Qualsiasi problema m’affligga, vado al parco.
Non mi affascina nessuna branchia della botanica ma, tra la fitta vegetazione, nell’angolino più estremo verso Ovest, praticamente attaccate all’Istituto Ricreativo di Socializzazione, sono presenti, per fortuna, le Stanze. Silenziose, se non fosse per i polmoni degli psicologi; aspettano solo me. Giovane trentenne, con almeno centodiciassette anni davanti, che di fronte alle emozioni si sgretola come una principiante. Io, che di emozioni me ne dovrei intendere.
Invece la mia mente affoga in vortici di dolore, ma non quello fisico, di cui sicuramente ci sarebbe cura e anestesia, ma quello psicologico. In una città nella quale le emozioni sono poste in primo piano, chi non riesce a capire le proprie, si ritrova in un profondo stato di disagio. Ma i disagiati come me (che rimangono tanti anche dopo le lezioni di educazione emotiva) vengono supportati da particolari psicologi che appunto, prestano servizio nelle Stanze.
Unica consolazione è il costo di questo servizio, poiché pari a zero come qualsiasi altro servizio che abbia a che fare con salute, cultura e istruzione. Ed è proprio all’istruzione che penso quando, uscita dal parco, mi dirigo verso la stazione, poiché oggigiorno nessuno possiede più un suo personale veicolo. Azionando la modalità sollevamento delle mie scarpe, sorvolo la strada principale lasciando alle spalle la miriade di piante resilienti o artificiali.
Ci penso perché io ho scelto di studiare. Potrei tranquillamente non farlo, continuare una passione per un lavoro manuale (anche se la maggior parte di questi li compiono i robot) o fermarmi ai vent’anni, rinunciare allo studio e occuparmi di meccatronica. Invece ho utilizzato ogni mezzo che mi è stato fornito e, con l’immensa calma che contraddistingue questa comunità, ho usato le giornate per ampliare la mia cultura, convinta che m’aiutasse a scoprire me stessa.
Invece ho solo imparato a pensare. Pensare come i filosofi d’un tempo. E sono diventata un atopos anch’io, credo. Mi sento fuori posto in una cittadina magnifica e che amo follemente.
Ma tutti pensano, e in modo particolare, tutti sono predisposti a pensare responsabilmente. Non che la scuola c’abbia creato con gli stampini, ma c’ha portato a essere responsabili. Lasciandoci quasi ogni libertà, comunque, la maggior parte delle persone porta sempre la testa sulle spalle. Non tutti amano studiare e non tutti lavorano, ma quasi nessuno cerca di autodistruggersi.
Sistemo la felpa sui fianchi. Come la maggior parte degli indumenti è formata da tessuti capaci di riscaldarsi in base al calore corporeo, la sudorazione e la temperatura esterna.
Inclino leggermente il busto e scendo al piano inferiore della città, dove un veicolo continua imperterrito il suo percorso sotto gli edifici ogni giorno ad ogni ora. Questa metropolitana è alimentata dall’energia geotermica e non c’è percorso veloce che io abbia fatto utilizzandola. Non è proprio lentissima, ma non riesci a definirla veloce. Tutto ciò, però, è stato deciso. Non puoi cambiarlo. La calma rappresenta una delle priorità e negli ultimi cent’anni le persone ne hanno cambiate molte. L’economia è elemento di sostentamento dell’uomo e gli uomini non sono i suoi strumenti. Le relazioni umane, indispensabili per una vita felice, non possono essere trascurate. L’obbiettivo dell’intera società è aiutare ogni suo membro a conoscersi e trovare il proprio equilibrio e la sua personale e intima felicità. Sarebbe più consono affermare che s’impegna a proporre gli strumenti che permettono ad ognuno di compiere un percorso di ricerca verso la felicità.
Salgo sul veicolo e osservo.
Diversi, distinti e svariati.
Quella, per esempio, davanti a me. È truccata perfettamente; nessuno si trucca più. Sono certa frequenti il corso di trucco nel Reparto 8 dell’edificio di Ricreazione. La sua pelle scura è per lo più coperta da strati di veli, quindi è sicuramente religiosa. Sono poche le persone con un credo, ora.
Oppure l’uomo a destra. Sicuramente dopo le classiche tre ore di lavoro giornaliero, affascinato dai buchi neri, rimarrà ore nel Reparto specifico di astrologia numero 13. Penso abbia dei figli. Cosa comune in questi anni poiché le coppie si sentono sicure a figliare: sono certi di dare alla vita bambini che possono vivere (non semplicemente esistere) dignitosamente e in un mondo sicuro.
La donnetta seduta a sinistra ha minimo centododici anni. Scrolla il telefono con l’indice della mano sinistra e le sue unghie sono colorate d’un argento splendido. Ha un viso assente mentre guarda lo schermo.
Sarei andata avanti per ore se non m’avesse sfiorato un ragazzo. Castano, alto, bianco. Si scusa ininterrottamente mentre io, ferma, immobile, lo fisso imperterrita.
Scendo alla fermata e volando m’inoltro tra gli alti edifici. I pantaloni continuano a stimolare la muscolatura dei miei arti, il mio viso è contratto mentre cerco di ricordare dove si deve tenere il corso di psicologia.
Calma.
Salgo all’ultimo piano del palazzo verde chiaro che presumo sia quello corretto e osservo.
Osservo.
Ammirando la città dall’alto si riconosce che case, negozi, parchi, centri educativi e ricreativi s’innalzano casualmente come semi lanciati al suolo da un contadino. Peccato solo ora non ce ne siano più di contadini umani. L’urbanistica è stata organizzata senza un senso logico o un piano ben definito. I parchi non sono obbligatoriamente disposti vicino alle scuole e i negozi non sono tutti raggruppati in un quartiere. Un vero caos. Io adoro il caos perché mi riporta all’ordine e alla pace. Infatti questa città è ordinata e pacifica.
Riconosco il palazzo in cui abito, alto e colorato d’un blu mare meraviglioso. Perché il mare è meraviglioso. Le pale eoliche all’infuori della zona abitata sembra accarezzino le onde del mare che riesco a distinguere lontanamente. Dalle sue onde si ricava acqua potabile, poi trasformata in gelatina più dissetante. Il mio appartamento sarà vuoto a quest’ora. Rosy e Lucia dovrebbero essere a un corso di cucina. Ingoiare polvere nutriente o pastigliette non è la stessa cosa che addentare una buona bistecca di carne sintetica. Dovrebbero essere al secondo piano di quel palazzo arancione che crea contrasto con l’asfalto bianco delle strade sulle quali camminano ogni giorno centinaia di persone. Vicino ad esso c’è il Parco delle Rose all’interno del quale sono presenti diversi tipi di fiori e nel quale passano le giornate i botanici. Tra tutti fiori, però, non c’è una rosa: tutte estinte.
Devo andare.
Scendo con l’ascensore al secondo piano. No, era il terzo.
Ho sbagliato. Sono umana. È normale. Devo ricordarmelo. E tutti sbagliano. E niente e nessuno è perfetto. La nostra società non è perfetta e non lo sarà mai perché i suoi membri non possono raggiungere un obbiettivo così astratto e semplicemente disumano.
Arrivo al secondo piano. Mi chiedo perché ci sono ancora gli ascensori. Elly dice che le scarpe potrebbero farci volare anche verso l’alto, ma un minimo spostamento del baricentro causerebbe una caduta.
Anche lei frequenta il corso. Penso saremo in tanti anche se con il nuovo dispositivo a realtà virtuale potremmo stare tutti in casa e seguire le lezioni a distanza. Questo è ciò che faccio solitamente, ma le mie madri mi hanno indotta a socializzare, immensamente preoccupate per me. Temono la dipendenza o la solitudine.
Oltrepasso l’intero corridoio, sempre volando, e raggiungo l’aula.
«Buongiorno.»
Mi siedo.
Mi sento sfiorare il braccio.
«Scusa.»
Incrocio profondi occhi neri contornati da pelle diafana. Ciocche brune cadono su un’ampia fronte. Dalle sue labbra rosee fuoriesce un flebile: «Ciao».
Sorrido.