«Non ci può che essere un confine labile tra utopia e distopia.»
Un uomo con un lungo cappotto color cammello entrò in una piccola stanza quadrangolare con al centro un vecchio televisore. La stanza non aveva finestre e l’aria era pesante, ma non se ne curò affatto. Sulla parete alla destra del televisore vi era un piccolo orologio a muro le cui lancette scorrevano imperterrite ad una velocità inaudita senza però segnare alcun orario: infatti non vi erano indicati numeri, il quadrante era totalmente bianco. L’uomo appese il cappotto su un appendiabiti al lato della porta da cui era entrato e si abbandonò su una poltrona malridotta di fronte al televisore. Si guardò un attimo attorno, come se non avesse idea del modo in cui fosse arrivato lì e di cosa dovesse fare, eppure sapeva perfettamente tutto e i pensieri nella sua testa erano disposti magnificamente. Si protese così verso lo schermo nero che rifletteva la sua nobile figura e lo accese facendo partire un filmato in bianco e nero accompagnato dal favoloso valzer Sul bel Danubio blu di Johann Strauss. Tutte le sequenze andavano a tempo con il brano, che partiva dolcemente come se volesse ritrarre un’alba, ma sullo schermo si vedevano tante scimmie accerchiare animali o andare in giro per deserti. Quando finì di vederlo, gli uscì una lacrima dall’occhio destro che arrivò a bagnargli il maglione. Rimase con la guancia umida per qualche minuto fino a che non accennò qualche movimento confuso e fece per alzarsi, ma la porta si aprì ed entrò qualcuno.
«Buonasera» disse l’uomo appena entrato.
«Oh, sei tu. Ti stavo aspettando. Ho appena finito di vedere l’intero filmato» rispose dalla poltrona l’altro.
«E beh? Che te ne pare?»
«È commovente vederli così, tutti insieme in una volta sola. Se ne capisce subito l’insensatezza e la nullità. Sono come tante api nel loro alveare o tante formiche nel loro formicaio, ma noi non siamo i padroni cattivi che vanno a spargere morte e distruzione giusto?» mentre diceva così gli occhi continuavano a essere lucidi.
L’altro rispose: «Ma tu hai voluto che lo fossi però. E ammettilo, son stato un bravo attore, più di quello che hai mandato a farsi crocifiggere».
«Si, lo riconosco.»
Ci fu un attimo di silenzio, i loro volti pieni di imbarazzo misto a confusione guardavano punti fissi della stanza senza che l’aria opprimente li soffocasse. Quello sulla poltrona ricominciò il discorso: «Sai, sei comparso più volte nel filmato, a volte ti si intravedevano i capelli da dietro un albero, altre eri al fianco di re sotto le vesti di servo e altre ancora tra le montagne di morti in un campo di battaglia di non so quale guerra, ne hanno fatte così tante. Il bello è che anche quando eri morto continuavi a fissarmi con i tuoi occhi accorti. Sei sempre stato dietro le quinte e loro a dipingerti con le corna».
«Tu sei ancora più dietro le quinte, tanto che non ti si vede neanche, giusto?»
«Mh, sì» disse Dio con una voce tenue.
A quel punto il Diavolo si prese una sedia e si sedette al fianco di Dio, alla sua sinistra (per coerenza), e chiese: «Ma allora, come finisce?». Dio riaccese il televisore e insieme guardarono l’epilogo di quella storia, l’epilogo, in un certo senso, della loro storia.
Quella parte del filmato mostrava alcuni uomini allegri ed eccitati ballare, ridere e scherzare attorno al fuoco. Uno di loro aveva una chitarra, e suonando intonava versi alla sua madre patria mentre gli altri di rimando danzavano a loro modo sugli arpeggi dello strumento. Erano soldati e le loro voci giungevano a orecchie che non potevano più sentirli, orecchie di tanti corpi disordinatamente stesi su una grande valle al finir della quale un piccolo lago faceva da specchio alla dolce luna. Ora, a tutto questo faceva da sfondo una situazione storica abbastanza tragica: colui che tutti ormai erano concordi con il chiamare “nemico del genere umano” aveva dato l’ordine di usare il suo intero arsenale nucleare contro tutti i Paesi considerati nemici. Mentre alcuni tra i generali più importanti dell’esercito si stavano proprio dirigendo nel suo ufficio per informarlo del lancio dei missili e della conseguente caduta irreversibile in un baratro di morte e distruzione, lui premette il grilletto della pistola che teneva puntata alla tempia destra abbandonando così lo spettacolo prima della grande overture finale.
Uno di quei soldati attorno al fuoco prese da parte un suo compagno e gli chiese: «Ma allora hanno trovato il modo di salvarli prima della catastrofe?»
«Il tempo è poco» rispose l’altro «ma a quanto pare stanno puntando sui piccoli, grandi rifugi per mandrie di ragazzini. “La crociata dei bambini” la chiamano».
La crociata dei bambini … come tanti bambini confusi, spaventati a morte e disorientati avrebbero fatto a sopravvivere in grandi rifugi e come avrebbero fatto a capire quando sarebbe stato il momento giusto di riuscire allo scoperto? Sono le domande che hanno come risposta il susseguirsi dei fatti brevemente mostrati nel filmato. Per anni e anni rimasero rinchiusi tra quelle pareti sotterranee a vivere in uno stoicismo inimmaginabile (data la loro giovane età) criticando addirittura gli adulti con continue osservazioni come «giocano sempre a far la guerra». Cominciarono a vedere le cose con un estremo razionalismo che qualcuno potrebbe chiamare cinico sbagliandosi; il totale distacco da qualunque tipo di spiritualità e il conseguente attaccamento alla quotidianità per quel che è, con i bisogni primari come la fame e la sete, con le amicizie e gli amori infantili che andavano formandosi, resero quei bambini leggeri al soffiar dell’esistenza, come ramoscelli spezzati sul letto di un fiume. Quando uscirono dagli immensi rifugi erano ormai ragazzi nei cui volti traspariva una nota di nostalgia tipica dell’età adulta a cui mancava però la formazione dell’adolescente presuntuoso e ateo del periodo della grande progressione scientifica. Il mondo che li aspettava era come un libro lasciato in un angolino di un’angusta stanza con le pagine strappate che non aspetta di esser riscritto dall’inizio, ma solo di avere accesso a un dignitoso spazio nella memoria di chi lo ha gettato lì e questo i ragazzi lo capirono così bene da accontentarsi per il resto della loro vita di umili capanne da abitare e umili capi di pelle animale da indossare. Vivevano come uomini della preistoria, andando a caccia, imparando a orientarsi nello spazio che occupavano, osservando e amando la natura totalmente cambiata. Probabilmente nella loro testa il ricordo di quell’infanzia passata tutti insieme a ripararsi da una catastrofe mondiale riecheggiava come un lungo prolungamento di una nota musicale suonata da un dito che è più sospeso in aria che premuto sulla tastiera o da un arco che pizzica una stringa facendola vibrare e questo permise loro di sradicarsi da inclinazioni violente e da qualsivoglia credenza scientifica e religiosa. Trovarono la felicità nella vita, non al di fuori di essa con un dio o con il perseguimento di un obiettivo ambizioso, assetato, in fin dei conti, come l’intero filmato ha insegnato, solo di sangue. E come era bello vederli innamorarsi di un amore unico fatto tutto a loro modo, un amore in cui combattevano l’ideale della Madonna e quello di Sodoma, un contenimento disperato e una passione scellerata, gli stessi contrari insiti nello sposo nel momento di levare il velo alla sposa; quello infatti vorrebbe prendersela tutta a sé e baciarla tanto da render le labbra ostacoli (ostacoli perché le anime stesse vorrebbero baciarsi) di quell’amore, eppure finisce per sfiorarle le labbra di sfuggita. Nei dialoghi risuonavano sempre ebbre risate. Erano una società felice, gioiosa e noncurante di quelli che potevano essere i tranelli della ragione umana; persone come quelle non avevano mai messo piede sulla Terra. Eppure, uno ad uno, senza la reale gioia della riproduzione, morirono tutti, perché quel mondo, dopo esser stato violentato nei modi più disparati, doveva vendicarsi su qualcuno, e così si vendicò sulle persone sbagliate. La nuova natura, drasticamente mutata dalle radiazioni, non era più l’ideale per le condizioni fisiche dell’uomo. Il filmato si concentrava su uno delle ultime persone di quella Crociata dei bambini ormai cresciuti, che in punto di morte rideva gioiosamente insieme ai suoi cari che gli stavano intorno, memori dei bei tempi passati insieme e felici. Felici nella vita, felici nella morte. Il televisore si spense.
«Stavano morendo, ma ridevano.» disse il Diavolo.
«Ma hai capito?» prese a parlare Dio: «Hai capito cosa hanno fatto? Questi qui si son detti: “Rifiutiamo a priori il nichilismo e accettiamo che la vita abbia uno scopo. Necessariamente al conseguimento di questo essa stessa dovrà terminare. E qual migliore scopo se non il vivere tutti bene in comunità, felici e contenti?”. E gli utopisti che si immaginavano città ideali con costruzioni all’avanguardia e navicelle al posto di automobili, magari avrebbero chiamato anche scienziati per farsi togliere il sangue dalle vene e riempirle di acqua, per evitare a loro modo la guerra. E questi qui invece… a viver con le capanne, ma a viver bene! E quante cose hanno compreso, aveva ragione allora Rousseau a voler rinchiudere il povero Emilio in una stanzetta. Se avessero continuato a vivere forse non sarebbero rimasti così belli, pensarlo sarebbe come credere che una candela possa rimanere accesa per sempre. E così hanno sconfitto anche la morte, accettandola, senza domandarsi niente sul dopo, ma continuando a pensare al presente e alla bella vita trascorsa. Ci hanno abbandonati, hanno smesso di credere in noi, perché, per finire, hanno capito la cosa più importante, ovvero che gli siamo nocivi».
«Mh, e così Dio e il Diavolo vanno in pensione, chi lo avrebbe mai detto» rispose il Diavolo e Dio si mise a ridere. Era la prima volta che rideva a una sua battuta. Risero insieme come due amici che si son ritrovati dopo tanto. Poi, prese le loro cose, uscirono dalla stanza e chiusero la porta. Da quel momento niente più fu.