Bentornato!
Non fai ancora parte della nostra community?
Fantascienza
  |  
Fascia 16-19
Il diario

La notte copriva con la sua coperta d’oscurità la città dalle tante casette bianche, che rilucevano nel buio come stelle. Non si udiva nessun rumore per le vie, nessun sospiro o scalpiccio di passi affrettato. Quanto si sarebbe potuto ammirare durante il giorno, una metropoli ben avviata con un continuo via vai di gente, adesso era fermo, immobile. Persino la flora sembrava essere congelata al suo posto, in attesa che qualche timido raggio di sole la risvegliasse dal suo sonno.

Eppure, in mezzo alla quiete e alla sola luce della luna, si intravvedeva da una finestra un fioco alone arancione che contornava i vetri. Una foglia, staccatasi dalle fronde di un albero vicino, si posò piano sul davanzale. Gli infissi si spalancarono di colpo e la povera fogliolina cadde bruscamente sul pavimento di marmo tirato a lucido. Una figura femminile la raccolse premurosa e la depositò con estrema grazia su un ripiano di legno scuro. Infine, sospirò e si affacciò cautamente alla finestra.

Qualcosa le faceva provare sensazioni non ben definite, sconosciute. Non riusciva a concentrarsi per troppo tempo su un’unica occupazione, perfino dormire sembrava impossibile. Strinse le palpebre. Probabilmente si trattava solo di un po’ di stress, nulla di cui preoccuparsi. Eppure, era certa che qualcosa, presto o tardi, sarebbe accaduto. Lo avvertiva. Un leggero ronzio la ridestò dai suoi pensieri, che si erano fatti sempre più contorti. Era la sua sveglia, le annunciava una nuova sessione di allenamento per iniziare al meglio la giornata. La giovane sospirò. Non aveva riposato neppure quella notte.

Non molto distante da casa sua, un gruppo di persone vestito interamente di bianco si era riunito per poter discutere sull’organizzazione della città. Seduti su sedie di vimini, in una sala che ricordava il naos di un tempio greco, donne e uomini confabulavano concitatamente. Nessuno sembrava trovare un argomento di discussione che potesse conciliare le varie opinioni. Ad un tratto, un ragazzo dai tratti ispanici si alzò in piedi catturando gli sguardi di tutti.
«Abbiamo bisogno di capire come insegnare.»
Detto questo si risedette nuovamente.

Per un istante nessuno fiatò. Un anziano dalla pelle scura come il carbone, ma con la barba candida come la neve, si sporse lievemente verso di lui.
«Questa tua affermazione allude a tutto e niente. A cosa ti riferisci? Nelle nostre scuole insegniamo il valore delle scienze, della matematica, della geografia, delle lingue, dell’economia e della cittadinanza. Cosa credi che occorra in più?»
Aveva rivolto a colui che aveva parlato un sorriso di sufficienza, come se non potesse sul serio comprendere la portata di quanto aveva appena chiesto. Il giovane si strinse le spalle ed accavallò le gambe, incurante della reazione suscitata.
«I ragazzi dovrebbero imparare a pensare per combattere il passato infausto che ci ha preceduti.»

Una donna scoppiò a ridere. I capelli neri come l’ossidiana le ondeggiarono sulla nuca.
«Abbiamo già parlato in abbondanza durante il girono della Rimembranza delle ragioni per le quali viviamo in queste condizioni, in armonia con la natura.»
Il suo interlocutore alzò un sopracciglio.
«Verrà il momento» aggiunse solo: «Nel quale vi accorgerete che quanto fatto è stato troppo poco. Allora, non potrete più tornare indietro e l’umanità sarà in pericolo. Di nuovo.»
Detto questo si alzò e con un sorriso di compatimento lasciò la sala mentre dietro di lui calava il silenzio.

La luce del mattino aveva invaso le strade della città portando con sé un senso di freschezza e benessere. Una voce metallica salutava i passanti che ricambiavano sorridenti. La giovane donna che non era riuscita a riposare adeguatamente si soffermò ad osservare una vetrina dalle luci calde che invitava gli acquirenti a comprare il latte di soia.
«Buon giorno maestra Ceniza, lieta di rivederla. Spero che abbia trascorso una buona nottata e che sia riuscita a riposare. Riesco a intravvedere le sue occhiaie, mi permetta di consigliarle impacchi naturali da applicare.»
La gentile voce robotica che accompagnava gli abitanti della città sembrava avere molto a cuore la sua salute.

La maestra sorrise, ma prima che potesse rispondere venne fermata da un giovane.
«Proprio lei cercavo, venga con me, la prego, abbiamo assolutamente bisogno del suo aiuto. Poche ore fa è avvenuto un fatto incredibile, che però non posso rivelarle nell’immediato in quanto segreto di Stato. Pergo, mi segua.»
«Segreto di Stato? Io sono una maestra che si occupa dell’istruzione pubblica dei giovani della nostra comunità e ho il dovere di recarmi a lavoro in quanto…»
«Suvvia. Non faccia storie e mi segua. Penseremo noi a risolvere ogni qual si voglia problema burocratico.»
Così, senza permetterle di porre altri quesiti, quasi la trascinò verso una solida vettura bianca dai vetri oscurati.

Dopo una buona mezz’ora di volo, una voce calda e soffusa annunciò che erano arrivati a destinazione. Ceniza scese dalla vettura facendo attenzione a dove metteva i piedi. Il selciato, seppur in ottime condizioni, era un vero attacco alle sue caviglie che si tenevano in equilibrio su un paio di tacchi non troppo alti. Non riusciva proprio a capire come mai quel giovane l’avesse condotta in una tenuta di campagna per discutere di un segreto di Stato. Per un istante temette perfino di esser stata rapita, ma dovette in fretta ricredersi quando notò con più attenzione lo stemma che campeggiava sul maglioncino bianco di colui che l’aveva condotta in quel luogo.

Si trattava dunque di un membro dei Candidi Verdi, le personalità che si occupavano di mantenere l’ordine all’interno della loro comunità e di salvaguardare lo sviluppo rimanendo in connessione con l’ecosistema che li circondava. Ricordava di aver parlato con qualcuno di loro in occasione della festa della Rimembranza, quando aveva fatto presentare ai suoi bambini un progetto incentrato sull’importanza del ricordo. Ora che rifletteva più attentamente, aveva effettivamente interagito con il giovane che aveva di fronte a lei.

Entrarono in una grande veranda che si affacciava su un campo incolto, pieno di papaveri. Il verde ed il rosso si fondevano con l’orizzonte azzurro carico del cielo, che quel giorno era terso. Si sedette su una comoda sedia in ferro, probabilmente appartenuta a qualche antenato del giovane.
«Come posso aiutarla?»
Il suo interlocutore le porse la mano.
«Mi chiamo Grătar. Ci siamo conosciuti qualche settimana fa, anche se presumibilmente non le avrò detto il mio nome. Mi ha veramente colpito il lavoro che ha condotto con i suoi allievi. In effetti, il motivo per il quale si trova qui è proprio dovuto a questo.»

Ceniza inarcò un sopracciglio.
«Mi perdoni, ma non credo di comprenderla. Ha privato i miei studenti della mia presenza solo perché ci teneva a congratularsi con me? Non avrebbe dovuto rivelarmi un segreto di Stato?»
Grătar storse le labbra in un ghigno.
«Quel che si dice arrivare dritti al punto… Molto bene, sappia che in questo momento il nostro esimio consiglio è spaccato a metà dopo che ieri notte ci siamo riuniti per la solita noiosa assemblea mensile. Si chiederà dunque perché. Ebbene, deve sapere che, mentre la maggior parte di loro si divertiva a formulare proposte inutili per la comunità, ho sollevato la necessità di sensibilizzare i ragazzi circa il tema del ricordo. Ebbene, mi sono rivolto a lei affinché mi aiuti.»

La donna sbatté le palpebre confusa. Se era vero che in quel momento era in corso una faida interna tra i Candidi Verdi, le sembrava poco opportuno intromettersi.
«Vede, io sono veramente onorata del fatto che lei abbia pensato a me, ma…»
Il giovane si girò di scatto verso di lei.
«Immagino che quindi non le interessi il diario che qualche giorno fa ho rivenuto in un vecchio baule. L’umanità è in pericolo, mia cara, e solo noi possiamo fermarla prima che inizi il suo inesorabile delirio.»
Come un prestigiatore fece comparire un quadernetto dal dorso di pelle sintetica viola.
«Faccia come vuole, io farò comunque quanto in mio potere per evitarlo. Ad ogni modo, la pregherei di non farne parola con nessuno.»
«Molto bene. Immagino di dover contribuire, dopo tutto si tratta anche del mio di mondo, non è vero Grătar?»
L’altro fece per rispondere, probabilmente lanciandole una battuta, ma lei lo fermò sul nascere.
«Se lavoreremo insieme vorrei poter leggere nel dettaglio il documento che ha ritrovato e intendo poterlo fare ora.»

I due lavorarono sul testo fino a tardo pomeriggio. Il Sole aveva dipinto un quadro impressionista sul campo di papaveri alle loro spalle. «Domani saprà cosa fare.»
Ceniza si stiracchiò con calma.
«Lo spero bene. Inizi a spianare il terreno durante una riunione, ne avrà bisogno. Vivere in mezzo al verde non li salverà dalla necessità di trovare uno sfogo, presto o tardi la polveriera esploderà e non potremo farci nulla.»
«Eppure…»
«Eppure qui c’è il materiale per evitare tutto questo. Spero solo che ci sia qualcuno di sufficientemente saggio per accorgersene.»
«Sono abbastanza certo che sarà così. Non sono degli sciocchi i Candidi Verdi.»
«Buona serata Grătar, in bocca al lupo per domani.»

Il giorno dopo Ceniza era nuovamente seduta sulla comoda poltroncina della sua cattedra. Salutò i suoi allievi all’entrata. Aveva cercato di mascherare le occhiaie con il fondotinta naturale alla terra, con scarsi risultati. Li sorrise fiduciosa. Stavano per riscrivere la Storia, di nuovo. «Buon giorno fanciulli, oggi inizieremo un nuovo argomento. Leggeremo insieme un libro che comincia così: “Cantami o diva del Pelide Achille”. Chi di voi sa chi erano gli antichi greci? Nessuno?»
«Qualcuno una volta disse che da una ghianda possano nascere querce che periranno dopo cento anni. Io temo sia proprio questo che occorra: i semi da piantare. Ho da poco riletto un vecchio diario. Proveniva dal lontano anno 2022, un secolo prima che molti di noi nascessero. C’erano scritte cose che noi abbiamo dimenticato. L’importanza del passato per creare il futuro. Il peso che le nostre scelte di oggi avranno per domani. Il nostro mondo potrebbe apparire utopistico agli occhi di un umano del ventunesimo secolo, ma non abbiamo niente di diverso rispetto a loro. Noi siamo loro. Solo una cosa ci differenzia. Loro ci hanno lasciato un’eredità. Hanno lottato per noi, per creare un mondo sostenibile, per abolire il concetto di centro e periferia. Hanno debellato malattie. Noi ci siamo arenati. Tra cent’anni qualcuno avrà bisogno di noi per edificare il proprio futuro e avrà bisogno del passato per avere un riferimento da usare nel suo tempo. Chi la pensa come me?»
Timide mani si alzarono, la maggioranza. Grătar sorrise.
«Allora, iniziamo a crearlo.»

Pubblicato: 31 Gennaio 2023
Fascia: 16-19
Commenti
Non ci sono commenti per questo racconto.