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Avventura
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Fascia 16-19
Fiaba per l’estate (da leggere a mente o a voce)

C’era una volta una Donna, che viveva in un villaggio del Sol levante. Era una Donna gentile, giusta e modesta.

Un giorno però, quando era quasi in età da marito, la Donna iniziò a sentire un rumore gracchiante e insopportabile provenire dalle montagne vicino al villaggio. Il rumore scendeva dai monti ogni notte, e ogni notte la lasciava sveglia. La Donna provò a chiedere che cosa fosse il rumore, ma nessuno oltre a lei sentiva, e quindi nessuno capì. Notte dopo notte, l’anima della Donna annaspava per un po’ di pace e di sonno sempre di più, e una mattina la Donna, completamente uscita di sé, aggredì un passante che le chiedeva indicazioni. Per questo, nel disonore ella venne condannata all’esilio. La Donna era disperata, e pregò di essere graziata, di poter rimanere, e sbraitava alle montagne, che mostrassero il loro volto, che il suono si facesse vedere.

Una volta lasciata la città, la Donna cominciò a sentire sempre meno l’orribile, e riacquistò il proprio senno. Si convinse non ci fosse nulla sulle montagne. E poi, anche se avesse voluto controllare, nessuno scalava il monte, era impresa mortale.

Ma non ci sarebbe storia senza rischio. Qualcuno, alla fine, scalò quel monte, e adesso vi dirò quando e come.

C’era una volta un Samurai, cuore di freccia, che tirava d’arco meglio di qualsiasi uomo che sia mai vissuto.

Un giorno l’esercito del Samurai prese parte, vicino al fiume, a una cruenta lotta. Ma era estate, e il sole pareva tagliare la vista dei guerrieri con schegge di vetro: il Samurai, che donava alle iridi la propria anima di arciere, si trovò col sole agli occhi e il nemico in controluce. Non ebbe tempo di scoccare, e colpito nel fianco cadde nel fiume.

Se il Samurai fosse stato lasciato esangue su una riva sabbiosa la nostra storia non sarebbe mai continuata: fate bene bene attenzione a ciò che accade ora.

Una giovane Donna che viveva sola in riva all’acqua e di fianco al monte sorgente, una mattina, fra i pesci e i ramoscelli che la corrente giovane porta dalle alture, intravide quelle che parevano mani e gambe, e disse «Che deformità! Chissà che cosa fa ai pesci poveracci questo monte!». Quando però, fra i riflessi di luce, scorse viso e occhi dello strano pesce, subito capì e scese nell’acqua tiepida per recuperare l’uomo.

Il Samurai era in vita, e a due giorni dalla pugna si destò nella capanna della giovane Donna. Aveva il corpo stordito, ma vividi sensi. Si smosse ai suoi primi passi dopo lo scontro, e subito conobbe il suo spirito salvatore, mentre quello cucinava. Il Samurai disse quindi «Le sarò grato da qui al giorno in cui l’anima lascerà il mio modesto corpo. Grazie a lei potrò riprendermi l’onore, che mi è stato tolto per errore dalla natura, della battaglia e del mio signore»

La Donna era una persona a modo, modesta, quindi rispose «Oh, non ho fatto nulla, si figuri! Ho solo fasciato un taglio, tolto un dardo, tutto qui!».

Il Samurai si apprestò a partire e a non importunare oltre la generosità della capanna, ma prima che potesse ella lo fermò. Voleva un favore, ma il pensiero non le arrivava alla lingua. Il Samurai, paziente, disse «Se vuoi chiedere qualcosa, fallo. Non mi rifiuterò di aiutarti dopo che mi hai salvato».

La donna riprese controllo della bocca, e chiese al Samurai: «So che sei un Samurai, insomma, lo so perché ti ho salvato da una ferita, e i Samurai combattono e… Insomma, so che sei uno di scontri. Anni fa subii un vilipendio orribile, e forse fu qualcosa al di là dei monti a causarlo. Quel qualcosa mi ha tolto onore e vita».

Il Samurai capì, e accettò di recarsi sul monte e scacciare con le sue frecce la creatura urlante.

Prima costruì un nuovo arco, perché aveva perso il proprio nelle correnti: un cuore di freccia non solo sa scoccare, ma comprende il materiale dell’arco e come un sentimento o un pensiero puro. Ecco quindi un arco nuovo, con il legno del fiume. Poi indossò l’armatura e partì.

A un terzo dell’altura, poteva vedere tutto il regno dell’imperatore. Si fermò all’ombra di un alberello a ricacciare dentro il respiro, e poi si chiese se, restando per tanto senza vista, la sua abilità non si fosse dispersa. Allora si voltò verso la valle, verde e soleggiata. Vide, là dove il fiume divideva, a milioni di passi, una dama col ventaglio. Respirò profondamente il venticello, tese l’arco e scoccò una freccia. Vide il ventaglio trafitto dalla punta e tese l’orecchio: il Samurai sentì una voce da volo di rondine dire «Accidenti, che tiro di freccia! Ma da dove arriva?» e poi, soddisfatto dei propri sensi, riprese la salita.

A due terzi della salita, il Samurai s’imbatté in una grotta d’acqua tiepida, e decise di saldare i rapporti con l’elemento liquido prima di salire sulla vetta. La ferita era ora cicatrice, quindi gettò l’armatura in un cespuglio, tolse le fasce, s’immerse col corpo, tenne il volto verso la luce, che penetrava già rossiccia nella grotta, e lasciato l’arco sulla roccia vicina chiuse gli occhi per godersi il bagno. Il Samurai era giovane, e di grande bellezza, ma a capelli sciolti e senza corazza, e in più col petto immerso e il volto sbarbato.

Per questo, un malintenzionato che aveva litigato con la moglie, e che passava di lì a sbollire il livore, vide il Samurai farsi il bagno e, scambiandolo per una donzella, pensò di approfittarne. Tuttavia, non ebbe tempo di avvicinarsi alla grotta, che si trovò un dardo nelle stupide unghie. Mentre rantolava sul terreno, il Samurai gli disse con disprezzo «Idiota! Volevi derubarmi? Non hai visto l’arco?», poi comprese le intenzioni dell’uomo e disprezzò ancora «Idiota! Non hai visto l’arco? Anche fossi donna, una freccia è una freccia!».

L’idiota scappò con le mani fra le gambe, e il Samurai rivestito riprese il cammino.

Prima della cima del monte, però, c’era una parete di liscissimo granito, impossibile da scalare a mani. Il Samurai cominciò a guardare in alto, a chiedersi come raccapezzarsi, quando sentì una vocetta stridula, e guardando in fronte vide un faccia farsi faccia dalla roccia liscia. Lo spirito, perché quello era, stava dicendo «Pischeri, che caspita casca dai cestini del cielo? Un moretto scolpito in buone intenzioni? Un copririso per risibile che irride le buone maniere delle montagne, e viene a voluminare di qua?». Il Samurai alzò il sopracciglio, e stava per replicare confuso, ma poi prese l’occasione e saltò sulla faccia, fattasi sporgenza, e arrivò in cima al granito. Arrivato in cima sentì lo spirito esclamare incomprensibili ingiurie, così incomprensibili che se il narratore dovesse riportarle, diventerebbe incomprensibile egli a se stesso, quindi andiamo avanti.

Era ormai notte, un ultimo passo e il Samurai fu sulla cima. Stelle e luna accendevano i monti, la neve diffondeva la luce. Il Samurai guardò intorno, e sul monte più lontano gli apparve la creatura. Un uccello, grande quanto il palazzo dell’imperatore, ali forgiate dal ferro, una bocca tozza e sporca di minerali e roccia. Cominciò a emettere un frastuono, e ora anche il Samurai lo sentì, il frastuono più asfissiante che si possa pensare.

Il Samurai respirò il vento innevato, prese la mira, e scoccò alla testa dell’uccello. Cadde in un tonfo di tuono, il Samurai si tenne stretto alla cima per non cadere.

Era fatta. Ora c’era solo il vento.

Tornò giù veloce, perché le discese son più rapide, e tornato alla capanna vide la Donna circondata da familiari e abitanti del suo villaggio. Anche loro avevano udito il rimbombo del mostro caduto, e si accalcavano a cercare perdono dalla Donna e a baciare il terreno umido del fiume. La Donna guardò un’ultima volta il Samurai, con lo sguardo di gratitudine. Il Samurai non disse niente, si inchinò, e si rimise in viaggio verso il suo esercito.

Questa, lettori e ascoltatori, è la storia. Se vi è piaciuta, custoditela, e se non vi è piaciuta, lanciatela fuori dalla porta di casa. Comunque sia, buona giornata.

Pubblicato: 20 Maggio 2022
Fascia: 16-19
Commenti
Storia molto carina e originale, è scorrevole e piacevole da leggere. Le descrizioni e lo stile di scrittura coinvolgenti. Molto bello.
23 maggio 2022 • 21:08