Cammino avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro.
Un passo, poi l’altro, a cadenza ritmata. Le mani nelle tasche del giaccone, per il freddo.
Attorno a me, il silenzio. Solo io, il rumore dei miei piedi, il battito del mio cuore. Fa così tanto «macello» che forse lo sentirebbero tutti, qua.
«Cazzarola Ferna’, calmati» mi dico a voce bassa, mentre i denti battono tra di loro e il mio respiro si condensa in una nuvolina di fumo che mi si innalza davanti.
Era così divertente farlo da piccolo; fingersi grande, fumare una sigaretta immaginaria, facendo fumo. O in macchina, o davanti alla scuola.
Uno dei tanti piccoli rituali che hanno accompagnato la mia infanzia. Una vita fa…
«Ué Ferna’ statt calm», sento dire da una voce che irrompe nel silenzio creatosi, fatto di passi e battiti di cuore.
Mi volto, interrompendo la mia frenetica passeggiata. Piero, mio cugino, è seduto su un muretto.
Mi fa segno di avvicinarmi.
Sì, forse è la cosa migliore. Mi siedo accanto a lui, i gomiti poggiati sulle ginocchia, la faccia fra le mani.
È tutto così assurdo.
Piero non è un grande dispensatore di consigli, ma inizia a parlare. Non importa, il mio cervello offusca i suoi discorsi, come ha offuscato tutto il resto.
Ormai sono giorni che non penso davvero a nulla.
Ma chi ce l’ha il tempo per pensare!
Mi muovono solo i sentimenti, un mix strano che coinvolge il cuore e lo stomaco. E forse è meglio così. Se cominciassi pure a usare il cervello collasserei. O scoppierei in uno di quei pianti dati dalla comprensione della propria emozione.
Mamma mia…
E chi ci può pensa’ …
Vorrei chiamare mio padre, sentirlo al telefono, come quando viaggiavo, anni fa, e lo chiamavo per raccontargli come andava.
Una vita fa…
In realtà vorrei fosse accanto a me, ad abbracciarmi, a dirmi qualcosa. Ma alla fine so che non mi direbbe niente. Io mio padre lo conosco, è un tenerone, uno di cuore. Forse piangerebbe con me. O mi canterebbe una delle sue canzoni. Canta sempre, figurati se non lo farebbe mo’! Mi piacerebbe sentire la sua voce.
Mi alzo. Piero non dice niente, forse ha capito che non lo sto ascoltando.
Compongo il numero, e mentre squilla mi rendo conto di avere già gli occhi lucidi.
Risponde in meno di un secondo.
«Pronto?»
«Oh papà, ciao!»
«Ah bello mio, come stai?»
Sospiro, di uno di quei sospiri vivi, per cui non servono parole.
«Eh lo so Ferna’, sapessi come stavo io quando è nata Tiziana! Ma pure quando sei nato tu, o Pietro.»
Ora il cervello si attiva, e i pensieri mi invadono. Sento i battiti aumentare all’impazzata.
Papà sta raccontando qualche aneddoto, ma ora non riesco ad ascoltare nemmeno lui.
«A pa’,» lo interrompo «e se non sono in grado…»
«Ma vaffanculo Ferna’! Sarai un padre eccezionale.»
Niente, le lacrime scendono, non sono riuscito a trattenerle.
«Mi sembra tutto così assurdo pa’.»
«Lo so lo so, te ricordi di quando mi chiamavi che stavi in giro per il mondo?» Sembra mi conosca sempre così bene. Me e i miei pensieri. «Mo’ vado a papà, che mamma già sta a piagne e a sentitte finisce che piango pure io. Ti voglio bene, tienici aggiornati eh!»
Rispondo affermativamente e attacco.
Mi risiedo accanto a Piero, che ormai ha rinunciato a ogni tipo di conversazione, immergendosi nella lettura di qualche post su Facebook.
Torno nella posizione di prima, con la testa tra le braccia.
Chissà come sta Lella, là dentro.
Chissà che pensa, che prova.
Chissà se anche lei c’ha le stesse paure che c’ho io, le stesse ansie.
Lei è sempre stata per certi versi più forte di me. Più combattiva, più realista anche. Io sono sempre stato più sognatore, più fantasioso, ma quando ti scontri con la realtà, poi, la fantasia ti si ritorce contro, e ti divora. Ma ora tutto questo non importa più.
Ora la mia fantasia sta per diventare realtà.
Quel sogno che, pur se nascosto, già aleggiava nel mio animo quando viaggiavo, a vent’anni. E che si è pian piano concretizzato da quando ho conosciuto l’amore della mia vita, Lella.
Proprio quei vent’anni, cui accennavo, mi sembrano così dannatamente lontani. La decisione di partire, senza guardarmi indietro. Le giornate perse, sulla nave, a guardare l’oceano.
Le notti passate sottocoperta, con il mare che, ondeggiante, mi cullava. Non dormivo bene allora come non dormo bene ora. Come se quel mare non se ne fosse mai andato, come se l’emozione della scoperta non mi avesse mai abbandonato.
Ho visto posti, ho conosciuto gente di cui a malapena ricordo il nome, ho esplorato il mondo con la meraviglia che mi inebriava gli occhi, e il cuore.
E mi auguro che sia la stessa che si formerà sui suoi occhi quando le racconterò tutto questo. E voglio che anche lei possa vivere tutto questo.
Magari non tutto tutto eh, perché di cazzate ne ho fatte anch’io, e pure troppe. E perché certe cose non torneranno mai uguali a come le ho vissute io.
Ma avrà le sue esperienze, la sua vita, e sarà meraviglioso, nel bello, nel brutto.
«Mamma mia…»
Sussurro, e Piero, ancora silenzioso, mi cinge con un braccio.
Restiamo così, uniti dai nostri respiri ritmati, in attesa solo che qualcuno ci venga a chiamare.
Fa davvero freddo. Lo stesso freddo che aveva accompagnato le mie notti da turista, quasi, in Australia. Quando passeggiavo con la testa tra le nuvole nel buio più totale, con dei pasticcini da portare a chi sarebbe rimasto di guardia sulla nave.
Quante emozioni, all’epoca.
Il brivido della scoperta, della novità.
Quel desiderio del proibito, acceso nei miei occhi saturi di voglia di conoscere un mondo a me ignoto.
Ora è diverso, però.
Questi occhi, altrettanto saturi di desideri ed emozioni, sono animati da uno spirito diverso, molto diverso, da quello che mi aveva spinto a tradire Giulia, la mia fidanzata dell’epoca, con Tanya, una focosa ballerina di tango, seguendo le parole dell’ammiraglio, un uomo saggio che mi aveva gentilmente ricordato come, certe cose, certi segreti, se li può portare via il mare, senza rimorsi.
Lì erano stati i miei più bassi istinti a guidarmi, qui, ora, di questi bassi istinti non ne è rimasta nemmeno l’ombra.
Mi guida invece l’animosità feroce di un bambino, spinto dalla curiosità alla scoperta del nuovo. Un nuovo mondo. Una nuova vita.
Non c’è più nessuna Giulia, nessuna Tanya, nessun tradimento. Non c’è più nessuna notte brava lungo le coste Australiane, nessuna scorrazzata notturna ubriaco perso.
Nessun casinò nel quale cercare fortuna, nessun nostromo che ride di me perché non so spizzare le carte.
È proprio su quel casinò, uno dei pochi in Australia, su cui si fermano i miei pensieri mentre l’infermiera esce dall’ospedale, avvicinandosi.
Quel casinò in cui sono entrato un po’ per gioco, un po’ per cercare di dare una svolta alla mia vita.
Quel casinò in cui ho bevuto whisky a non finire, nel tentativo di darmi un tono che non avevo.
Lì, dove, tra una risata e l’altra con la barista, ho visto un amico perdere tutti i soldi che aveva alle macchinette.
Lì, dove mi sono illuso che per me tutto sarebbe stato diverso.
Lì, dove lentamente spizzavo quelle carte con un coreano accanto.
Mi fece una domanda, quella volta.
Me la pose ridendo, scherzando quasi con me, che ero solo uno sconosciuto.
«Where is the Jack?» aveva domandato urlando mentre il banchiere aveva mostrato la mia ultima carta, che non mi aveva fatto vincere: l’otto di cuori.
A distanza di anni non posso che sorriderne.
Chissà dove sarei, ora, se ci fosse stato davvero un Jack, al posto di quell’otto.
Non so che partita avrei giocato, poi, forse le cose sarebbero andate comunque come sono andate.
Ma so che partita sto giocando ora.
E mentre l’infermeria mi comunica quello che già so, e mentre le lacrime cominciano a scendere copiose, col cuore che pulsa, so che questa è la partita più importante. Ora, scorrendo le carte che ho di fronte, lentamente, come se spogliassi una donna, so per certo qual è l’ultima carta.
E no, non lo so dov’era quel Jack. Non lo so che sarebbe stato, se ci fosse stato.
So solo che ora, l’ultima carta, quella che mi fa vincere il banco, mi fa guardare sorridente quel coreano che urla, ha un nome, un cognome, un viso e dei bellissimi occhioni.
La mia giocata vincente.
Il mio viaggio più bello.
La mia avventura più ardua.
Non un Jack, ma un bellissimo asso di cuori.
Il mio asso di cuori.
Il mio cuore.
La mia carta.
La mia Francesca.

