Davide era un normalissimo ragazzo di quindici anni che abitava in una piccola cittadina caratterizzata dalla presenza di numerose industrie, e come tanti sui coetanei aveva molti sogni e mille incertezze nel futuro. Pensare al futuro gli sembrava inconcepibile. Il futuro, il suo, non riusciva proprio a immaginarlo, forse per via del vissuto che aveva alle spalle o per la sensazione di avere la vita contro. I rapporti con il padre non erano ottimi, a causa della sua severità e durezza. Il padre d’altronde, quasi sempre, era fuori per lavoro, un lavoro impegnativo che occupava molto del suo tempo, così che stava sempre con sua madre e le uniche possibilità per frequentarlo, oltre a sentirlo per telefono, erano le vacanze estive e le ferie.
All’età di 13 anni sua madre però morì, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore solo sei mesi prima. Nel periodo della malattia sentiva la madre rivolgersi a lui con parole struggenti, placate solo da un tremito pianto. Essendo molto legato a lei, non pensava che potesse mai lasciarlo e non riusciva a immaginare una vita senza di lei. Purtroppo la vita gli fece questo brutto scherzo: forse all’essere che è al di sopra di tutti serviva proprio lei e Davide dovette fare i conti con la realtà, una dura realtà per la sua tenera età. Non riusciva a spiegarsi la perdita, faceva domande e non riusciva a darsi risposte. Porgeva domande anche ai suoi cari ma riceveva uno squallido silenzio, più pungente di mille parole incomprensibili. Il silenzio lo viveva la notte quando aspettava il sonno, ma quel silenzio non era lo stesso. Quel silenzio era terribile, in grado di aumentare l’angoscia e far svanire parole. All’ inizio non riusciva a capirlo, poi con il passare del tempo iniziò a metabolizzarlo. Aveva capito che attenersi al silenzio era la cosa migliore da fare perché mille parole non sarebbero riuscite a descrivere l’ avvenimento e non erano in grado di consolare ma tutt’al più distruggere.
La morte della madre per lui era stata devastante, non solo per i cambiamenti ma soprattutto per il vuoto che gli lasciò dentro, però la vita doveva andare avanti. A questo proposito il posto della madre fu preso dalla nonna, che in accordo con il padre, si sarebbe presa cura di lui. Fu la scelta migliore, perché la nonna era l’ unica che poteva dedicarsi completamente a lui e inoltre godeva di un rapporto speciale con il nipote. Davide aveva sempre trascorso molto tempo con la nonna, perché la madre lavorava in un’industria chimica del paese, che molto probabilmente aveva causato l’insorgenza del tumore. Con la nonna aveva così sviluppato un rapporto speciale, fatto di complicità, di affetto e comprensione.
Nella vita di Davide c’era anche la scuola, che occupava gran parte del suo tempo. Il contesto scolastico sarebbe dovuto essere positivo, un ambiente dove sperimentare la convivenza in una comunità e dove acquisire competenze civili e professionali. Sfortunatamente anche questo ambito per Davide non era positivo. La scuola di per sé non era negativa, dato che era tra i migliori della classe potendo contare su voti alti e dato che la sua fame di sapere lo portava decisamente avanti, ma l’ ambiente non era dei migliori: non riusciva a sentirsi a suo agio e ad essere sé stesso. Basti pensare ai numerosi episodi di bullismo che subì: insulti, minacce e derisioni, senza contare le perenni esclusioni realizzate dai suoi compagni di classe nei suoi confronti. Quei compagni che riuscivano a contraddistinguersi solo per emblematici comportamenti negativi e che potevano restare solo compagni di classe, perché Davide non poteva farvi affidamento.
La perdita dell’amata mamma aveva inoltre influenzato anche le relazioni in ambito scolastico, facendolo diventare ancora più solitario e chiuso in sé stesso, rendendolo sempre più estraneo alla classe, una classe che non riusciva a capirlo ed apprezzarlo per quello che era.
Nonostante tutto il tempo passò velocemente, tanto che da ragazzo stava diventando un uomo. Non sapeva se era pronto a diventarlo, ma doveva farlo. Ad ogni modo la perdita prematura della madre aveva accelerato il suo processo di maturazione. Si ritrovò improvvisamente alla fine della 5° superiore e gli esami si apprestavano ad arrivare. Ciò che lo preoccupava però, era la vita fuori dalla scuola. Come sarebbe stata la sua dopo il diploma? Aveva visto tanti giovani che cadendo nelle reti di stupefacenti o alcol si stavano rovinando l’esistenza e stavano mandando all’aria tutti i loro sogni. Ripensando a questi casi, gli vennero in mente le parole di sua madre quando diceva: «ti ho dato la vita, mi raccomando non sprecarla perché essa è un dono di Dio e in quanto tale è unica e irripetibile». Riflettendo su queste parole, concordava che la vita era un dono ma non era certo se di Dio. Comunque capì che non poteva abbandonarsi a sprecare la vita, perché non poteva tradire le persone che credevano in lui: sua madre per prima che lo guardava dal cielo, suo padre e tanti altri, ma non poteva soprattutto tradire se stesso. Infatti aveva tanti sogni nel cassetto da realizzare e un solo obiettivo: dare significato ad una vita fino ad allora insignificante. Il sogno più importante era quello di diventare un oncologo, per cercare di salvare vite umane e dare speranza a persone che non l’avevano più.
Appena finì la scuola, dovette fare i conti con la solitudine, ora più concreta e pressante, quella maledetta solitudine che da dentro lo stava lentamente corrodendo. Voleva ad ogni costo vincerla, ma sapeva che in quella nazione non ci sarebbe mai veramente riuscito. Decise così di trasferirsi in un’altra nazione per sperimentare e testare una realtà diversa, sperando di trovare un ambiente accogliente e capace di farlo sentire finalmente parte di una collettività. Convincere sua nonna e suo padre non fu per niente facile, dato che erano preoccupati dalla lontananza, considerandola in grado di far imboccare strade diverse, forse pericolose, a Davide, ancora troppo giovane e acerbo.
Dopo molte parole e discussioni, con amarezza acconsentirono al suo spostamento per non limitare la sua vita. D’altronde ogni partenza è dura e il suo esito imprevedibile. Partì dopo poche settimane, con un volo in aereo verso Miraggio, una nazione bagnata dal mare e di cui aveva tanto sentito parlare. In aeroporto conobbe Carlo, un passeggero di ritorno. Subito iniziò a dialogare con lui per sapere di più sulla nuova nazione così da farsi una prima impressione. Carlo gli disse: «non voglio anticiparti nulla, ma dimentica il passato». Arrivato a Miraggio, prese un treno e si mise in viaggio verso la capitale. Rimase stupito vedendo tutti i terreni coltivati, giardini adornati da fiori e piante: sembrava che tra le persone e l’ambiente ci fosse una forte sintonia, diversa e più profonda di quella a cui era abituato. Le persone sembravano spinte da una forte premura di preservare la natura, così come era stata da loro ricevuta, più che semplicemente limitarsi a sfruttarla. Gli tornò in mente il suo paese dove spazi verdi scarseggiavano e le emissioni delle industrie avvenivano ininterrottamente e provò una fitta di dolore e di rammarico.
Davide non conosceva ancora quella nuova realtà, che pur essendo per certi versi personale, caratterizzava persone appartenenti alla stessa nazione. Si ritrovò però ben presto immerso in essa e incontrò una popolazione prettamente giovanile. Gli sembrava strano, ma vedeva stampato sul volto di tutti splendenti sorrisi capaci di cambiare l’umore e trasmettere tranquillità. Decise di rimanere altri giorni per provare a integrarsi in quella realtà. Nel fare questo non incontrò difficoltà, stando a contatto con una popolazione calorosa e accogliente che basava il suo punto di forza sull’ unità, abbattendo in questo modo ogni forma di pregiudizio e discriminazione. Un’unità allietata dalla collaborazione tra persone, capace di combattere l’indifferenza, l’emarginazione e l’egoismo. Infatti quella società prediligeva il gruppo rispetto al singolo, ma non era comparabile alle gang tristemente note a Davide, piuttosto si trattava di formazioni sociali basate sull’inclusione e aiuto reciproco. La solidarietà non mancava affatto, perché nessuno si tirava indietro nell’aiutare persone che si trovavano in difficoltà. Davide scrivendo una lettera alla sua famiglia per comunicare l’arrivo, usò queste parole per descrivere quella nazione: «una nazione armoniosa, caratterizzata da popolazione coesa e solidale, guidata da forti valori». Quei valori e quella armonia rendevano unica quella realtà.
Si stabilizzò a Morgana, la capitale della nazione. La capitale contava una numerosa popolazione, ma spostamenti al suo interno non erano problematici, dato che le attività erano concentrate su tutto il territorio e dislocate in diversi punti così da avere zone indipendenti e autosufficienti, eliminando le periferie, così da avere un territorio uniforme capace di soddisfare le necessità di tutti. Suo padre ricevendo la lettera, decise di andarlo a trovare e vedendo quella meravigliosa realtà, rimase stregato e decise di restarvi. Si era anche reso conto di aver trascurato suo figlio e di avergli dedicato poco tempo. L’anzianità, con il passare degli anni era sempre più vicina e il rimorso lo avrebbe ucciso prima della morte. Davide, nel corso della sua permanenza, si iscrisse alla facoltà di medicina di un’ università locale. Prese la laurea e poi la specializzazione in Oncologia, con il massimo dei voti. Era riuscito a realizzare il suo sogno e in quel periodo pensava costantemente a sua madre, che sicuramente sarebbe stata orgogliosa di lui. Davide riflettendo sul suo vissuto, dopo milioni di ragionamenti, trasse come conclusione che «il mondo, come la vita, a volte non dipende solo da noi ma per certi versi non è bello né brutto, è come ce lo costruiamo, nella misura in cui possiamo, è semplicemente lo specchio di noi stessi e della nostra storia».