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Fantascienza
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Fascia 16-19
La città dell’acqua

Silenzio.
Un respiro profondo.
Silenzio.
Un ragazzo era sdraiato sull’erba. Davanti a lui una scogliera, e ancora più in là, dall’altro lato del mare, l’ombra di monti lontani.
I caldi raggi del sole bagnavano il suo volto, ne illuminavano i dolci lineamenti, la bocca, le palpebre, si riflettevano sulle ciocche dei suoi capelli color miele.
Stava dormendo.
Un altro respiro profondo.
Dei passi.
«Svegliati, coraggio.»
La voce era rauca, stanca, e accompagnata da una nota seccata, ma il suo suono, così familiare alle orecchie del giovane, non poté che procurargli una grande gioia. Aprì lentamente gli occhi, e ci vollero alcuni momenti perché si riabituasse all’intensa luce del pomeriggio. Si alzò con un balzo, e volse lo sguardo all’uomo che aveva parlato.
Era un vecchio, portava una corta barba bianca, ed aveva il capo nascosto da un berretto, con la visiera leggermente rovinata dalla salsedine.
«Sei arrivato, finalmente.»
«Mi piacerebbe trovarti sveglio per una volta.»
«Stavo solo riposando un po’, non è colpa mia se sei sempre in ritardo.»
Il vecchio lo guardò di traverso.
«Andiamo, per la lezione di oggi ti porto alle rovine.»
«Le rovine? Ma sono a valle! Perché mi hai detto di incontrarti qui se poi dobbiamo tornare giù?»
«Mi piace questo posto.»

Si misero in marcia, scendendo dal lato sinistro del promontorio, e nel mentre che si inoltravano tra i sentieri dissestati, immersi nella macchia mediterranea, davanti a loro iniziò a comparire l’immagine di una città dai tetti splendenti, e dalle strade percorse dall’acqua.
Man mano che si avvicinavano, il paesaggio cambiava sempre di più. La terra sotto i loro piedi era fangosa e tanti piccoli specchi d’acqua li circondavano in ogni direzione.
Un sospiro.
«Un tempo, io abitavo qui.»
«Nella centrale? Eri un ingegnere? Un operaio?»
«No. Io abitavo nelle rovine molto tempo prima della costruzione della centrale, quando tutti quei palazzi che vedi erano ancora semplici case. Quando questa era una vera città.»
«Eri già nato?»
«Sì, che ci trovi di strano?»
«Non ho mai realizzato che fosse passato così poco tempo da allora. Insomma, che tutti quegli eventi potessero essere distanti una sola vita umana. Nessuno degli altri vecchi ne parla mai. È inimmaginabile.»
«Non ti biasimo, se fossi al tuo posto la penserei così anch’io. Del resto il mondo è cambiato in maniera così profonda. Ma proprio per questo che ti servono le mie lezioni. Devi imparare ancora molto.»
Percorrevano adesso una strada asfaltata, la quale proseguiva in una leggera discesa, fino ad essere inghiottita dal mare. La strada, divenuta canale, era una delle vie principali della città sommersa. In alcuni punti, l’acqua giungeva fino alle finestre dei primi piani degli edifici.
«Quando eri giovane, la costa dove arrivava?»
Il vecchio osservò l’orizzonte per qualche secondo, poi, con il dito, tracciò una linea sul mare distante qualche centinaio di metri dalle abitazioni più periferiche.
«L’innalzamento del livello del mare fu solo una delle molte conseguenze degli errori dei nostri avi. Purtroppo, gli uomini hanno sempre dovuto soffrire molto prima di imparare qualcosa. Anche in questo caso, quando si è deciso di agire era troppo tardi.»
«Ma alla fine avete imparato! L’uomo ha imparato.»
«Forse.»

Arrivarono a una chiatta, ancorata a pochi metri dalla riva d’asfalto. Era un’imbarcazione di piccole dimensioni, utilizzata dagli operai ed ingegneri della centrale per raggiungere le varie zone di controllo. Sul retro, otto sedili gialli erano sormontati da una copertura di pannelli solari, mentre, alla prua, un nono sedile era riservato alla postazione di comando, ed era occupato da un uomo in divisa, che sembrava dormire. Quando sentì i loro passi, si destò.
«Cosa ci fai qui, amico?» chiese.
«Porto il ragazzo a fare un giro per la centrale, non l’ha mai vista, e mi chiedevo se potessi farci da guida.»
«Certo, perché no, mi stavo giusto annoiando.»

Salirono sull’imbarcazione, e quella si mise subito in moto, increspando la calma superficie dell’acqua con i flutti generati dalla sua scia. Passavano da una via all’altra, inoltrandosi sempre più nella giungla di cemento, e nel mentre, il conducente spiegava:
«Vedi quei pannelli solari, sopra i tetti? Sono di ultima generazione: l’energia dell’intera regione è prodotta qui, alle rovine. I piloni degli edifici sono stati rafforzati, di molti rimane soltanto lo scheletro. Sorreggono in maniera sicura tutti gli impianti. Più in là, oltre l’orizzonte, c’è anche un grande parco eolico. Le torri sono così lontane perché rimangano invisibili dalla costa, per non rovinare il paesaggio. Ci sono andato solo una volta, ho dovuto prendere il traghetto. Impressionanti, davvero. Duecento metri d’altezza, mi pare. Dev’essere terrorizzante lavorare lassù quando c’è una tempesta.»
«Ma perché costruire una centrale sopra questi palazzi abbandonati, in mezzo all’acqua, e non da qualche altra parte? Non è più complicato in questo modo?»
«Sarebbe stato più conveniente, certo. Tuttavia, ragazzo, una centrale come questa è molo ingombrante. Piuttosto che dedicare un nuovo spazio alla sua costruzione, distruggendone la fauna e la flora, si è preferito sfruttare questo posto.»
«Saper costruire sulle proprie macerie, sfruttare anche i propri errori per trarne vantaggio» intervenne il vecchio, «Questi sono i principi su cui si basa la nostra comunità».
«Ma perché non prendere un approccio decentralizzato? Perché non mettere semplicemente un pannello su ogni casa, che provveda ai bisogni di chi la abita?»
«Fai domande intelligenti ragazzo! Io non sono un tecnico, però, solo un guardiano. Suppongo che così, un’unica grande centrale, sia più efficiente. Comunque, credo che tra non molto chiuderemo i battenti. Ho saputo che alla capitale i lavori per la centrale a fusione procedono spediti.»
«È ancora una tecnologia in sviluppo, non sarà molto efficiente all’inizio» disse il vecchio.
«Sì, ma… quando sarà finalmente pronta, sono convinto che risolverà ogni nostro problema. Pensate, energia praticamente infinita! Cosa si può volere di più?»
«Sei proprio un ottimista.»
«Sempre stato, amico. Del resto mi conosci da quando sono nato.»
«Dove andrai quando chiuderanno?»
«Andrò dove mi manderanno, non ho preferenze. Questo posto non mi mancherà di certo. Quattro ore di guardia, sempre all’aperto, è davvero terribile!»
«Non sai far altro che lamentarti. Ai miei tempi, i turni di guardia duravano molto di più. Quasi tutti lavoravano per più di otto ore al giorno.»
«Continui a ripetermelo, e ogni volta io continuo a risponderti nello stesso modo: “mi dispiace per voi”. Sai, ragazzo, io non sono mai stato uno stacanovista.»

Rise.

La chiatta rallentò.
«Siamo arrivati.»
Il guardiano la accostò al terrazzino del primo piano di un palazzo particolarmente malridotto. Dove un tempo era posizionata una porta finestra, un buco si affacciava sul suo interno, ormai svuotato di tutte le cose che un tempo ne facevano una casa.
«Non impiegateci troppo, il mio turno finisce tra un’ora, e vi devo riaccompagnare fino alla mia postazione.»
«Ci metteremo dieci minuti, non di più» rassicurò il vecchio.
L’eco dei loro passi rimbombava nella tromba delle scale. Salirono fino al quinto piano ed entrarono in uno degli appartamenti.

«Cosa ne pensi?»
«Di cosa?»
«Delle rovine.»
«Preferisco la scogliera.»
«Non ne dubito.»
Un lungo sospiro: «Quando sono arrivato in questo paese avevo solo cinque anni. Io e la mia famiglia abbiamo vissuto in questo appartamento per più di vent’anni. Anche allora, non era in condizioni tanto migliori… piccolo, sporco…».
«È davvero molto piccolo.»
«Lo hai notato, vero?»
«Cosa?»
«Come siano diverse le case in questa città. L’altezza dei palazzi, l’ampiezza degli appartamenti, i quartieri in cui si trovano. Nonostante l’acqua se ne sia impossessata, ancora si può vedere che in questa zona le strade sono fittissime, senza nemmeno un parco che le divida. Quando questo posto fu costruito, il benessere dei suoi abitanti non era certo considerato una priorità.»
«L’ho notato.»
«Questo genere di comodità erano riservate solo agli alti strati della società, gente molto diversa da noi. Oggi si prova a dare un’abitazione degna a tutti quanti, ma un tempo quelli più sfortunati dovevano accontentarsi di ciò che potevano permettersi. Per pagare l’affitto, mio padre era costretto a fare due lavori, mattina e sera. Mia madre lavorava in nero. Durante la mia giovinezza ho conosciuto la povertà, la discriminazione e la cattiveria dell’uomo. Le voci di chi si opponeva erano ignorate, la voce più forte era quella dell’indifferenza. Nonostante ciò, nel cuore di molti giovani esisteva ancora speranza per il futuro. In principio eravamo pochi, divisi, male organizzati, ma come la situazione del mondo si faceva sempre più straziante, sempre più persone si univano alla nostra protesta, esasperate dalla loro condizione e decise a cambiarla. Non è un periodo di cui mi piace parlare. Fu necessario lottare per ottenere quello che abbiamo oggi. So che ti sembrerà irrazionale, ma ci fu una feroce opposizione al nostro movimento, guidata dai pochi, contro l’interesse comune. Quando la mia generazione, quella che aveva combattuto, ereditò ciò che restava del mondo, trovò paesi devastati da guerre e crisi umanitarie di ogni sorta. La crisi climatica e l’innalzamento del livello del mare, poi, accentuarono di molto il fenomeno delle migrazioni di massa, causando grandi tensioni etniche tra i popoli. Dovemmo ricostruire, imparare a convivere, e molto spesso dimenticare i rancori passati. È per questo che noi vecchi non parliamo mai del passato, il ricordo ci fa troppo male, e ci porta ad odiarci tra di noi.»
Si interruppe, per qualche secondo. Poi riprese.
«Io penso, tuttavia, che sia necessario insegnare queste cose ai giovani, perché comprendano il grande valore di questa nostra neonata civiltà, e sappiano proteggerla. Ora va. Io resterò ancora un po’. Torna a casa prima che si faccia troppo tardi, per oggi abbiamo finito.»

Il sole era ormai basso nel cielo. Stringendosi ad una maniglia, in piedi sul vagone del tram, il ragazzo ripensava a ciò che gli aveva detto il vecchio. Davanti ai suoi occhi, il verde paesaggio della periferia urbana sfrecciava veloce, con i suoi palazzi, i suoi parchi e le sue piazze. Passò per il centro storico di quello che un tempo era solo un paese, ma che adesso si trovava a fare le veci della città sommersa che si era lasciato alle spalle poche ore fa. Le piccole case in mattoni lo avevano sempre affascinato. Passò davanti al museo, che custodiva tutto il patrimonio culturale che si era salvato dal disastro, e pensò che ci sarebbe dovuto entrare una volta.
Infine ritornò a casa.

Pubblicato: 30 Gennaio 2023
Fascia: 16-19
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