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Dall’archivio mentale di Jack T.

Sono le cinque e venti di mattina. Guardo le travi che sporgono dal soffitto del monolocale che ho preso in subaffitto a Pomezia: niente di eccezionale, due metri per tre, ma è tutto quello che mi serve. Preparo la mia chitarra acustica, il microfono e tiro fuori il vecchio amplificatore da dodici watt. Non il migliore sul mercato, ma è sempre un Fender. Sono le cinque e quaranta di mattina, esco di casa. L’aria fredda della campagna romana mi colpisce il volto. Ripasso mentalmente i miei obbiettivi per oggi, che potrò raggiungere o meno in base al guadagno della giornata. Ora, anticipando la vostra domanda, il lavoro del vecchio Jack T. consiste nel dilettare i passanti dei centri urbani con buona musica suonata dal vivo. Potreste definirmi un musicista di strada, ma sappiate che non apprezzo fino in fondo questa definizione, dà l’idea di uno alla canna del gas o qualcosa di simile. Invece, ho girato tutte le capitali e le principali città del vecchio continente, accompagnato dalla mia fedele chitarra, e non l’ho fatto per bisogno di soldi. Avrei potuto vendere la casa che mia nonna mi ha lasciato in eredità, in caso. O andarci a vivere. Ma come cerco di spiegare anche a quelli che mi fermano per strada stupiti della mia bravura (non per vantarmi, ma nel mio ambiente sono tra i migliori), e mi domandano perché non provo a contattare qualcuno per emergere musicalmente, non voglio avere nulla a che fare con cose come il successo o la fama. Per me l’unica cosa che conta è il contatto diretto con chi ascolta la mia musica: ho bisogno dei loro sguardi, di scambiarci due chiacchiere, e mi piace essere ascoltato e giudicato sempre da persone diverse. Nota musicale numero uno. Più della metà dei capolavori musicali di questo secolo provengono da gente conosciuta che ha plagiato senza ritegno musicisti di cui nessuno saprà mai il nome. È in arrivo il pullman del Cotral, stranamente in orario, la giornata sembra partire col piede giusto. Mi siedo accanto a una signora sulla cinquantina che guarda fuori dal finestrino con lo sguardo vuoto di chi lo conosce a memoria, probabilmente a causa del suo lavoro che la costringe a percorrere questo stesso tragitto ogni giorno e chissà da quanto tempo. Se volete capire davvero le persone con cui viaggiate non presentatevi, non osservate gli abiti o i libri che leggono, osservate solamente lo sguardo che hanno verso ciò che li circonda, da quello capirete praticamente tutto. Sono le sei e quaranta, abbiamo superato il raccordo, siamo dentro Roma. Non c’è molto traffico, ma tra poco le strade si riempiranno improvvisamente di uomini e donne in macchina diretti al lavoro, come se si fossero messi d’accordo. Sembrerà un set enorme in cui le comparse aspettano l’ordine del regista per muoversi in perfetta sincronia. Sul pullman salgono tre ragazzi, l’aspetto trasandato, i volti provati, ma sembrano felici. Forse tra le 52 persone che incontrerò oggi, loro potrebbero essere gli unici che si ribelleranno al ruolo di comparsa. Sono le sette e dieci del mattino. Raggiungo la stazione Laurentina. È ancora presto, posso permettermi di perdere qualche minuto per prendere un cornetto e un caffè. Dopo la colazione entro nella metro e mi imbatto casualmente in Eric. Eric, diciamo, è un mio collega. Viene dalla Bulgaria e metà dei suoi discorsi riguardano la fattoria che ha lasciato quando era bambino, l’altra metà la musica. Suona una vecchia fisarmonica senza marca che dice essere stata costruita da suo nonno. Non so quanto ci sia di vero, ma una cosa che impari vivendo tutto il giorno per strada è che puoi fare a meno delle verità riguardo il passato della gente che conosci. Non so se la sua famiglia ha veramente posseduto fattorie o costruito fisarmoniche, ma di sicuro Eric è uno dei migliori musicisti che abbia mai incontrato. Sono le sette e venticinque del mattino, saliamo in metro. Tiro fuori la chitarra. Qualcuno già ci guarda storto. Decidiamo di fare un duetto su una canzone che ha scritto Eric senza curarci degli sguardi. Batto quattro volte sulla cassa per dare il tempo di attacco al mio compagno e cominciamo. Nota musicale numero due. Se le persone non hanno mai ascoltato una canzone sono meno interessate ad ascoltarla. Sono le otto meno cinque, scendo alla fermata Colosseo con tre euro e cinquantasette centesimi in più nelle tasche. Quello con Eric è stato una sorta di riscaldamento, tra poco si inizia davvero. Mi incammino lungo via dei Fori Imperiali: il mio posto è lì, dove i turisti si affacciano per fotografare il foro e le sue antiche fondamenta. Sistemo tutta l’attrezzatura, poi sciolgo le dita con qualche scala: la prima canzone deve essere perfetta. Con l’esperienza, ho scoperto che la gente tende a fermarsi in luoghi dove altre persone si sono già fermate. Per questo il trucco consiste nell’attirare subito un gruppo molto numeroso di persone, sperando poi che altri si fermino. Si crea così una specie di catena continua che con un po’ di fortuna può durare anche mezza giornata, con estrema soddisfazione del sottoscritto. Mi guardo intorno e noto un gruppo di giovani turisti inglesi che stanno per passarmi davanti. Devo pensare velocemente a una canzone che li convinca a restare. Accendo il microfono e attacco Where the streets have no name degli U2. Come forse sapete si tratta in realtà di un gruppo irlandese, ma non decido mai cosa suonare in base a un ragionamento solo logico. La scelta della musica è l’atto più istintivo che compio durante l’intera giornata. Nessuno sa perché alcune canzoni ci colpiscano più di altre, ci sono troppe variabili. Ma una di queste, grazie al cielo, prevede che i simpatici ragazzi di Manchester, a giudicare dall’odore reduci di una notte di baldorie, non solo si fermino ad ascoltare, ma conoscendo la canzone inizino a cantarla, attirando così l’attenzione dei primi turisti mattutini. L’effetto a catena di cui sopra. Sono le undici e quarantacinque, si sta avvicinando il vigile, puntuale come ogni giorno. Gli porgo il foglio che mi è stato consegnato in cambio di una parte del mio ricavato. Il rappresentante dell’ordine si allontana dopo avermi riconsegnato il foglio e ricordato di pagare la rata di marzo, altrimenti sarà costretto a liberare il suolo pubblico della mia presenza. Non ho mai capito né indagato bene su come funzioni questa cosa, credo inoltre che il procedimento non sia del tutto legale, ma non posso lamentarmi: ho il posto migliore di tutti i suonatori di strada di questa strana città. Dopo pranzo decido di passeggiare lungo la via per osservare altri colleghi al lavoro. In particolare, attira la mia attenzione un gruppo di tre peruviani che si esibisce in un’interpretazione perfetta di El condor pasa, resa famosa dalla cover di Simon e Garfunkel. Sono bravi. Resto estasiato come se fosse la prima volta che ascolto quella canzone. In un certo senso è così. Nota musicale numero tre. Certe canzoni ti risuonano dentro come l’eco di un passato che non hai vissuto. Cala il sole, è ora di smettere. Il paesaggio di Roma al tramonto sarebbe capace di rendere poeti anche i cuori più induriti. Comincia ad alzarsi il vento. Come fa quella poesia di cui non ricordo l’autore? «Le vent se lève!… il faut tenter de vivre». Camminando osservo i volti delle persone intorno a me, sono stanchi, spezzati da una dura giornata lavoro, c’è silenzio. Ho tirato su abbastanza oggi, anche per pagare la rata di marzo. Decido di farlo. Vado verso la metro, salgo sul vagone. Questa volta niente musica, non serve, è tutto già perfetto così. Sono le otto e dieci quando arrivo a Piramide, dove solitamente mi incontro con l’uomo delle rate. Arrivo in anticipo. Poi un uomo vestito di scuro e mai visto prima si ferma alla fine del corridoio e aspetta. Forse hanno cambiato uomo delle rate. Ci osserviamo da una estremità all’altra del lungo tunnel, restando fermi. Dopo qualche minuto decido di muovermi e arrivato a due metri da lui tiro fuori il mio foglio e glielo allungo. Lui si stacca dal muro e fa un passo avanti. La sua mano esce dalla tasca con un coltello, mi colpisce allo stomaco deciso, come chi è abituato a farlo. Lo stupore trattiene il dolore per qualche istante, ma non basta. Cado a terra. L’uomo in nero mi scavalca, osservo le sue suole mentre il tempo rallenta. L’ultima cosa che vedo è il presunto addetto alle rate allontanarsi con la chitarra e l’amplificatore. Domani alla mia postazione ci sarà qualcun altro, ma questo, per le centinaia di turisti che passeranno, probabilmente non farà alcuna differenza.

Pubblicato: 1 Giugno 2021
Fascia: 19+
Commenti
La tematica è molto interessante ma le descrizioni articolate nei minimi dettagli rendono il racconto pesante, poco coinvolgente e fanno sparire la voglia di leggerlo tutto d'un fiato.
22 maggio 2022 • 01:43
È un racconto davvero toccante. Effettivamente nessuno fa mai troppo caso ai “musicisti di strada”. Ho trovato l’idea originale e fresca. Molto bello!
19 maggio 2022 • 11:54