«Benvenuti a Harmonyland» fu la prima frase che Rachel rivolse al gruppetto di ragazzi appena arrivati. Harmonyland! Non era la prima volta che la ragazza pronunciava quel nome, ogni volta con il tono di voce enigmatico di chi vuole suscitare curiosità, ma al tempo stesso enfatico ed entusiasta. Sì, perché quel nome era un messaggio, inaspettato, nuovo, direi rivoluzionario, ma soprattutto rassicurante. E, ogni volta che lo pronunciava, Rachel ricordava il suo di stupore, quello provato, circa un anno prima, nell’apprendere il nome di quella che sarebbe stata la sua nuova città, nata dal lavoro di tutti coloro arrivati in cerca di un posto nuovo in cui ricostruire la propria vita, sconvolta dalla “grande catastrofe” che aveva colpito quasi 1/3 della popolazione mondiale.
Erano trascorsi esattamente 18 mesi e 23 giorni da quando la vita di Rachel e dei suoi amici era stata completamente stravolta. Era una bellissima e normale giornata di estate, molto soleggiata. Fuori faceva particolarmente caldo, per questo Rachel e le sue amiche avevano deciso di bere qualcosa al solito bar vicino la scuola. Così, tra un selfie e l’altro, proprio mentre tentava di immortalare l’ennesimo momento perfetto per un nuovo post su Instagram, accadde qualcosa di strano: il fascio di luce che penetrava dalla finestra alle sue spalle scomparì completamente, sembrava stesse calando la notte, nonostante fossero le 16:00 del pomeriggio. Contemporaneamente, all’interno del bar si diffondeva un brusio crescente e si percepì chiaramente l’agitazione mista a incredulità dei ragazzi e degli adulti presenti. A tutti era evidente che non poteva trattarsi di una nuova perturbazione, sfuggita alle previsioni meteo, ma che fosse accaduto qualcosa di anomalo.Le amiche non fecero in tempo a “interrogare” i social che dopo pochi minuti la vibrazione del cellulare richiamò per un attimo Rachel alla normalità.
Dall’altro capo del telefono, sua madre, puntuale come un orologio, la invitava a tornare subito a casa, informandola dell’incredibile notizia appena data da tutti i TG, a reti unificate: un gigantesco corpo celeste non identificato si era posizionato davanti al sole, oscurando parte dei continenti di Asia e America. Un evento inimmaginabile e inspiegabile per gli scienziati, incapaci di prevedere i tempi di stazionamento dell’intruso nel sistema solare, che avrebbe cambiato la vita di tutta l’umanità.I nuovi arrivati si lasciarono contagiare dalla positività del suono della voce di Rachel, mettendo da parte ogni timore “dell’ignoto” cui stavano andando incontro. La leggerissima brezza che accarezzava dolcemente i loro visi, profumata di vaniglia mista a mughetto, come quella rilassante dei centri benessere, contribuì a cancellare dalla mente ogni preoccupazione restante: la natura partecipava all’accoglienza di Rachel e sembrava rassicurarli definitivamente del fatto che quello era il posto giusto per ricominciare. I nuovi arrivati presero quindi posto con entusiasmo nel “Giardino dell’Accoglienza”, davanti al grande schermo che li avrebbe guidati nella scoperta “virtuale” della città.
La prima cosa che li colpì furono le abitazioni, molto diverse da quelle del “vecchio mondo”. Avevano tutte la stessa struttura, dimensioni piccole, grandi finestre per sfruttare al meglio la luce del sole durante le ore del giorno; tutte si sviluppavano su un unico piano e i tetti erano collegati tra loro da piattaforme di vetro che ospitavano dei giardini con fiori variopinti di ogni specie. Spiccavano decisamente il rosso dei papaveri e il lilla degli iris, che ricordavano i paesaggi protagonisti delle opere di Monet, realizzate in un tempo ormai lontano. Tra un quartiere e l’altro, quasi invisibili a un primo colpo d’occhio, si snodavano delle collinette i cui alberi, secondo una perfetta geometria, servivano a disegnare dei confini naturali, non più fatti di cemento e cancelli. La natura si fondeva in un modo così armonioso con le costruzioni dell’uomo che determinare una netta distinzione sarebbe stato impossibile. A destare maggiore curiosità fu la visione delle strade, tutte costeggiate da piste ciclabili. Gli unici mezzi che si vedevano circolare erano degli autobus particolari, grandi poco più che un’autovettura, elettrici e veloci. Ma ciò che saltava all’occhio era la completa assenza di automobili sia nelle strade cittadine, sia davanti alle abitazioni, solo tante biciclette e monopattini. Nessuna traccia di traffico in città, nessun frastuono di clacson o di motori, insomma nessun tipo di inquinamento, né acustico né atmosferico. Tutto ciò apparteneva a una realtà distante ormai anni luce, nonostante fosse trascorso solo poco più di un anno.
Rachel, immersa nella descrizione della città, a un tratto si accorse di un ragazzino che cercava di attirare la sua attenzione. Aveva all’incirca 13 anni, alto poco più di un metro e cinquanta, con folti riccioli castani e occhi scuri, profondi, che la osservavano intensamente. Si fermò a due passi da lei, alzando la mano il più in alto possibile, affinchè le concedesse il permesso di parlare, proprio come ti insegnano a scuola. Rachel allora interruppe il suo discorso per ascoltare la domanda. Il bambino le chiese come potessero essere sparite tutte le automobili, come fosse possibile spostarsi da un luogo a un altro senza il mezzo principale di locomozione. La ragazza gli spiegò che a Harmonyland tutto ciò di cui vi era bisogno era a portata di mano, nel giro di poche centinaia di metri, anche perché non c’erano un centro città e una periferia, tutti i servizi erano facilmente fruibili. Inoltre, i cittadini avevano a disposizione delle speciali funivie ecologiche che permettevano loro di spostarsi da una collinetta all’altra. Mentre Rachel ringraziava il ragazzino, sullo schermo campeggiava il verde del manto erboso di uno dei vari parchi di Harmonyland, che faceva da sfondo a un’area pic-nic adiacente a un coloratissimo spazio attrezzato per bambini. Più a lato si intravedeva una zona dedicata agli animali, con un cartello che indicava la presenza di un pronto soccorso veterinario.
Continuando il tour, sullo schermo apparvero in primo piano due cartelli direzionali con su scritto: “Punto di ristoro n. 7” e “Punto di ristoro n. 8”. Rachel spiegò che a Harmonyland c’era una cucina comune e, dunque, i pasti si condividevano ogni giorno, al fine di evitare sprechi di risorse sia energetiche che alimentari. Quindi la città era costellata di “sale da pranzo” in grado di ospitare un dato numero di persone, in cui ogni nucleo familiare dava il proprio contributo, o in cucina o nella pulizia e nella manutenzione. E il cibo? Chi lo procurava? Il cibo, in realtà, non veniva acquistato, perché arrivava dalla Grande Collina, una grandissima distesa di terreno dove venivano coltivati tutti i prodotti alimentari in maniera naturale e ciclica, tenendo conto delle stagioni e delle esigenze della popolazione.Gli ultimi fotogrammi mostrati furono quelli delle scuole, edifici che si snodavano anch’esse solo a piano terra. Rachel spiegò che rimanevano aperte tutto il giorno, anche la domenica, poiché era il personale della scuola, con l’aiuto degli studenti, a occuparsi delle biblioteche e delle palestre, strutture che non sorgevano in altri punti della città, ma solo come appendice della scuola. Inoltre, i ragazzi, durante gli ultimi 2/3 anni delle scuole superiori, dovevano scegliere un corso pomeridiano, tra tecniche di primo soccorso, veterinaria, oppure scienze agrarie e zootecniche.Così si concluse il tour virtuale di Harmonyland. Rachel, nell’euforia generale, si congedò dai suoi nuovi concittadini che, in attesa di poter accedere alle loro abitazioni, si sentivano pronti ad affrontare quella nuova vita, segno di una vera e propria rinascita.