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Fascia 16-19
I fuochi d’artificio

Rose prese le scarpe. Aveva un appuntamento.

Scese di fretta, come se qualcuno la stesse inseguendo.

Prese le scale. Era al quinto piano, ma poco importava. Doveva affrettarsi.

I fuochi d’artificio stavano per cominciare.

Corse tanto che i tacchi le sembrarono sul punto di spezzarsi.

Si guardò attorno nella piazza, quasi nella speranza di non vedere nessuno, che tutto questo fosse stato un brutto sogno. Ma Lui era lì, con il suo cappotto nero, gli occhi azzurri e profondi come il mare.

Si avvicinò, le tese la mano, coperta dal guanto. Insieme si incamminarono verso nessun luogo.

La città era in fermento. I negozianti chiudevano baracca e si preparavano all’unico momento di gioia della settimana. Il sabato ha un effetto magico, effimero come la neve sottile, che ti si scioglie sulla punta delle dita dopo averti sfiorato.

E di neve ne stava cadendo.

Lei non ci badò molto, i fiocchi che le coprivano i capelli la rendevano ancora più bella.

Lei lo guardò, ma non incrociò il suo sguardo, perso nel vuoto.

Rose non era in imbarazzo. A pensarci bene avrebbe dovuto essere spaventata, ma non ci riusciva.

I bambini giocavano con quel filo di neve, nella speranza che non si sciogliesse. Uno di loro urlò il suo nome, ma lei non ricambiò il saluto.

Non poteva ricambiarlo. Aveva promesso di non farlo.

Eppure era triste di non poterli salvare.

Quello che lei notò invece furono le luci accese dell’unico ristorante della città.

«Ho cenato qui ieri sera» disse.

Le sue parole volarono nel vuoto, ma lei continuò, abbozzando un sorriso.

«Il proprietario è il padre di una mia amica, non hai idea di quanto cucina bene…»

Sapeva che non sarebbe più passata in quel ristorante.

Si girò verso di Lui. Non la stava neanche ascoltando. Continuava a tenergli la mano, ma era una mano fredda, spenta. Sotto il suo guanto lei percepiva l’inverno.

Come faceva a non avere paura in questo momento?

Se lo domandava. Sapeva cosa sarebbe successo, ma forse non l’aveva ancora accettato.

Spazzò via i pensieri. Dovevano muoversi.

I fuochi d’artificio stavano per cominciare.

Lo portò in uno dei suoi posti segreti, dove sua madre la portava a guardare il cielo. Da quel palazzone abbandonato si riusciva a vedere tutta la cittadina, ancora immersa nelle luci.

Rose avrebbe potuto nominare tutti i passanti uno per uno.

Avrebbe potuto fare lo stesso con le stelle.

Lui le lasciò la mano e si incamminò, facendo cenno di seguirla.

«Aspetta» gli gridò.

Si fermò.

«Voglio chiederti un ultimo regalo.»

Rimase un attimo in silenzio, e disse:

«Voglio ballare con te.»

Sapeva che era un’idea stupida, e sapeva che era impossibile.

Stava già per seguirlo, quando Lui disse:

«Va bene.»

Era la prima volta che parlava. Aveva una voce profonda.

Le prese delicatamente le mani e la avvicino a sé.

E iniziarono a ballare.

Lei non aveva mai avuto un ballo nella sua vita, ma una volta sua madre le disse che ciò che era più necessario era fidarsi.

Il suo corpo si fidava: i suoi piedi seguivano timidi i passi del suo compagno.

La neve cadeva ancora, sempre più densa. I fiocchi che si confondevano con le stelle. Ma lei si sentiva protetta.

Non parlarono, non ne avevano bisogno.

Continuarono a ballare così, lentamente.

La neve cessò e le nuvole si diradarono.

Orione si ritagliava uno spazio nel cielo.

«È il momento» disse Lui.

«Non posso.»

Rose si lasciò cadere per terra, le ginocchia nude nella neve.

Si coprì il viso con le mani. Aveva paura. Per tutta la vita aveva cercato di sembrare forte, sprezzante del pericolo, ma ora era tutto svanito, le sue certezze crollate come castelli di sabbia.

Iniziò a piangere.

Non aveva vissuto.

Non aveva ancora viaggiato.

Non aveva ancora dato un bacio.

Non poteva morire.

«Mi dispiace.»

Rose alzò lo sguardo.

Lo guardò.

Una lacrima scendeva sul suo volto.

I suoi occhi ora riflettevano le stelle.

Le si avvicinò e la strinse tra le sue braccia.

«Sono qui con te.»

Le loro lacrime caddero insieme, sciogliendo la neve.

Il sole iniziò a sorgere.

I loro corpi erano uniti, immobili, come statue antiche.

«Potrò mai rivederti?»

Non rispose.

Entrambi sapevano la verità. Lei lo avrebbe salutato, e Lui avrebbe continuato il suo lavoro per sempre.

Questo era un addio.

«Come potrò ricordarmi di te?»

Lei alzò lo sguardo. Ormai le stelle iniziavano a nascondersi.

Una però risplendeva ancora. Altair. La sua stella.

Era sua e di nessun altro. Suo padre gliel’aveva regalata.

L’aveva portata lì, su quel palazzone, molto tempo prima. Aveva preso la stella fra le mani e l’aveva consegnata a lei. Era stato il suo ultimo regalo.

Ora lei fece lo stesso. Prese la stella tra le mani, con cura, e la pose nella sua, richiudendo il guanto.

«Questa stella si vede da tutto il mondo. Così dovunque sarai, ti basterà guardarla. E penserai a me.»

Avrebbe pensato a lei ogni notte.

Lui le sollevò il viso e la baciò.

Aveva trascorso secoli ad accompagnare le persone alla fine della vita. Era sempre riuscito a non guardare nessuno negli occhi.

Ma lei lo aveva trafitto. Le sue lacrime avevano sciolto la neve del suo cuore.

«Grazie» le disse. «Mi hai ridonato la vita.»

Tre oggetti apparvero nel cielo. Giunsero dall’alba.

Si avvicinarono sempre di più, tanto che Rose non riusciva a distogliere lo sguardo.

Erano Junkers, caccia bombardieri.

Le sirene iniziarono a suonare, ma era troppo tardi.

«Addio.»

Rose si strinse a lui.

Volle passare così i suoi ultimi momenti. Stretta vicino all’uomo che amava.

Chiuse gli occhi.

Gli aerei li sovrastarono.

E iniziarono i fuochi d’artificio.

Pubblicato: 22 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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