Mentre camminavo per le vie della città, animate dal tipico viavai di persone, che si apprestavano a raggiungere il sottopassaggio per andare a lavorare o a portare i propri figli a scuola, osservavo i ghirigori formati dal fumo che usciva dalla mia bocca man mano che la sigaretta si consumava.
«Vieni subito al sito, ho trovato qualcosa», così diceva il messaggio di David. Attraversai la verdeggiante area pedonale e giunsi all’entrata del sottopassaggio: pallide luci a neon illuminavano la rampa, attraversata da un flusso incessante di gente che saliva e scendeva senza sosta. Si faceva quasi fatica a immaginare il luogo in cui essa avrebbe condotto, tanto contrastante era con quel blando varco. Io ero ormai abituata alla vista di quel mondo sotterraneo, ma il ricordo della prima volta in cui vi misi piede non svanirà mai. Non era mai cambiato, almeno da quando ho memoria: il cielo lasciava spazio a una volta perlacea intarsiata di luci, mentre i prati verdi, i boschi e le case erano sostituiti da una fitta rete di strade sconfinate, su cui viaggiavano mezzi di ogni tipo.
Salii su un marciapiede e mi affrettai verso la stazione ferroviaria. Prima di prendere il treno, spensi la sigaretta; era vietato fumare nei luoghi chiusi, poiché, nonostante le eco-cig non arrecassero nessun danno alla salute, a molte persone l’odore dava comunque molto fastidio e tutti trovavamo giusto rispettare le sensibilità altrui.
In piedi, aggrappata a una maniglia, osservavo le persone che affollavano il mezzo. Mi piaceva osservare il mondo intorno a me. C’erano alcuni ragazzini che ridevano tra loro, nella più completa spensieratezza; più lontano una coppia si scambiava gesti d’affetto. Tutti quanti facevano qualcosa di diverso, ma c’era una cosa che sicuramente li accomunava: erano felici. Felici perché umani, o meglio, perché il mondo gli permetteva di essere umani. All’università avevo studiato che non era sempre stato così, che duecento anni prima l’odio pullulava ovunque e non tutti erano liberi. Pensare a tutto ciò mi faceva venire i brividi, ma cercavo di scacciare via le sensazioni negative riflettendo su quanto fosse bello il mondo del mio tempo, a quanto l’umanità si fosse evoluta e fosse migliorata.
Il treno si fermò con un fragore metallico. Scesi e raggiunsi il sito.
«Sofia, finalmente! Sei in grande ritardo!». Era stato il mio collega, nonché migliore amico David, a parlare. Stava poggiato alla parete della vecchia casa in cui stavamo conducendo le nostre indagini insieme ad altri ricercatori.
«Lo so, mi dispiace! Allora, cos’è che hai trovato?»
Si schiarì la gola e aprì la porta dell’abitazione, il cui cigolio risuonò nell’aria ammuffita con uno scricchiolio acuto, come ad avvisare coloro che avrebbero varcato quella soglia dei preziosi tesori sepolti in quel luogo.
Dapprima non notai nulla di diverso rispetto alle altre volte in cui ero stata lì, finché il mio sguardo non si posò su un robusto baule riposto in un angolo dell’atrio.
«L’ho trovato per sbaglio, in realtà. Una mattonella mi sembrava leggermente instabile, quindi l’ho alzata e…» indicò il contenitore, che in quel momento non mi sembrava diverso dai forzieri che i pirati, secoli addietro, tentavano di trovare, bramosi dei tesori che essi contenevano; per me tale tesoro era, com’è ovvio, la Storia. Quella Storia perduta, che nessuno aveva scritto, poiché tutti erano straziati dal pensiero che l’umanità fosse condannata, ma che invece era stata una tappa fondamentale per la creazione della società perfetta e pacifica in cui vivevamo adesso.
«Che cosa c’è dentro?»
David aprì il baule, che si rivelò contenere una serie di diari e un vecchio, vecchissimo cellulare.
«Dici che qui dentro ci sono informazioni sulla fondazione della nostra società?» chiesi, entusiasta.
«Lo scopriremo solo esaminando tutta questa roba.»
«Chissà come hanno fatto gli attivisti a creare questo mondo! Ci penso ogni giorno!»
«Lo so bene.»
«Sicuramente avranno convinto tutti ad aderire alla loro causa in modo pacifico, la pace è il fondamento della felicità, no? D’altronde questo mondo così perfetto non può che essere scaturito da un’unione pacifica di tutti gli umani, non è vero?»
«Gli studiosi più influenti sono d’accordo con te, ma secondo me anche gli attivisti avranno condotto qualche battaglia; come avrebbero fatto a convincere tutti? Lo trovo impossibile.»
«Pensala come vuoi…»
David si lasciò scappare una risatina. Mi prendeva sempre in giro quando gli parlavo delle mie teorie; senza dubbio lui aveva una visione alquanto anticonformista. Erano pochi gli storici ad aver avanzato speculazioni così drastiche, la maggior parte non pensava a una vera e propria guerra. Io non osavo soffermarmi nemmeno un secondo su quella possibilità.
«Da dove iniziamo?» chiesi.
«Direi dal cellulare. Mia sorella è brava con queste cose, riuscirà sicuramente a riattivarlo.»
Il giorno seguente ci incontrammo al lago. La sorella di David era riuscita a riparare il telefono, tuttavia molti dati erano andati persi, poiché esso, dalle stime condotte, risaliva a circa duecento anni prima.
«Guarda, questo deve essere Instagram!» esclamai, indicando l’icona di un’applicazione. David si sedette accanto a me sulla panchina per guardare. Instagram era molto popolare nei primi decenni del 2000, per cui decidemmo di controllare il profilo dell’ignoto possessore del cellulare.
«Era un’attivista!» gridai, leggendo la bio. La ragazza aveva pubblicato molti post, ma riuscimmo ad analizzarne solo alcuni. Il primo era un video datato 7 giugno 2030:
«Ciao a tutti, sicuramente avrete saputo cosa è successo… il Doomsday Clock ha raggiunto la mezzanotte. L’apocalisse è iniziata, abbiamo superato il punto di non ritorno. Mi verrebbe da dire che siamo spacciati, ma io voglio continuare a lottare per il nostro pianeta e spero che voi facciate lo stesso. Continuerò a pubblicare sul mio profilo, ma sappiate che non è abbastanza. Scenderemo in piazza e protesteremo finché il governo non farà qualcosa. Niente potrà fermarci.»
Avevo le lacrime agli occhi. L’ora dell’apocalisse era appena scoccata, eppure lei non aveva perso la speranza.
«Avanti, vediamo cos’ha pubblicato dopo!» mi spronò il mio amico.
Il primo post disponibile dopo quello risaliva a qualche mese dopo e presentava un articolo di giornale:
«Senti qua! “La zona sicura: il dominio del Nord”. L’articolo dice: “Ormai è dal 7 giugno scorso che le zone al Nord sono diventate le uniche abitabili: la cosiddetta ‘zona sicura’, capeggiata dalla Svezia, impone un controllo totale sulle aree più a Sud, nelle quali la qualità di vita diventa sempre più scarsa. Si potrebbe parlare di una vera e propria conquista. Il Nord, infatti, assicura alle nazioni assoggettate un continuo afflusso di acqua potabile e viveri per tutti i cittadini, in cambio, però, della completa sottomissione.»
«Finalmente le cose iniziano a farsi interessanti!»
Andammo avanti così fino a sera; continuammo ad analizzare i reperti anche il giorno dopo e quello dopo ancora e ancora e ancora.
«Ricapitoliamo cosa abbiamo scoperto fin ora.»
Mi schiarii la gola: «Dallo scoppio dell’apocalisse, molte persone, come l’attivista Sara B., emigrarono nella zona sicura. In seguito…»
«In seguito?» David accennò un sorriso beffardo. La mia lingua era come pietrificata; non volevo, non riuscivo a pronunciare quelle parole.
«Le… le nazioni assoggettate si ribellarono e iniziò una guerra, nella quale la suddetta attivista trovò la morte.»
«Però suo figlio continuò a documentare i fatti accaduti nel suo diario, dato che la tecnologia era ormai morta di fronte alla situazione critica in cui il cambiamento climatico e la guerra avevano messo il mondo. “Ho bisogno di scrivere ciò che accade per evitare di dimenticarlo. Vorrei dimenticare, ma un giorno il ricordo di questo momento sarà l’unica cosa rimasta e non posso permettere che anch’esso vada perduto”, così scrive. Inoltre, anche lui era un attivista e si impegnò per cercare di mettere fine al conflitto, che stava danneggiando ulteriormente il pianeta. A quanto pare, l’onere di trasmettere la memoria passò poi a sua figlia, e al figlio di sua figlia e così via. L’ultima di cui abbiamo notizia è Amanda. S., che visse intorno al 2158.»
Iniziammo a leggere il suo diario. Nonostante tutto, avevo ancora fiducia negli attivisti. Il nuovo mondo era stato fondato nei primi anni del 2170, mancava davvero poco a quella data; il puzzle era quasi finito, mancavano solo gli ultimi pezzi e finalmente avrei potuto sapere.
Da ciò che emerse dalla nostra lettura, gli attivisti erano disperati: la guerra non si era mai fermata e ormai si combatteva solo da remoto, con bombe e missili; le condizioni ambientali erano troppo estreme solo per uscire di casa, un po’ per il caldo, un po’ per l’aria terribilmente inquinata, quasi irrespirabile.
«Senti qua!», esclamò David, «“Stavamo per arrenderci, quando un gruppo di scienziati, attivisti come noi, creò un siero in grado di permettere all’uomo di sopravvivere a quelle condizioni estreme. Tuttavia, lo tennero nascosto al governo e ne diedero una fiala a ognuno di noi attivisti, che ormai vivevamo tutti in un grande bunker: era l’unico modo per continuare a lottare insieme. Creammo un piano…”»
«Perché ti sei fermato? Vai avanti!»
Lui esitò, guardandomi con genuina preoccupazione. Sembrava che non volesse parlare, o tantomeno lasciarmi leggere il diario personalmente. Si chiuse in bagno (eravamo a casa sua) e uscì solo mezz’ora dopo, ignorando le mie suppliche.
«Sofia, mi dispiace.»
Aggrottai la fronte, confusa.
«Dopo aver preso il siero, gli attivisti iniziarono a loro volta una battaglia. Radunarono seguaci e riuscirono a uccidere i capi del governo. Dopodiché negarono il siero a chiunque rifiutasse di unirsi a loro, lasciandoli morire nascosti sottoterra. Questa fu la nascita della società perfetta.»
Tutte le mie certezze caddero a pezzi come un castello di carte al vento. No. Non poteva essere. Non gli attivisti, non loro. Gli attivisti erano persone pacifiche, hanno creato un mondo perfetto, come era possibile che fossero stati responsabili della morte di tanta gente? Come era possibile che un mondo di pace fosse derivato da azioni tanto spregevoli?
«Questo mondo… come può essere definito perfetto?» piansi.
David sospirò: «Questa società è perfetta e pacifica… ma anche la pace ha un prezzo.»
