Come ogni sabato pomeriggio, Gaia si trova sul 30 Express, destinazione Centro. Tutti i suoi amici le dicono che è fortunata a poterci andare così spesso: insomma, il centro di Roma è stupendo! Anche se durante i weekend soffoca per il traffico e raggiungerlo in autobus è come andare in missione di sopravvivenza, fra vecchine scorbutiche che rivendicavano i posti a sedere e odori di dubbia provenienza. Oggi poi piove e ogni persona che sale è un possibile nemico, soprattutto se armato di ombrello, parapioggia o borse varie. Perché nel suo vano tentativo di aprirsi un varco tra la calca sgocciolerà ovunque, rendendo la situazione ancora più precaria. Insomma, a dispetto di quello che pensano i suoi amici, la prospettiva di passare un sabato pomeriggio in questo modo non è propriamente allettante. Gaia sospira mentre guarda fuori dal vetro appannato dell’autobus, rinunciando del tutto a completare la sua traduzione. Sulle gambe, stropicciato e bagnato, tiene stretto un quadernino del Centre Saint-Louis de France. Frequenta ogni sabato pomeriggio un corso di francese. Anche questo non è proprio il massimo, ma almeno la sede si trova praticamente dietro il palazzo del Senato, vicinissima al Pantheon e a Piazza Navona. Spesso all’uscita della lezione si addentra in quelle strade che dall’autobus intravede a fatica fra le teste dei passeggeri. Ogni volta che rimane in piedi, non riesce mai ad aggrapparsi alle maniglie, troppo in alto per la sua altezza, ritrovandosi così a sbattere contro i malcapitati che le stanno accanto. Ma per fortuna quel giorno ha trovato un posto libero e senza pensarci due volte l’ha occupato. Quando Gaia realizza che l’autobus è ancora dalle parti della Piramide Cestia, decide che è piuttosto noioso starsene a osservare quale delle goccioline di pioggia raggiunge prima il bordo inferiore del vetro. Quindi dopo aver rimesso il quaderno di francese in borsa, prende il cellulare e si sistema per bene gli auricolari. Manca ancora più di mezz’ora fino alla fermata “Senato”, se non di più, visto che quando piove regolarmente il traffico aumenta. Inoltre sa già di essere in uno spaventoso ritardo: sono le quindici e il suo corso è iniziato ormai da trenta minuti. Perciò si accoccola il più comodamente possibile sul sedile di plastica e comincia a studiare attentamente le facce serie di chi le sta intorno. In effetti, è la cosa che le piace di più infilare il suo naso lentigginoso nei fatti altrui. Purtroppo in quel momento sembra non ci sia niente di interessante, se non forse una signora che sta raccontando le sue mirabolanti avventure al mercato. Gaia volge di nuovo lo sguardo verso l’esterno, cercando quasi di sfuggire all’aria umida e soffocante del bus. Si sofferma a osservare una ragazza che si affretta ad attraversare le strisce, tenendosi il cappello ben saldo in testa e ricacciando sotto le ciocche ribelli. Chissà, forse sta cercando di non fargli prendere umidità per non rovinare la chioma appena stirata con la piastra. Poverina, tutta fatica sprecata, pensa Gaia mentre si toglie lo zuccotto verde smeraldo dal capo, lasciando scoperti i suoi capelli corti e arruffati. Lei non ha più di questi problemi, da quando un giorno, ormai stufa, è andata in cucina e ci ha dato un taglio, letteralmente, mentre il suo gatto si divertiva con i ciuffi di capelli biondi che cadevano sul pavimento. Dopo qualche semaforo, incroci e molte buche dell’asfalto che hanno provocato colorite esclamazioni da parte del conducente, l’autobus entra nel cuore del quartiere “Testaccio”, saltando però la fermata davanti al palazzo delle poste in via Marmorata e guadagnandosi così le maledizioni di un vecchietto, che continua ad agitare il suo ombrello per aria. In breve, dopo aver girato a destra della collina del Gran Priorato dell’Ordine di Malta, che Gaia aveva creduto essere il famoso Monte dei Cocci per parecchio tempo, il bus raggiunge finalmente il Lungotevere Aventino. Lì inizia il caos. In teoria, durante il fine settimana tutte le strade dovrebbero essere più tranquille. Invece, no. Il traffico è più intenso del solito e le persone al volante più nervose, dal momento che avrebbero voluto farsi una bella passeggiata per via del Corso e invece stanno passando il pomeriggio in macchina. Tra i rumori dei clacson e le proteste dei guidatori in fila, a Gaia pare quasi di riuscire a sentire le onde del Tevere agitato infrangersi contro il Ponte Sublicio e lo scroscio della pioggia mischiarsi con l’acqua melmosa del fiume. Vede i folti rami degli alberi, ormai spogli e grigiastri, agitarsi e intrecciarsi come in una danza, mossi dal vento. Dopo dieci minuti il bus riesce finalmente a muoversi, per poi fermarsi di botto appena pochi metri dopo. Gaia si gira verso la sponda opposta del fiume, senza badare a tutte le automobili che ci sono e cerca con gli occhi la “Piazza dei Mercanti”. Non ci è mai stata: ma quel nome le era rimasto impresso una volta che suo padre l’aveva nominata. Quella piazza le aveva fatto immaginare uno scenario orientale, con venditori di stoffe e gioielli, odori inebrianti di spezie e in sottofondo le note di In un mercato Persiano, che tante volte aveva sentito suonare dalla madre al pianoforte. Purtroppo non riesce a scorgere nulla fra i palazzi rinascimentali di mattoni rossi, ma nota un piccolo chiostro circondato da sempreverdi che si appunta mentalmente di visitare quando farà bel tempo. Il Lungotevere è disseminato di deliziose casette in stile Liberty. Una in particolare fa impazzire Gaia ogni volta: è un piccolo villino ceruleo, le cui mura sono rivestite da edera e altre piante rampicanti. Vorrebbe tanto vedere l’interno, ma non essendo possibile si accontenta della sua fantasia. Si immagina alti soffitti a cassettoni, mobili chiari in stile provenzale e soprattutto una grande, grandissima libreria piena di antichi volumi. La casa dei suoi sogni, insomma. L’autobus si scosta dalla riva del Tevere e arriva alla Bocca della Verità. Da piccola si era spaventata a morte perché, dopo aver detto una bugia, era stata costretta a infilarci la mano. Che enorme sollievo tirarla fuori e scoprire che nessuno gliel’aveva amputata. Gaia si chiede se anche Audrey Hepburn abbia avuto paura di infilare la mano, durante le riprese di Vacanze Romane. Intanto guarda i turisti sfilare davanti al monumento e posare divertiti per una foto ricordo. Chissà se sono a conoscenza che alla fin fine stanno ammirando un semplice tombino romano! Dalla parte opposta di Piazza della Bocca della Verità, Gaia vede il Tempio di Ercole e quello di Portuno, che un tempo dovevano essere vicinissimi all’antico Porto Tiberino; le riesce davvero impossibile immaginarsi delle barche a Roma e gli torna in mente quel giorno in cui aveva visto i nostalgici acquerelli ottocenteschi di Roesler Franz che illustrano il Porto di Ripetta. L’autobus prosegue su via Petroselli, passando tra l’ufficio dell’Anagrafe e una torretta medievale di cui non si era mai accorta prima. Sembra provenire da un altro mondo, come se i suoi muri di mattoni scuri siano stati staccati, trasportati e infine ricollocati in un posto diverso. Hanno un che di sbagliato, ma allo stesso tempo di estremamente suggestivo. Gaia non si è accorta che intanto l’autobus è ripartito, quindi per un attimo resta interdetta quando, sollevando lo sguardo, non vede più la torre ma il Teatro Marcello. Soffocando una risatina, si ricorda di quella volta che aveva un appuntamento davanti al Colosseo con un suo amico e lui aveva scambiato gli archi dell’Anfiteatro Flavio con quelli del teatro voluto da Augusto nei pressi del Campidoglio. Alla fermata “Ara Coeli” l’autobus si svuota in un istante, ormai restano solo pochi passeggeri. Mentre il bus gira intorno a Piazza Venezia, Gaia immagina come deve apparire quello slargo visto dall’alto, salendo con l’ascensore in cima al Vittoriano. Perché dal suo sedile ogni cosa sembra perfettamente in ordine, ma dall’alto appunto deve apparire come un insieme di monumenti quasi buttati lì a caso, tra il Palazzo Barbo del Quattrocento, il Palazzo Bonaparte seicentesco, il monumento al Milite Ignoto del 1921 e il Colosseo che fa capolino da in fondo a via dei Fori Imperiali. Ha quasi un sussulto nel rendersi conto dell’età di Roma, della sua Roma, in cui abita da sempre. Prova a immaginare tutte le trasformazioni che ha subito nel corso dei secoli, partendo da poche capanne sul Palatino. E le fa altrettanto strano immaginare quanti secoli ancora dovrà vivere, quanti cambiamenti dovrà affrontare fra cantieri, nuove costruzioni e restauri. Mentre si prepara a scendere alla fermata, le tornano in mente gli struggenti versi del Pianto della scavatrice di Pasolini su questa “stupenda e misera città”. E a un tratto una malinconia improvvisa sembra entrargli nel cuore. Ma se sia la sua, quella del poeta o di Roma stessa, proprio non saprebbe dirlo.