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Romance
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Fascia 16-19
Il futuro che ci spetta

Italia, aprile 1964

Mi capita di pensare a com’è ingiusta la vita, un giorno diremo addio a tutto questo e non ricorderemo nulla; è triste essere circondati da gente che dimenticherai, avendo ricordi di una faccia offuscata, irriconoscibile. E poi mi chiedo, cosa ne sarà di me?
Mi chiamo Naveen, ho ventisette anni e attualmente mi trovo nella stazione di Firenze, su una panca abbandonata alla fine del binario morto. Mi capita di sedermi qui spesso, forse anche troppo, tutti i giorni. Sento il sole scottarmi sulla pelle e il vento soffiarmi leggermente il viso. Soffia, non muove nulla, nulla tranne le cose leggere, come le piume, come i papaveri. Passa un treno, ne passano due, il terzo è il mio preferito: il treno delle tredici e un quarto; poi due piedi femminili poggiano terra sull’asfalto grigio: Marylin Jonson, figlia di un chirurgo e un’insegnante di storia, famiglia ricca, a differenza mia. Penso di non aver visto mai, nella mia vita, una donna bella quanto lei. Eccola lì che si avvicina, bionda, occhi di un verde lucente, fine e sempre composta. È bianca di pelle, a differenza mia. Passando lascia una scia di profumo, mi guarda, arrossisce e mi regala un sorriso. Sento il mio cuore fare un sobbalzo, poi ricambio il sorriso e la osservo, mentre si incammina verso l’uscita.
«Ragazzo, non vorrai mica rischiare così tanto!»
Mi girai verso l’eco di quella voce profonda e anziana: era un uomo basso, anche lui nero, sulla settantina.
«Buongiorno!» dissi con gentilezza presentandomi. L’uomo si sedette vicino a me, cominciando una conversazione. Il suo volto così calcato ricordava quello di mio nonno, morto qualche anno prima.
«Che ci fai qui giovanotto?»
«Mi piace passarci del tempo signore, mi piace per il silenzio che si crea, sa com’è! Una volta varcata quell’uscita non risulto più un uomo, ma un oggetto.»
«Non si è più oggetto se nasce il rispetto Naveen», poi sorrise guardandomi per cogliere la mia reazione. Come sapeva il mio nome?
«Ci conosciamo Signor… »
«Louis, chiamami Louis ragazzo.»
Aveva lo stesso nome.
«Che lavoro fai?»
«Sono un barista»
«E come può un ragazzo come te, sperare in quella donna se viviamo in questa società?»
Abbassava le mie aspettative, lo sapevo che non era possibile ma mi faceva bene ricevere quei sorrisi. Le sue parole ferivano perché vere.
«Ho una proposta per te, non rispondermi subito, hai due mesi, poi andrò via. Sai scrivere?»
Poi lo guardai e dal borsone a me vicino feci uscire un diario, ci scrivevo poesie. Me lo sequestrò con gentilezza e lo aprì, leggendo silenziosamente.
«Vorresti diventare scrittore, Naveen?»
«Mi piacerebbe, scrivo da quando ero piccolo, mio nonno era… »
«Sì, lo so. Lo conoscevo, ti propongo un lavoro ragazzo, vieni a lavorare nella mia casa editrice in Georgia, verrai pagato bene e ti farai un nome, nel giro di pochi mesi potrai prenderne mille di questi» disse indicando i binari e i treni fermi. «Pensaci, hai due mesi, poi andrò via» ripeté alzandosi e andando via. Poi confuso lo richiamai a me «Dove la trovo per dargli risposta?»
«Sono qui, sono sempre qui.»
L’avrei più rivisto?
Il giorno seguente, mi incamminavo verso lavoro, poi qualcosa attirò la mia attenzione. Era lei. Era ferma ad aspettare un taxi, sorrisi, era così bella, volevo parlarle.
Mi avvicinai intento nel farlo ma, qualcosa la richiamò a sé portandola via. Un’auto si era appena fermata di fronte a lei e un uomo, sulla cinquantina, le aveva aperto lo sportello per farla salire. Era il padre Jonathan Jonson.
Sicuramente vi starete chiedendo come io sappia tutte queste cose su di lei senza conoscerla, non sono uno stalker ma ho fatto attenzione a molti dettagli nel corso del tempo che mi hanno portato a udire, osiamo dire, «informazioni». È scorretto, lo so, ma chiunque, anche il più timido cercherebbe in tutti i modi di sentirsi vicino alla donna che ama. Lo chiamiamo amore, ma pochi sanno davvero il significato, come me, che fino a pochi mesi fa ne ero all’oscuro.
A lavoro ero sovrappensiero, a casa scrivevo per lei e poi c’erano quei momenti in cui potevamo scambiarci degli sguardi così puri che parlavano senza farlo davvero. Questo, direte, non è amore. E io invece vi dico di sì, lo è eccome ma è… diciamo innato, per la timidezza, per la paura di una reazione negativa e per il mancato coraggio. È platonico. A volte i nostri sguardi si incrociano facendo sbocciare un sorriso ma c’è sempre qualcosa a interromperlo; ci sono amori, come il mio per lei che durano un istante e sono più vivi di quelli vissuti in anni, amori che muoiono senza nascere mai. E perché io, uomo povero fuori, continuo a sperare in te, donna dalla bianca pelle solare se non ti ho nemmeno per un secondo parlato di me o di ciò che mi piace?
«Buongiorno signore, può versarmi un bicchiere di vino rosso?»
Ero girato di spalle ma, la sua voce, l’avrei riconosciuta tra mille. Mi girai per guardarla, era lei.
«Certo.»
Presi un calice e versai del vino, sentii i suoi occhi ricadere nei miei.
«Lei non è per caso l’uomo che sta sempre seduto in stazione?»
«Sono proprio io, signorina?»
«Marylin, mi chiami Mary, e lei?»
Le passai il calice e quando le nostre mani si sfiorarono, sentii il petto stringersi.
«Sono Naveen.»
E rimasi fermo a guardarla, il mio cuore si impigliava nei suoi occhi come le rose nei cespugli.
«Non ho mai visto un ragazzo con occhi belli come i suoi, Naveen.»
«Grazie Mary.» e mi sorrise. Avevo gli occhi color ghiaccio, un azzurro ereditato dalla famiglia di mio padre, mia nonna osava dire che si intravedesse il paradiso. Poi realizzai che era l’unica donna bianca nel locale e che questo risaltava agli occhi della gente.
«Lei che ci fa esattamente qui?»
«Avevo voglia di vino e di conoscerla.»
«E perché mai una donna così bella vorrebbe conoscere un semplice barista?»
«Non faccio distinzioni, ho sempre seguito la mia testa e ho le mie idee sulla società Naveen. Per me lei è una persona come tutte le altre e merita di essere trattato come tale.»
Sorrisi, erano delle belle parole. Aveva finito il calice, ora mi guardava lavorare.
«Lei crede nell’amore a prima vista?»
Ero di spalle e stavo pulendo gli ultimi piatti, sorrisi alla sua domanda, poi le aspettative distrutte dall’uomo anziano scomparvero.
«Certo che ci credo, lei?»
«Adesso sì.»
Arrossii, non me lo aspettavo. Poi sorrise per la mia reazione e mentre stava per andarsene la richiamai a me.
«Mary, quando ci rincontreremo?»
Poi con il suo rossetto scrisse un indirizzo su un tovagliolo e me lo porse con gentilezza tra le mani. Le sue mani erano così morbide e piccole in confronto alle mie.
«Quando senti la necessità, sempre, passa e suona a questo indirizzo, ti aspetterò.»
«Chi mi dice che non verrò ucciso?»
«Da me? Puoi contarci» e andò via.
Qualche sera dopo mi recai all’indirizzo da lei dato. Suonai al campanello di una palazzina singola a due piani. Avevo in mano un mazzo di girasoli, amavo i girasoli, mi ricordavano lei. Aprì la porta e me la ritrovai davanti.
«Ciao»
«Ciao Mary»
«Sono per me quelli?» disse prendendoli tra le mani, li avvicinò al naso e inalò l’odore.
«Sono buonissimi Naveen» e mi lasciò un bacio sulla guancia, sussurrandomi un grazie. La guardai come se fosse la cosa più bella che fosse mai esistita, avevo poche certezze su di lei, su quello che stava succedendo ma, una cosa era certa, l’avrei sposata.
Entrai in quella grande casa e fui accompagnato da lei su, in terrazza, una grande terrazza piena di luci e un tavolo al centro con due posti a sedere.
«Come sapevi che sarei venuto?»
«Lo immaginavo, in settimana lavori tanto, dal pomeriggio alla sera tardi mentre il sabato hai poche ore in meno e sapevo che ne avresti approfittato per passare la serata con me.»
Sapeva così tanto di me, eppure non la incontravo spesso, se non in stazione. Forse in lei avrei potuto sperarci. Mi avvicinai con permesso e le presi la mano, incrociandola con la mia, leggermente più grande.
«La tua pelle bianca illumina la mia come il sole nelle giornate calde, sei ciò che cerco dal principio, limpida e piena di vita.»
«Sei anche un poeta?»
«Non parlo io, è il mio cuore a farlo.»
«E cosa dice il tuo cuore Naveen?»
«Parla di una donna bellissima, è giovane e bella, ha degli occhi lucenti come smeraldi grezzi e ha un profumo delicato, come le orchidee… Se ti concentri puoi sentirlo anche tu Mary.»
Si avvicinò a me posando le sue mani sulle mie spalle, le mie stringevano piano i suoi fianchi, non volevo osare toccarla, avevo paura di ferirla in qualsiasi modo anche se non era mio intento.
«Fuggiamo via Naveen.»
«E dove vorresti andare?»
«Portami a Londra, voglio vedere Londra.»
Le sfiorai il viso e mi avvicinai intento nel lasciarle un bacio, la musica presente come sottofondo lasciava un’atmosfera romantica, poi sentii il suo respiro sempre più vicino al mio e poi la baciai. Era un bacio lento, desiderato, sia da me che da lei.
«Domani.»
«Va bene, mi farò trovare lì non fare tardi.»
«Mai.»
Avete capito adesso? Avete capito perché a volte pur di amare, lo si deve fare in silenzio? Perché a volte, quando affretti le cose finisci per rovinarle. Come avevamo fatto noi la mattina successiva. A Londra non l’avrei mai portata perché la stessa mattina suo padre aveva scoperto il tentativo di fuga e mi ritrovai in bilico, tra lei e la scelta di lasciarla andare perché, in questa società, non sarai mai libero: ti diranno per cosa essere felice, per cosa essere triste, chi amare, chi odiare o condannare. Siamo marionette, siamo condannati a istillare l’odio, la negatività. Ti uccideranno infine, perché la verità è che di umano in noi non c’è nulla.
Eppure, io continuavo ad amarla, le lasciai una lettera sotto la porta di casa, le scrissi che sarei tornato a prenderla e poi partii lontano, in Georgia, accettando il lavoro del vecchio Louis.
«Ragazzo, se è destino vi rincontrerete.»
«Non far subentrare il destino Louis, sappiamo tutti e due il vero motivo.»
Rimase in silenzio, sapeva che avevo ragione.
Mi concentrai sul lavoro per mesi cercando di non pensarla e di non sperare nell’impossibile, soprattutto adesso che non c’era più.
Poi, un pomeriggio, mentre ero seduto in un ristorante di zona mentre appuntavo le ultime bozze del mio diario, un uomo attirò la mia attenzione porgendomi un bigliettino: «Tenga signore». Sul biglietto c’era scritto «Cercami». Non volevo crederci, non poteva essere vero! Era lei, me ne accorsi perché era scritto con il suo rossetto. Uscii con fretta da quel ristorante e mi guardai attorno sperando di trovarla. Sentii le sue mani soffici sfiorarmi le spalle, mi girai e sentii gli occhi riaccendersi dopo tanto tempo.
La baciai stringendola a me il più possibile.
«Stai cercando di uccidermi?»
«Io? Puoi contarci.»

Pubblicato: 24 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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