Mi presento: mi chiamo Ermelinda, ho diciassette anni e abito in un piccolo paesino del sud Italia. A dir la verità non amo molto le presentazioni, mi limito alla banale descrizione fisica: capelli ricci castani, occhi chiari (alla luce del sole) e mediamente alta. In questo caso, però, voglio fare un’eccezione. Non amo parlare di me, delle mie emozioni o di tutto ciò che mi frulla nella testa. I miei pensieri sono come le cuffiette che in tasca lasci ordinate e poi, per chissà quale motivo, le ritrovi tutte ingarbugliate e, puntualmente, ti tocca rimetterle apposto.
È tutta colpa del futuro: è lui a mettere a soqquadro la mia mente. Ovunque si parla di migrazione, cambiamento climatico e carenza di energie, il peso delle responsabilità si fa sentire e, dentro di me, si alimenta una gran voglia di essere parte attiva del cambiamento radicale di cui si discute tanto. Posso dire che, se c’è una cosa che mi fa paura, quella è il futuro. Non mi spaventano né i ragni, né il buio, né tantomeno l’altezza, ma piuttosto le aspettative, le scelte e il terrore di fallire: cose che non vedo, ma di cui sento costantemente il peso. Ormai le domande degli adulti sono diventate estremamente prevedibili: «Che pensi di fare del tuo futuro?», «Hai scelto l’università?», «Chi vorresti diventare da grande?».
Belle domande, ma le risposte? Esiste un manuale da cui posso copiarle? O c’è qualcuno a suggerirmele? Come quando a scuola il professore ti fa proprio quella domanda, l’unica a cui non sapevi rispondere e, esattamente in quel momento, dal fondo dell’aula senti una voce sottile suggerirti la risposta esatta. Vorrei che fosse così anche nella realtà: avere qualcuno che, davanti a ogni difficoltà, mi suggerisca le scelte giuste da prendere. Oppure, ancora meglio, vorrei addormentarmi diciassettenne e risvegliarmi tra vent’anni, finalmente realizzata e orgogliosa di aver raggiunto tutti i miei obbiettivi; con il lavoro dei miei sogni e la famiglia che tanto desideravo. Vorrei chiudere gli occhi e…
Ciao, mi chiamo Ermelinda e ho trentasette anni. Il tempo sembra essere volato, sembra ieri quando ero ancora una ragazzina alle prese con il mondo, spaventata dalla grigia realtà e dal prendere decisioni importanti. Ho preso il primo volo per il futuro, la strada più semplice. Le preoccupazioni di quella ingenua ragazzina e le cattiverie di chi non credeva in lei sono ormai diventate solo un lontano ricordo. Immaginando il mio futuro ero sempre pessimista, lo vedevo distopico e addirittura apocalittico. Oggi vorrei dire alla piccola me che non c’è nulla da temere e che sono fiera di lei per non aver permesso a nessuno di farsi abbattere. Il suo sogno, sin da bambina, era quello di diventare una stilista. Ricordo ancora quando correva con entusiasmo a casa della nonna per rubarle qualche avanzo di stoffa; o ancora quando la guardava incantata davanti alla macchina da cucire sperando, un giorno, di diventare brava quanto lei. Quel giorno è finalmente arrivato, i sogni nel cassetto di quella piccola fanciulla sono diventati realtà. È ormai da qualche anno che mi sono trasferita a Parigi. Sono arrivata qui completamente da sola, con poche aspettative ma tanta voglia di crescere. Ora, invece, a farmi compagnia ci sono i miei due fantastici figli e mio marito, la famiglia perfetta, esattamente quella che desideravo. Sono una stilista a tempo pieno, ho un marchio e una produzione tutti miei, oltre che diversi punti vendita, sia qui a Parigi che in Italia. Il lavoro mi toglie molto tempo, passo la maggior parte delle giornate tra schizzi e tessuti, ma tutto ciò non mi pesa per niente, anzi, è la mia passione. Il mondo della moda è complicato, confuso, a volte misterioso e allo stesso tempo sottovalutato. L’unica strada per il successo, in questo campo, è saper giocare sull’attualità. Lo stilista diventa un giornalista, sempre al passo con le ultime notizie ed esigenze, ma anche un chimico, nella scelta dei materiali più sostenibili. La moda del presente e del futuro è una moda sostenibile, è stata proprio questa la chiave del mio successo. In questi anni di esperienza, grazie al mio lavoro, sono venuta a conoscenza di molte situazioni che, dalla minuscola realtà del paesino in cui abitavo, non avrei mai potuto immaginare. L’episodio che mi ha colpito maggiormente è stato quello di Shima. Shima fu una tra le mie prime dipendenti, quando la mia azienda era ancora piccola e sconosciuta. Ha ventitré anni, ma i suoi occhi sembrano averne vissuti molti di più. Era arrivata qui da poco, in fuga dal Bengala, una realtà problematica. Ella, infatti, sin da piccolissima ha lavorato per fabbriche di fast fashion in situazioni pessime e pericolose, svariate ore al giorno trascorse tra agenti chimici dannosi. Per questa ragione ha deciso di fondare un sindacato con le sue colleghe e di presentare le richieste di aiuto ai manager della fabbrica che, in risposta, le hanno picchiate con sedie, forbici e bastoni. Poco dopo il Rana Plaza, edificio di otto piani nel quale Shima lavorava, crollò causando oltre mille vittime. Shima, quasi per miracolo, riuscì a salvarsi e a scappare in Francia, dove si trova ancora oggi, libera e indipendente. La sua storia mi ha fatto riflettere e mi ha dato la forza di lottare, quella forza che lei e tante altre ragazze non hanno mai potuto avere. Mi sono fatta portavoce di un cambiamento necessario ma soprattutto responsabile.
Oggi, grazie a Shima, ho un’azienda green: attenta a sprechi, materiali, emissioni, trasparenza, impatto ambientale e, soprattutto, alle condizioni dei lavoratori. Ogni dipendente, nel suo piccolo, ha la possibilità di aiutare e contribuire al miglioramento e alla crescita dell’azienda; ogni consiglio è ben accetto. Inoltre, in compagnia di Shima, mio braccio destro, abbiamo in programma di partire verso numerose mete precarie: periferie dimenticate di Iraq, Sud Africa, Messico, Colombia e Giappone, per aiutare altri ragazzi e bambini che vivono la sua stessa situazione. Ermelinda diciassettenne sperava in qualcuno che le consigliasse la scelta giusta. Quel qualcuno, in un modo o nell’altro, l’ha incontrato: è Shima.