8 marzo 2016 6:02 del mattino, il treno è in partenza, fuori piove e impedendo la vista dai finestrini, e ho dimenticato l’ombrello a casa. La festa della donna mi è sembrata l’occasione perfetta per mollare gli impegni, tornare nella mia città natale, ritrovarsi con i vecchi amici d’infanzia. Ma la verità è che era da tanto che non vedevo mamma. Brevi pisolini e lunghi film di serie B, il modo migliore per sopravvivere al viaggio. Mamma ha insistito tanto che venissi a farle visita. Inizialmente pensavo di rendere tutto una sorpresa, ma conoscendola non mi avrebbe aperto neanche la porta di casa senza un minimo di preavviso. Adesso mi starà aspettando, starà già preparando il the. Insieme adoriamo prendere una bella tazza di infuso caldo, caldo. Certi sapori sanno riportare alla mente bei ricordi. Mi ricordo quando mi metteva una pezza imbevuta sulla fronte per farmi calare la febbre. Stava tutta la notte sveglia, ore e ore, non riusciva proprio a chiudere occhio. Ogni tanto preparava del the, e spesso, tra un grado e l’altro, mi permetteva di rubare qualche sorso dalla sua tazza. Solo poi ho scoperto ci metteva dentro la medicina che non volevo prendere.
7:47, per il corridoio vedo girare un ragazzino molto fastidioso, e non solo per i commenti fuori luogo agli altri passeggeri. Mi ha accusato chiaramente di assomigliare ad Harry Potter, solo perché indosso occhiali vagamente simili ai suoi. Poi da un’altra cabina vedo arrivare il padre del ragazzo, lo capisco da come lo ha richiamato a sé come fosse un cane, pronto a sgridarlo. Poi il genitore gli tira un schiaffo tanto forte che non poteva passare inosservato. Il padre mi nota, si avvicina a me. Chiede se il figlio in qualche modo mi avesse dato fastidio. Guardo il ragazzo con gli occhi pieni di lacrime… Gli rispondo di no, che è stato buono per tutto il tempo. Poi un signore anziano seduto poco più avanti si gira e mi fa cenno di cosa cavolo stessi dicendo. Il ragazzo tira un filo di sollievo, mentre l’espressione del padre si addolcisce leggermente. Insieme tornano alla loro cabina. Li seguo con lo sguardo, per un attimo mi ricorda me assieme a mio… Li seguo finché non li vedo più.
10:14, come pioveva all’andata, nulla di nuovo all’arrivo. Di certo da mamma non posso presentarmi a mani vuote. Le comprerò la mimosa! Avrà già buttato i fiori per fare spazio al mio dentro il vaso. 10:32, il taxi è in arrivo. Spero di arrivare in tempo. È risaputo che 8 marzo è sinonimo di mimosa, se ne trova una bancarella ambulante ogni dieci passi. Ne compro una subito.
10:40, intravedo il taxi. C’è una fossa vicino il marciapiede, perciò mi allontano così che il tassista non la prenda quando accosterà. Ma il tassista fraintende, accelerando a tutto gas. Prende in pieno la buca, e la ruota si squarcia. 10:49, il tassista, non riesce a cambiare la ruota… Faccio io. Ricordo quando per la prima volta mamma mi ha permesso di guidare. Mi portava in uno di quei parcheggi quasi sempre vuoti. Me la cavavo bene, quando poi ho scoperto la retromarcia. Risultato: buco la ruota. L’unico appoggio da parte di mamma è stato mettermi tra le mani un cric, un cacciavite e un enorme senso di responsabilità. Così ho imparato.
10:55, in un men che non si dica la ruota è di nuovo a posto. Il tassista rimane di cacca. «Viaggi gratis» mi dice, gli dico che non serve. Sono in ritardo! Arrivo mamma… 11:02, in città sono cambiate molto cose in così poco tempo. Il cinema dove andavo è stato chiuso. Ogni sabato mi piaceva andarci assieme ai miei amici, alle mie fidanzate, ma insieme a mamma era tutta un’altra cosa. Lei è una che a differenza mia apprezza i film di serie B, ci intravede il senso profondo che si cela dietro la pellicola, io ci intravedo solo enormi buchi di trama. In qualche modo però, riusciva sempre a convincermi che quel film non era poi così male, di notte poi riflettevo su quello che mi aveva detto e capivo non avere un minimo di senso il suo ragionamento. Eccola là! Casa. Tenga il resto… Suono il citofono. Sono pronto a rivedere mamma, ad abbracciarla tanto forte da dimenticare il tempo che siamo stati separati. Risuono. Pronto a farmi dieci piani a piedi, l’ascensore è rotto. Quando c’era la spesa da salire mi caricava come un portantino, ma riuscivo comunque ad arrivare io primo alla porta, e per questo lei si arrabbiava. Risuono ancora.
11:15, mi accorgo che il portone è aperto. Entro e sento ansimare. È mamma fuori la porta ad aspettarmi. Inizia la scalata. La luce dalle finestre che illumina le scale sembra cambiare ad ogni piano. Per un attimo mi sembra di essere in una vera illusione di Penrose. Comincio a muovermi per inerzia. Arrivo ad un piano e nell’accorgermi che le scale sono terminate non me ne capacito. La porta dell’appartamento è aperta. È una trappola! Ora sbucherà mamma all’improvviso vendicandosi di quando ero io a farla saltare in aria dallo spavento. Entro e sento odore di bruciato, misto a fumo. Poi un leggero fruscio, come un leggero fischio. L’appartamento è sottosopra. Il vaso per terra. Corro in cucina, la teiera strilla, spengo la fiamma. Vetri rotti sparsi ovunque. Dov’è mamma? «Mamma!». Controllo ovunque. Poi c’è un foro sulla porta del bagno. La porta è chiusa, cerco di sbirciare da quel foro. Prendo la chiave da un’altra stanza, sono identiche! Cerco di inserirla ma c’è qualcosa che ostruisce. La porta è chiusa dall’interno. Con la forza inserisco la chiave e apro la porta…
16:07, Detective Hank Brown, dove è il cadavere? Avvio registrazione: 8 Marzo ore 16:08, la vittima è Amanda Lane. Morta per mano di arma da fuoco: pistola. Il colpo è partito da dietro la porta. Colpita nel basso ventre, morta per dissanguamento. In volto l’ultima espressione di quando era in vita, è entrata in stato di shock. Sulla chiazza di sangue: una mimosa e un telefono. Sulla schermata appare un messaggio mai inviato al figlio: “È stato tuo padre, ti voglio be…”. Stando alle dichiarazioni del figlio, la separazione non è avvenuta in maniera consensuale. Le carte del divorzio risalgono a tre anni fa, eppure l’uomo continuava a importunare la donna minacciandola di tornare insieme. Ecco come sono andate le cose: poco prima dell’arrivo del figlio, la madre sente suonare il citofono. Il palazzo oggi era completamente vuoto, la donna apre credendo fosse il ragazzo. Ma non è così. Lei pensa di dover assistere alla solita sceneggiata da parte dell’ex marito. Solo che invece di tirare fuori le solite prediche, l’uomo tira fuori una pistola. La donna va nel panico. Va in cucina dove per la disperazione inizia a lanciargli addosso tutto ciò che le capita tra le mani. Poi di corsa in bagno. Riesce a chiudere la porta. La porta presenta anche pesanti ammaccature. L’uomo probabilmente preso dall’ira picchia la porta. La donna si mette davanti alla maniglia per bloccarla come meglio crede. Decisione le costò la vita. L’idiota fa partire un colpo, capisce di aver centrato in pieno il bersaglio. Abbandona l’appartamento. Sente qualcuno chiudere la porta d’ingresso. Non sa che fare. Come è riuscito a scappare senza imbattersi nel figlio non lo so. L’ascensore è rotto da anni, il ragazzo dice arrivare solo fino al terzo piano, quando va bene. Possibile che, proprio in quel preciso istante l’ascensore abbia deciso di funzionare e rispondere alla chiamata del tizio? Il figlio sale scale. Vede la casa sottosopra, apre la porta del bagno… Evidentemente teneva ancora in mano la mimosa che le avrebbe regalato. Il figlio è ancora scosso, come biasimarlo.
3:54 del mattino, non ho sonno, mio figlio sarà qui a momenti e ho ancora molte cose da preparare. Prima di tutto la sua stanza, saranno sei mesi che non la pulisco, ed è giunta l’ora di togliere la cyclette da lì. I fiori, non è un caso io abbia insistito venisse oggi a farmi visita. L’ultimo 8 marzo passato assieme era anche il giorno della sua partenza, si è scordato essere un giorno festivo, di conseguenza niente mimosa. Perciò, è anche uno sfizio quello mi voglio togliere invitandolo oggi. Il the, lui ne va matto, ogni volta per telefono me lo ricorda vivamente di preparagliene quando sa di poter venire. Dice che come lo faccio io il the non lo fa nessuno. Io non capisco cosa ci trovi. Ho smesso da un pezzo di metterci le medicine.
6:12, chissà la partenza? Il treno a quest’ora dovrebbe essere partito. Potrei chiamarlo e assicurarmene, ma lo conosco bene, gli starei “col fiato sul collo” se lo facessi. Spero solo abbia portato l’ombrello con sé. Mi ricordo quando pioveva lui voleva stendersi sul prato e farsi bagnare dalla pioggia, sentire piano a piano che di quel che indossava non rimaneva più nessuna parte asciutta, tanto spettava alla scema pulire. Perciò a volte lo lasciavo fare, altre lo rinchiudevo nella sua stanzetta fino a quando non smetteva di piovere. È tanto che non lo vedo, quando si è trasferito per lavoro le occasioni per stare assieme sono venute meno. Posso dire di sentire la sua mancanza, niente più calzini sparsi per casa, niente piatti gourmet da preparare, videogame a tutto volume nell’altra stanza. Fare la madre può risultare un vero mestiere, il più bello del mondo e per niente facile, soprattutto quando si cresce un figlio da soli, ma se potessi rifarei tutto daccapo, ora che so quanto mi manca.
11.00, dovrebbe essere già qui. Il the è quasi pronto. Che faccio lo chiamo? Il citofono! È lui! Sento i passi fuori l’appartamento. Apro la porta e lo aspetto. Belli i tempi in cui si faceva gradino gradino con le mani e con i piedi, almeno arrivavo prima. Chissà, adesso spunterà da quella parete e mi ritroverò davanti un palestrato, tutto tatuato con i piercing ovunque. O magari sarà sempre il solito bravo ragazzo che ho cresciuto: pulito, ordinato. Non lo chiamo nemmeno, non voglio pensi lo stia aspettando. Ecco è lui!