Sto correndo. Mi inseguono. Sono spaventata. Quattro persone mi stanno dietro e io sono sola. Fatico a muovere i muscoli e ciò mi rallenta nella corsa. Arrivo davanti al portone di casa mia, ma non ho le chiavi con me. Quelle persone mi raggiungono e iniziano a sussurrare parole alle mie orecchie. Mi vengono i brividi. Sono accerchiata e ormai, non vedendo vie d’uscita, mi preparo al peggio. Uno di loro si avvicina ulteriormente a me e posa il palmo sulla mia guancia, sento il suo calore. Mi guarda un istante negli occhi e poi lo sposta. Tiene i miei polsi bloccati con una sola mano. L’altra, me la stringe intorno al collo, premendo il suo corpo contro il mio. «Come ti chiami, piccola?» mi domanda. «Perché mi fai questo? Io non vi conosco nemmeno!» provo a sussurrargli, ormai senza fiato. «Ti ho vista e mi andava. Funziona così. Sarai più fortunata nella prossima vita…» Si aspetta che gli dica come mi chiamo. «Cora.» Prego in silenzio Dio di prendersi cura di mio padre. Ha il cancro, ha bisogno di medicine. Quando sento che sto per esalare l’ultimo respiro, si avvicina un quinto ragazzo, che sembra conoscere il gruppo, senza farne parte. Cado, rendendomi conto che i polmoni pompano di nuovo sangue al cervello. Tossisco e tento di respirare. I quattro ragazzi escono di scena, non prima che colui che mi aveva quasi uccisa, mi lanciasse uno sguardo truce, carico di odio. «Non finisce qui» mi dice, indicandomi. Il quinto di essi mi aiuta a rimettermi in piedi, ma rimane in silenzio, con aria colpevole. Non ho idea di cosa gli abbia detto per farli demordere, ma gli sono profondamente grata. Glielo faccio capire e lui, dal canto suo, sorride. È, però, un sorriso spento, triste. «Mi chiamo Roby. Tu non mi hai mai visto, né parlato. Ma ti devo chiedere la cortesia di chiamare questo numero la prossima volta che quei tizi ti troveranno, perché fidati che lo faranno. Ti sembra assurdo, lo so, ma ti prego di credermi. Solo io posso evitarlo.» Come è apparso, sparisce lasciandomi un cartoncino con una serie di numeri. Ma che diavolo è appena successo? Salgo le scale e ripenso a quello che mi è appena capitato, ancora scossa. Penso. Quel ragazzo non l’avevo mai visto prima, eppure mi ha trasmesso grande fiducia, così decido di chiamare il numero per ringraziarlo come si deve. Il telefono non squilla. Il numero è sbagliato. Anche se tento di nasconderlo a me stessa, provo un pizzico di delusione. Il mattino seguente ci ripenso prima di andare a scuola e richiamo. Nessuna risposta. Cosa mi aspettavo? Metto lo zaino pesante in spalla, gli auricolari nelle orecchie e mi incammino. A metà strada vado a sbattere contro qualcosa, anzi qualcuno. Alzo lo sguardo lentamente, un po’ impaurita. Gli occhi castano nocciola di Roby incontrano i miei. Mi scuso con lui per la goffaggine. «Ci conosciamo?» mi domanda inspiegabilmente incuriosito. «Mi prendi in giro? Proprio ieri, tu, hai evitato che passassi a miglior vita! Un evento così, difficilmente lo dimentichi» gli rispondo. È improbabile che l’abbia solo immaginato. Ripenso al cartoncino che ho in tasca e che sicuramente non è frutto della mia immaginazione. «Comunque il tuo numero verde non funziona, controlla ciò che scrivi prima di darlo alle persone» gli comunico piccata. Mi guarda sbigottito e ricomincio a camminare. Sento i suoi passi dietro di me. «Ehi, guarda che lo so chi sei! Mi ricordo di ogni singola donzella in pericolo che ho salvato!» ammicca. «Dimmi che ti ricordi dei quattro tizi sotto casa mia, o del tuo amico/nemico che mi ha sovrastata, o dei suoi istinti omicidi o delle sue mani strette attorno al mio collo» gli mostro le impronte viola. Lo percorre un brivido. «Cora, io so davvero chi sei! Permettimi di tenere un profilo basso e prima o poi ti spiego tutto.» Nel momento in cui varco la soglia della scuola si precipita verso di me. «Ti accompagno a casa, non ti lascio andare sola» mi prende il braccio. Io mi libero e mi incammino. I suoi passi mi accompagnano, riesco a sentirli. Poi si fanno più rapidi, una corsa. Talmente agili e precisi da salvarmi nuovamente la vita: un’automobile sfreccia a tutta velocità a pochi centimetri da me. Se Roby non avesse afferrato miracolosamente il mio zaino, probabilmente mi avrebbe investita senza fermarsi. Si avvicina e mi prende il viso tra le mani. «Ti avevo detto di aspettarmi. Non puoi immaginare quanto rischi senza di me» mi sgrida. «Perché sono una “donzella in pericolo” per te, vero? Senti, se non hai nessun altro da tormentare fai in modo di trovarlo, poiché io ne ho già abbastanza. Prima mi ignori e poi ti preoccupi se torno a casa da sola. Deciditi! Comunque grazie…» ribatto seccata ma allo stesso tempo riconoscente. Mi guarda implorante. «Dici sul serio? Te la sei presa davvero per quello? Non li conosci quei ragazzi. Tu non sei la prima: non ti lasceranno in pace finché la tua anima non avrà abbandonato il tuo corpo! Si divertono in questo modo e non hanno intenzione di smettere. Non posso permettere che ti facciano del male, e la sola possibilità che ho per proteggerti è stando insieme a te senza renderlo evidente. Tu, però, devi collaborare!» Ha paura, lo percepisco. «Roby, devi darmi delle spiegazioni: arrivi dal nulla, sparisci nel nulla. Sempre. Pretendi che ti creda e poi mi ignori.» «Ti spiegherò. Te l’ho promesso.» Devo pensare a quello che mi sta succedendo in questo periodo: decido di fare una passeggiata. Sono passati quattro giorni dal mio tentato omicidio e non faccio che pensare alle parole di Roby. Mi cercheranno di nuovo? Lui sarà con me in quel momento? Prendo il telefono e chiamo il suo numero. Come sempre, non suona. Lo rimetto in tasca. Una mattina sono in ritardo, perciò esco di fretta. Dimentico il telefono a casa, così risalgo per andare a prenderlo. Scendo e ad attendermi c’è una voce familiare. «Niente scuola oggi, piccola?» Mi giro di scatto e lui, con le spalle al muro e le braccia incrociate sul petto, mi sorride. Mi si gela il sangue. Faccio in tempo a comporre il numero di Roby che mi strappa il telefono dalle mani e lo scaglia sul cemento del marciapiede. «Dicono che la vendetta sia un piatto che va servito freddo… finalmente avrò la mia» mi dice tirando fuori un coltello pieghevole. «Appurato il fatto che evidentemente non ti sto simpatica, puoi almeno trovare un motivo decente per cui privarmi della mia vita?», avrei voluto chiederglielo sinceramente. Guardo il coltello e poi i suoi occhi. Sono freddi e vuoti, senz’anima. Si avvicina a me e sento il suo fiato caldo sul collo. «Peccato che debba finire così, sei molto carina, in effetti…» mi sussurra, avvicinandosi ulteriormente. «Non sei obbligato. Se ti piaccio così tanto perché mi odi?» rispondo senza guardarlo. Cerco di prendere tempo, spero nell’arrivo di Roby. Ma lui non c’è. Avvicina la lama al mio viso: «Non credo tu sia nelle condizioni di parlare, piccola», e sposta lo sguardo da me al coltello, sorridendo. «Sì, forse hai ragione. Ho a disposizione un ultimo desiderio? In genere si concede ai…» biascico. «Condannati a morte? Mi dispiace, piccola, non ti è concesso.» Cos’altro posso inventarmi? «Fammi quello che ti pare ma, ti prego, lascia in pace mio padre» lo supplico. «Il mondo non ruota intorno a te.» Dopo di che un dolore lancinante allo stomaco. Sento dei passi lontani. Mi guardo il ventre. Sanguina. Cado e il cemento mi tiene caldo: ho molto freddo. «S-sei arrivato. C-c-cosa f-faccio?» balbetto. «Niente. Andrai in un bel posto e lì non ti farà mai male nessuno» mi dice Roby. Vedo una lacrima scavargli uno zigomo. «Grazie.» Poi buio. Ancora buio.
«Amore… amore… è ora di alzarsi, sono dieci minuti che provo a chiamarti!» Era tutto solo un sogno? Mi tocco. Le braccia, le gambe, la pancia: non c’è sangue. Il bambino, grazie a Dio, sta bene. Prendo la mano di mio marito, gli do un bacio e lo guardo. «Ehi, ma che ti prende? Sei sempre stata fredda la mattina» mi fa notare, piacevolmente sorpreso. «È tutto a posto?» mi domanda. Bella domanda. È tutto a posto? «Sì, è solo un sogno. Abbracciami» lo rassicuro anche se risulto insicura in prima persona. «Tesoro, vuoi parlarmene?» mi domanda un po’ spaventato dalla mia reazione. «No, ti prego. Non è niente. Sognare la mia infanzia è sempre difficile, soprattutto quando si tratta di papà» mento. Mi sorride e si alza dal letto. Mi fa segno di seguirlo. Rimaniamo abbracciati per un po’, mi lascio andare contro il suo petto. Quel calore mi fa sentire protetta. Mi ricompongo e guardo l’orologio. «Tesoro, dobbiamo prepararci, siamo in ritardo. Non credo che “brutto sogno” sia una giustificazione adatta per un ritardo in ufficio» scherzo. «Hai ragione, inoltre oggi ci viene presentato il nuovo capo. Magari lo conosciamo e poi quando usciamo, stasera, ti porto al ristorante. Che ne pensi?» mi domanda fiducioso. «Penso sia un’ottima idea! Lo sai che adoro le serate solo per noi» gli faccio l’occhiolino e lo bacio. In macchina, verso l’ufficio, gli faccio una domanda che lo sorprende: «Amore, secondo te, gli angeli custodi abbandonano mai i loro protetti?». Si morde le labbra. «Domanda da un milione di dollari. Non saprei, magari non tutti ne hanno uno, per questo sembrano abbandonati. Ma poi, scusa, pensi agli angeli custodi alle 8.00 del mattino? È già tanto se penso a quest’ora», ride. «Hai ragione. Cambiamo discorso. Per caso sai già come si chiama il nuovo capo?» chiedo, noncurante. «Non so se sia un uomo o una donna ma la mail riportava “R. Salvezza”. Lo scopriremo tra poco…», sospiro. «R. Salvezza». Forse, dopotutto, gli angeli custodi non abbandonano nemmeno i meno meritevoli. Evidentemente, il mio veglia sempre su di me.


