Un fastidioso rumore metallico si prolungava a intermittenza tra le strade della città, il cielo rossastro della mattina iniziava a permutare in calore i primi raggi che tenacemente ricoprivano le strade di tutto il paese, dapprima illuminate artificialmente. Un ragazzo camminava per le strade della sua città e, passando per le vie, rimembrava quei suoni e quegli odori che appartenevano alla sua sfera più privata.
Tra i cunicoli della città, ritrovava i ricordi di emozioni e paure, entusiasmo e rassegnazione, i suoi pensieri si riflettevano nelle nuvole, soavi ed eleganti, privi di forme determinate e in costante movimento.
Le grandi masse di seta occupavano la tela fulgida del cielo e facevano da spettatrici all’enorme massa dorata che si apprestava a occupare tutta la scena.
Tra gli alberi si insinuava un vento tenue, le foglie accarezzate ondeggiavano in armonia danzando con una sinfonia dolce e profonda, alcune di esse, accompagnate dalla brezza, culminavano il loro cammino adagiandosi sul terreno spoglio.
Gli enormi palazzi riflettevano i raggi solari con colorati giochi di luce, lo splendore e l’oscurità si animavano insieme, rendendo l’atmosfera degna di un’opera teatrale.
La città ora si stava svegliando, numerose vite iniziavano a spostarsi e a sovrapporsi in un movimento estenuante di rincorsa del momento, tutto era di fretta, il tempo diventava ben presto l’attore protagonista e il sole era solo causa del nuovo personaggio di scena.
Primo piano.
Camminavo tra le strade della città, il sole splendeva alto nel cielo, attorno a me numerose persone, ognuna di loro riusciva a creare in me un motivo di stupore che mai avrei pensato di provare, la loro vita d’un tratto si avvicinava, mi incuriosiva, mi apparteneva. I loro tratti di felicità avevano ritratto nella mia mente un dipinto gioioso, la mia indifferenza era svanita.
In fondo non c’è niente di più feroce dell’indifferenza, è il silenzio di fronte alla conoscenza, la morte vana dell’altruismo, il vuoto del pensiero.
Saliva in me così la voglia di scoprire i miei ricordi e dall’emozioni che galleggiavano in superficie si risvegliarono le mie immagini più intime.
Era una giornata d’agosto e ben presto sarei partito per uno splendido viaggio con la mia amata ragazza, il nostro primo viaggio, le nostre prime scoperte, il nostro stupore di fronte alla bellezza e alla gioia assaliva il tempo.
Decidemmo di trovarci in stazione, lei abitava a pochi passi e io proseguivo a grandi falcate i marciapiedi della mia città, finalmente presto l’avrei vista.
Non avevo mai provato dei sentimenti forti come quando passavo il tempo con lei, anzi con lei il tempo non passava, viveva, batteva, permutava e volava via.
Ricordo i nostri sguardi, i suoi splendidi occhi color mandorla riuscivamo a leggermi nel profondo, in mezzo a silenzi cuciti dai costanti abbracci timidamente uscivano dalle sue labbra soffici e carnose dei soffici «Ti amo», che sintonizzavano i nostri battiti in un unico cuore e riempivano di calore le nostre anime estraniandoci da tutto ciò che ci fosse attorno.
La vidi da lontano, i suoi capelli neri si scuotevano al vento, i riflessi illuminavano il suo viso baciato per metà dal sole, un cipiglio si mosse quanto mi notò, man mano che ci avvicinammo i nostri sorrisi aumentavano fino a scoppiare in una risata di felicità.
D’un tratto un rombo profondo sconvolse i nostri palpiti, una forte luce ci persuadeva. Successivamente buio.
Sipario.
2 Agosto 1980, 10.25 un ordigno esplode nella stazione ferroviaria di Bologna Centrale, 85 morti e oltre 200 persone ferite, il tempo si ferma.
«Le preoccupazioni leggere fanno parlare, le grandi ammutoliscono.»
– Seneca
Il silenzio pervase le strade, gli animi, il cielo, il vuoto fu l’unica risposta.
Il rispetto divenne muto, il nulla un echeggio fragoroso.
Le storie dei due ragazzi si divisero, della giovane non rimase altro che lo splendido ricordo, l’enorme crudeltà l’aveva resa senza identità, il trambusto aveva rapito la sua delicata bellezza.
Al giovane ragazzo il destino fu più limpido ma forse crudele, le gravi condizioni lo costrinsero a giacere su un letto bianco spoglio d’ospedale, il suo corpo in stato vegetativo era tenuto in vita da artifici medici, al contrario però la mente era in costante movimento, viaggiava su quel binario che gli era stato impedito, prese quel maledetto treno, raggiunse la meta, il sogno divenne la realtà più bella che potesse vivere.
Non rimasero nient’altro che ricordi, flussi di pensieri che rivelano l’essenza delle cose, come quando il cielo nebuloso si scorda di avvolgere tutte le stelle, lasciando alle più luminose l’onore di essere guardate.
La forza del pesiero risiede anche in questo, svanisce il mondo esterno che si frammenta e diventa disgrazia e rimane il mondo interno, più saldo che mai, continua a fiorire, a vivere, a splendere.
La paura non prenderà mai il sopravvento sulla gioia perchè il boato della crudeltà verrà coperto dalla sinfonia dello stupore di vivere, la forma dei sogni darà forma alla realtà, l’amore sarà in grado di ricostruire ciò che è stato creato dall’odio e ogni tipo di violenza verrà punita.
Ora anche i sogni della ragazza si muovono liberi tra le braccia del cielo, incontrano quelli del suo amato creando insieme meravigliose sculture, rimangono nella libertà dell’universo, perchè non sempre le nuvole offuscano il cielo, a volte lo illuminano con la luce più veritiera possibile.