diminuì.
Il rumore cessò.
Aprì gli occhi e si ritrovò là, davanti alla finestra del terzo piano di quella parte di Roma antica.
Tutto correva in strada nella più apparente normalità. Il negoziante stava chiudendo, la gente andava su e giù dalle macchine, i ragazzini ritornavano a casa con gli zaini in spalla e lei era lì, con il libro in mano.
Chiuse e aprì di nuovo gli occhi. Il suo mondo, le sue certezze erano là, insieme al cielo azzurro e alle grida dei bambini. La fantasia, forse lo stress, giocano brutti scherzi, pensò.
Chiuse il libro e facendolo provò un forte dolore, allora guardò stupefatta le sue mani escoriate e ustionate e capì. Si voltò immediatamente verso il camino: il grande orologio segnava le due.