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Horror
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Fascia 16-19
I miei primi tre tocchi

Erano le 7.58 del mattino e, come in ogni monotona e cupa giornata di New York, mi stavo dirigendo alla mia Università: la Hunched Academy: istituto di criminologia, una delle scuole più prestigiose e ambite della città. Stavo percorrendo la solita strada, ormai disegnata a memoria nella mia mente, quando, mentre sorpassavo controvoglia il semaforo ormai verde, intravidi il mio vicino di casa che, a partire da quest’anno, sarebbe diventato il mio nuovo professore di Lingua e Letteratura italiana. Il Signor Smith era un uomo piuttosto composto ed elegante, non si mostrava mai in pubblico. Indossava sempre il suo smoking blu, privo di eventuali pieghe, rigorosamente accompagnato dalla sua cartellina marrone in pelle che, insieme alla sua presenza possente e ben curata, lo rendevano degno del nome di professore universitario. Negli anni, però, le voci cominciarono a girare, e le orecchie, soprattutto quelle delle anziane vecchiette in cerca di un po’ di pane per i loro denti, erano sempre molto attente a qualsiasi tipo di movimento o dettaglio, che potesse alimentare le loro conversazioni: e lo avevano trovato.

La cosa, infatti, che suscitava la curiosità delle menti più contorte, tra cui la mia, era data dal fatto che il signor Smith, ogni volta che entrava o usciva da una porta, era solito bussare, per tre volte consecutive, su di essa, lasciando tutti allibiti. Erano ormai le 8.50 del mattino e, con un’incredibile precisione, il signor Smith varcò la soglia d’ingresso, non facendo mancare i suoi soliti tre tocchi sulla porta, sia prima di entrare a lezione sia quando terminava la lezione. Passarono anni dal nostro primo incontro e non conobbi mai il motivo di questa sua strana ossessione, anche se la mia immaginazione sentiva di conoscere il motivo di questi famosi tre tocchi. Era appena scoccata la lancetta delle 14.00 e, dopo aver trascorso una lunga e faticosa giornata di studi, fatta principalmente di parole impilate su altre parole dette dai professori, riconobbi il signor Smith mentre rincasava tranquillamente, non facendosi ovviamente mancare quella sua sottospecie di rito magico.

Ogni giorno lo vedevo immerso in quel suo strano mondo ed io mi facevo coinvolgere, osservandolo da lontano, sperando di non dover assistere a un suo improvviso scatto d’ira nel caso mi avesse colto mentre lo spiavo. Quel giorno, però, era diverso, io mi sentivo diverso. Quel giorno, infatti, mi vide osservarlo con attenzione ma, in risposta, ebbi solo un inquietante sorriso a trentadue denti che fece scaturire in me un brivido che mi percorse l’intera schiena. Poi entrò.

Sentivo la lancetta dei minuti che scorreva con insistenza e, nonostante fossero le 3.24 di notte, non riuscivo a non pensare all’inquietante sorriso che il signor Smith mi rivolse quel giorno. Non l’avevo mai visto sotto quella veste. Non avevo mai visto quel suo sorriso.

L’ultima volta che lo vidi sorridere fu prima della morte di sua figlia, Susie, avvenuta in casa. Si vocifera, infatti, che la bambina fosse morta in un incidente domestico urtando, mentre correva, contro la maniglia d’una porta, cercando di scappare da qualcosa o forse da qualcuno. Da quel momento tutto cambiò e il signor Smith, che fino a quel momento era stato considerato l’uomo più solare del mondo, si ritrovò con le carte del divorzio in mano, pronte per essere firmate, a causa di un presunto tradimento da parte di sua moglie, Amanda Smith.

Da quel momento, nulla fu più lo stesso.

Era una normale domenica e, nonostante la brutta nottata passata a pensare al signor Smith, mi svegliai abbastanza riposato, forse un po’ più pesante del solito, come se il mio corpo contenesse in realtà due persone. Mi diressi immediatamente al bagno, pronto per sciacquare il viso con dell’acqua fredda, ma, inconsciamente, bussai per tre volte contro lo stipite della porta di quest’ultimo. Cercai di non dare troppo peso o una qualche strana spiegazione scientifica a ciò che era appena accaduto, pensai semplicemente che quell’insolito gesto era stato causato da tutto lo stress accumulato in quella notte, e riuscii in questo modo a liquidare le mie preoccupazioni, anche se per qualche secondo. Mi lavai distrattamente il viso e, mentre cercavo di afferrare un asciugamano con scarsi risultati, il mio sguardo, ancora annebbiato dal sonno e dal profumato sapone, si posò sullo specchio: rimasi paralizzato dal terrore.

Senza fare movimenti affrettati, afferrai l’asciugamano che era sempre stato accanto a me e strofinando con forza gli occhi su quest’ultimo, realizzai che la mia immaginazione non mi stava giocando un brutto scherzo. Dietro di me c’era un uomo. Era immobile e mi fissava con il suo potente portamento e il suo elegante smoking blu accompagnato da una valigetta marrone in pelle. «Signor Smith, perché si trova nel mio bagno?» dissi cercando di mantenere la calma mentre le mie dita, ormai bianche, stringevano con ansia il povero asciugamano appena utilizzato. Sentii il mio cuore accelerare, le mie pupille dilatarsi per lo spavento, il tutto accompagnato dal solo rumore, in sottofondo, del mio respiro che si faceva sempre più pesante e incontrollabile. Mi girai di scatto, impaurito da quello che sarebbe potuto accadere ma, quando mi voltai, non c’era più nessuno. Iniziò a girarmi la testa e in quel momento nulla aveva più senso. Il corpo si faceva sempre più pesante mentre l’ultimo briciolo di sanità mentale mi abbandonava.

Decisi, quindi, di riportare lentamente lo sguardo verso lo specchio che mi rivelò la crudele realtà: non ero più in casa mia. Non ero più dentro al mio corpo. Non ero più io. Realizzai immediatamente che il corpo nel quale ero intrappolato, quello che bussò tre volte prima di entrare nel bagno, quello che ebbe una notte straziante, quello che vidi nello specchio, non era il mio ma quello del signor Smith. D’un tratto il suo corpo e la mia anima con lui, iniziò a muoversi in modo confuso, dirigendosi verso una stanza. Come di routine, venne messo in atto il solito rito magico e, una volta rivelato il contenuto della misteriosa stanza, mi ritrovai a osservare una graziosa cameretta, piena di giochi e malinconia, colorata di un leggero rosa pastello che regalava all’ambiente un’aria infantile. All’interno di questa intravidi moltissime foto di una graziosa bambina che cresceva, giocava ed era felice e spensierata, il tutto accompagnato da un piccolo letto singolo ricoperto da una montagna di morbidi peluches. A quella vista, mi venne in mente Susie, la figlia del signor Smith e, non appena pronunciai tra me e me il suo nome, la mia mano, nonché quella del signor Smith, chiuse immediatamente la porta, come se, al solo pensiero di quel nome, l’atmosfera si fosse incupita.

Diedi poi altri tre tocchi sulla medesima porta, completando il rito e, prima che potessi pensare a una qualsiasi cosa, la mia voce prese vita. Iniziai così ad ascoltare, per filo e per segno, ogni minima frase, parola o lettera che il mio professore stava cercando di dire con voce spezzata, come se da quelle parole dipendesse la mia intera esistenza: «Cara Susie, ormai dalla tua morte è passato molto tempo e io, ancora oggi, busso tre volte su ogni porta per ricordare te e le nostre partite a nascondino. Ti ricordi Susie quando giocavamo a nascondino? Te lo ricordi? Eri bravissima a trovare i migliori nascondigli per farmi poi dire: «Va bene Susie, va bene hai vinto! Ora corri verso la prima porta che trovi e bussa sopra di essa per tre volte così potrò trovarti e potremo giocare di nuovo insieme!». Io perdevo sempre e a volte, anzi, tutte le volte, cercavo di perdere solo per poi vedere la felicità sul tuo volto. Anche quel giorno ti chiesi di correre verso la porta più vicina per bussare tre volte. Sentivo i tuoi piccoli piedini che percorrevano il salotto, impazienti di iniziare un’altra partita, ma dei tre tocchi nessuna traccia. Te lo richiesi un’altra volta, temendo che non mi avessi sentito ma, anche qui, nessuna risposta. E poi la tragedia. Sirene dell’ambulanza, macchine e macchine che si precipitavano di fronte casa nostra solo per una banale curiosità, ma per te, bambina mia, non ci fu nulla da fare. Cara Susie, oggi tu ritornerai da me. Io lo so, lo sento dentro il mio cuore, che dentro il corpo di quello strambo ragazzo ci sei tu. Siete troppo simili, devi essere tu! Il modo in cui mi guarda, la sua insolita curiosità, la sua dolcezza anche nelle minime cose, persino nei miei confronti. Io so che sei tu. Ci vediamo domani, Susie. Ti voglio bene. Ah, quasi dimenticavo, spero che a te e a quel ragazzo piaccia la musica che ho scelto» disse con voce rauca prima di porre fine a tutti i miei dubbi.

Ero ancora confuso da quelle ultime parole, anzi, ero confuso e stordito grazie a tutto il discorso appena udito ma, non appena iniziai a dirigermi verso il divano di quella casa a me sconosciuta, ecco lì, io capii tutto: capii perchè pensavo di sapere il motivo di quei tre tocchi, capii perché il signor Smith mi sorrise, capii tutto. Dentro di me c’era, e c’è tuttora, lo spirito di Susie. Ormai sono le 7.58 del mattino. Non so come io abbia fatto a indovinare precisamente l’orario, ma l’ho fatto, ritrovandomi così da dove tutto era iniziato. Non sentivo nulla, neppure le mie gambe. L’unico lato positivo, che in quel momento ero in grado di riconoscere, era il fatto che non ero più nel corpo del signor Smith, ma c’era ancora qualcosa che non andava. Improvvisamente, infatti, sentii, in lontananza, una melodia piuttosto cupa che, pian piano, stava risvegliando le mie orecchie. Iniziai a guardarmi intorno, confuso e spaesato, chiedendomi cosa stesse accadendo, ma la risposta non tardò ad arrivare, anzi, era proprio davanti ai miei occhi. Vidi tutti i miei conoscenti e tutti i miei parenti, piangenti, che si consolavano tra di loro davanti a un oggetto. Era una lapide: la mia lapide. A quella vista il mio corpo si paralizzò e, cercando una qualunque soluzione che potesse dare una spiegazione plausibile a ciò che avevo appena visto, vidi due strane sagome osservare la scena, compiaciute, da lontano. Decisi di avvicinarmi lentamente, molto lentamente e, mettendo a fuoco la vista, divenne di nuovo tutto più chiaro. Il signor Smith era lì, in piedi, che sorrideva tenendo per mano una bambina. Quella bambina era lei. Quella bambina era Susie. Lei mi fissava con un’aria di gratitudine e soddisfazione, come se fossi un progetto scolastico, ideato alla perfezione, pronto per essere definito come prodotto vincente di una gara di scienze. Fece, poi, uno strano segno con la mano destra, non distogliendo mai lo sguardo dai miei occhi ormai spalancati dal terrore, bussò tre volte nell’aria e sorrise di nuovo. Poi… il buio più totale.

Pubblicato: 23 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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