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Fantascienza
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Fascia 13-15
Il ritorno

Come schegge impazzite e dolorose nella mente di Aufalchio scorrevano, veloci e strazianti, i discorsi che avevano preceduto quel fatidico momento.

«Non sappiamo come la popolazione potrebbe interpretare ciò che sta accadendo, stai attento e scegli con cura le parole che userai.»
«Abbiamo scelto te perché hai le potenzialità adatte a gestire la situazione, non deluderci.»
«Hai nelle mani il destino della nostra società, fa attenzione.»

Le più alte autorità della nazione gli avevano impartito questi ordini, e lui non aveva potuto tirarsi indietro.

Avvertiva un lacerante dolore alla testa e profonde fitte nello stomaco. Erano giorni che non dormiva e si sentiva stravolto. Era bloccato sulla sedia, schiacciato da un senso di opprimente costrizione. Ogni movimento sembrava costargli una fatica immane. Il medico gli aveva detto che era normale, parte delle “mutazioni”. Ad Aufalchio sembrava solo una grande tortura.

La stanza in cui aspettava era semivuota, montata in fretta e con evidente poco preavviso. Vi prendevano posto, posizionate in fila come soldati, quattro sedie verdi. Alcune ragnatele pendevano dal soffitto, ma non vi era traccia dei ragni. I muri, intonacati di un malinconico bianco, erano spogli, salvo una piccola cartina riportante il mondo dopo la Grande Catastrofe. Di quegli avvenimenti Aufalchio sapeva poco, come tutti i ragazzi. Vi aleggiava un’aria malinconica e misteriosa, nessuno degli anziani ne parlava con piacere. Aufalchio conosceva bene però alcuni avvenimenti. Lo scioglimento dei ghiacciai, le inondazioni, la fuga verso la Nuova Pangea, le mutazioni e la “Pace con la natura”, come veniva definita. In tutta la società si era sviluppato un senso inedito, nuovo. Tutti vedevano quell’oscura epoca come un’opportunità per migliorarsi, per incentivare il senso di fraternità, per non rendere vane le sofferenze patite. Aufalchio, invece, aveva sempre vissuto tranquillamente la sua vuota esistenza, scandita da lavori comunitari e uscite con gli amici. Ma ora tutto era cambiato. Ogni sua certezza veniva meno, così come il suo stesso stile di vita. Aufalchio cercava di rammentare gli episodi e i dettagli che più contraddistinguevano le sue giornate.

Passeggiando per le vie della capitale aveva sempre minuziosamente osservato le case coperte di muschio, foglie e rami sulle cui sommità alloggiavano uccelli, insetti e piccoli animali. Notava spesso una donna che si sporgeva dal balcone parlando, se così si può dire, con le bestiole. Questo genere di avvenimenti non erano inusuali dato che, per adattarsi alle estreme situazioni dettate dalla crisi climatica, erano avvenute mutazioni alquanto bizzarre. Vicino a casa di Aufalchio c’era un’anziana signora dotata di una forza straordinaria e un’agilità incredibile. Era talmente portentosa, che si era iscritta alle forze di soccorso. Ricordava, inoltre, diversi episodi riguardanti la sua maestra delle elementari. Quest’ultima aveva un udito e un olfatto eccezionale, e riusciva a controllare i ragazzi a distanza, allertandosi di fronte a ogni conversazione o rumore sospetto, anche se questi avvenivano lontano da lei.

Aufalchio, al contrario, era privo di un chiaro scopo o obbiettivo. I lavori comunitari non lo entusiasmavano, gli spazi ricreativi, istituiti per accrescere gli interessi e le speranze della popolazione, non lo riguardavano. Perfino quel radicato senso di comunità e bellezza che, con tanta fatica, si era insinuato nelle coscienze degli abitanti e che contribuiva a migliorare il benessere cittadino gli scivolava addosso senza lasciare traccia. Era solo un piccolo ingranaggio mal funzionante, un errore da correggere. Ma lui non aveva intenzione di cambiare, voleva continuare la sua futile vita. Viveva solo perché era inevitabile. Non si capacitava di come le alte sfere della pubblica amministrazione avessero incaricato lui di mettere a conoscenza la popolazione di un fatto così rivoluzionario e destabilizzante. Non aveva mutazioni o con cui pavoneggiarsi, era goffo e impacciato, solo e senza le conoscenze adeguate. Non aveva trovato il suo posto nel mondo, poteva farsi carico di un tale responsabilità?

La porta della stanza venne aperta lentamente, e il turbine di pensieri di Aufalchio venne interrotto. Ferma, sull’uscio, aleggiava una figura. Era un uomo con una barba folta, gli occhi piccoli e marroni, il viso sporco e le orecchie grandi. I capelli, neri come il buio, rimanevano irti sulla testa come aculei. Le labbra erano secche, incapaci di proferir parola. Aveva degli abiti logori, molto vecchi e difficili da reperire. Alle scarpe mancavano i lacci ed erano bucate in più punti. Era visibilmente stanco e mal nutrito, sembrava che da un momento all’altro potesse accasciarsi a terra. Invece rimaneva fermo, come morto, incapace di muoversi e agire.

«Sì, lo so. Devo cambiare, migliorarmi. Quante volte ancora pensate di tormentarmi con i soliti discorsi?»
L’uomo non rispose.
«Cosa volete adesso?»
Silenzio.
«È uno scherzo?»
La figura iniziò a muoversi verso Aufalchio.
«Cosa volete, non ho fatto niente?!»
Nessuna supplica sembrava interrompere l’incedere dell’essere, lento ma inesorabile.
«Non è colpa mia!»
I due erano così vicini che Aufalchio poté sentire il respiro dell’uomo.
«Non è stata colpa mia» riprese con le lacrime agli occhi.
Nessuna risposta.
«Dirò solo che state tornando, niente di più.»
Gli occhi dell’uomo erano vacui, inespressivi. Lo scrutavano dall’alto in basso, ma non accennavano neanche la minima risposta alle parole vigorose del ragazzo.
«Come posso conoscere tutta la verità, fino a d’ora…»
I pensieri scroscianti di Aufalchio si interruppero.
«Io non so cosa è avvenuto, come posso capire ciò che avete sofferto?»
La stanza era così silenziosa che si udivano i ragni intessere le loro tele.
«Hai ragione ma…»
La stanza intorno era completamente sparita, intorno ai due personaggi c’era solo un vuoto buio e senza anima. Nella mente di Aufalchio grida sconosciute dilaniavano ogni sua frase, riempiendolo di frustrazione e impotenza.
«Perché sono stato scelto io?»
Le fitte allo stomaco erano tornate, più forti di prima.
«Io non conosco niente, non ho vissuto niente. Come posso io cambiare il mondo se non ho neanche la voglia e la forza di perseguire un obbiettivo? Io… non c’entro nulla con questa storia. Vorrei solo sparire.»
I pensieri di Aufalchio lo ferivano sempre di più, gli pulsavano gli occhi e voleva gridare, ma non ne aveva la forza. Non riusciva a fare altro se non incolparsi di tutti i suoi sbagli, sottoponendosi a un giudizio doloroso e straziante.
«No, non ho idea di cosa è avvenuto e di cosa avete passato!»
La sua voce era rotta dal pianto ma era deciso e determinato a porre fine alla questione.
«Quando ci avete abbandonato ci siamo dovuti adattare. Vi siete mai chiesti il perché delle nostre caratteristiche? Sono tutte mutazioni, avvenute per resistere agli effetti della Grande Catastrofe!
Un colpo di tosse interruppe il precipitare dei suoi pensieri, ma Aufalchio non si scoraggiò.
«Ovvio che non l’ho vissuta direttamente, per fortuna faccio parte della generazione successiva all’accaduto, ma credi che le sue conseguenze non mi abbiano colpito? Abbiamo lottato anche contro malattie insidiose, sconosciute, le quali ci hanno costretti a vivere nella paura, col terrore di infettare chi ci era più caro.»
Neanche di fronte a queste provocazioni la figura tentava di parlare, non mostrando alcuna reazione.
«Siamo riusciti a sopravvivere anche senza di voi. Ci siamo riorganizzati e abbiamo fondato una nuova società. Credi sia stato facile ricongiungerci con gli animali superstiti? C’erano differenze perfino tra noi umani. Avevamo paura di morire. Ma in noi non è mai crollata la speranza in un mondo migliore.»
Ci fu un attimo di pausa, poi Aufalchio riprese.
«Si, è stata questa speranza a farci andare avanti. Abbiamo ricreato le nostre vite in un unico sistema dove tutto è preciso e al servizio della comunità. Abbiamo messo da parte le divergenze e c reato una realtà migliore, bellissima.»
Il ragazzo si era alzato in piedi, e sfidava fieramente l’individuo muto.
«No, era nata una nuova percezione degli altri esseri umani. Il caos ci ha avvicinati e in noi è nato un nuovo desiderio. Volevamo agire, rendere tutto migliore, per far in modo che ciò che era avvenuto non tormentasse più nessun essere vivente. Grazie al senso ritrovato di comunità siamo riusciti a creare una società nuova, sostenuta nel senso di cura, di condivisione. Ci siamo riavvicinati anche con la natura; da soli non saremmo sopravvissuti.»
«La Ricostruzione non è stata facile. Gli spazi comunitari, i centri di assistenza, le forze di soccorso, gli spazi verdi, la costruzione sostenibile. Tutto era nuovo e misterioso. Ma la speranza e il senso di umanità ci hanno aiutati. Non abbiamo dimenticato ciò che siamo stati e ciò che abbiamo vissuto, ma abbiamo imparato dagli errori commessi, siamo andati avanti.»

Aufalchio riaprì gli occhi. La figura era sparita senza proferire parola alcuna. Si sentiva libero e leggero, quasi incorporeo. Questi sbalzi d’umore, gli aveva detto il medico, erano parte dei cambiamenti. La porta era socchiusa, un flebile spiraglio di luce tagliava la fredda stanza. Ma ora nulla lo turbava. Era impaziente di riferire questa nuova rivelazione al mormorio trepidante della folla in attesa, nella piazza gremita. Coloro che si credevano perduti stavano tornando. Sapeva che niente sarebbe stato più come prima, ma era pronto ad affrontare qualsiasi avversità. Era rinato.

E loro stavano tornando.

Pubblicato: 19 Gennaio 2023
Fascia: 13-15
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