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Fantasy
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Fascia 16-19
Crepuscolo di una nuova alba

Tutto buio, poi scorgo una luce improvvisa, un faro di luce bianca in lontananza; in quel momento, un suono, della musica, una melodia che conosco da tempo; una canzone lenta, straziante, liberatoria: è quella canzone, ne sono certa!

All’improvviso proprio mentre sto per cominciare a canticchiarla, la canzone si ferma proprio a un attimo dal ritornello: grida strazianti.

Sobbalzo.

Continua così per qualche decina di secondi.

Poi un tonfo. Scricchiolare di pavimento, anzi dall’odore direi parquet.

Conosco bene quelle vibrazioni – eccome – ma questa volta sono di maggiore intensità e aumentano sempre più, passo dopo passo.

Poi goccia, goccia… e di nuovo i passi, le vibrazioni, poi le urla, di nuovo; e così in serie per un paio di volte.

Dopo, il faro si spegne.

«Va bene, tranquilla» penso.

Poi un bagliore. Silenzio. Urlo.

Mi sveglio si soprassalto, sudo freddo, il respiro affannato, lacrime che sgorgano dai miei occhi senza il minimo contegno, era un incubo.

Me ne rendo conto dopo un po’.

Mi metto a sedere; sono sul letto con la schiena poggiata contro la testiera.

Faccio respiri profondi e mi calmo; non so dopo quanto.

Vado in bagno e faccio tutte le attività della mia solita mattinata infrasettimanale.

Torno a casa, dopo un colloquio, faccio una doccia e decido di guardare la Tv; stanca della giornata, non ancora finita, mi accascio sul fianco, appoggiando la testa al morbido bracciolo del divano grigio scuro di pelle.

Provo a ricostruire l’incubo.

Durante la mattina avevo provato a distrarmi non pensandolo.

Odo un urlo, quell’urlo mi do un pizzicotto pensando di essermi appisolata: «Ahi» dico.

Mi sono fatta male? Sì. Perchè? Stava cominciando ad arrossarsi.

Svolgo il resto del giornata con un misto tra tranquillità e spossatezza.

Va avanti così per una settimana e ogni notte quell’incubo si ripresenta, facendosi più reale, le urla aumentano sia in decibel che in numero di «autori» sia in durata; i passi si fanno più pesanti, la melodia più presente.

La canzone; ora ricordo il titolo, Dernière danse, l’ultimo ballo; è pre-apocalittica, il tutto causato da una ragazza in cerca di redenzione.

Ora ricordo quell’incubo, l’ho già vissuto, identico; ogni due,tre anni si presentava con le stesse dinamiche, e più crescevo più il suo «soggiorno» aumentava.

Credo sia ora di dirvi chi sono realmente io: sono Kate Smith, agente del dipartimento di ricerche sul paranormale (potete abbreviarlo in ADRP, o come preferite).

Non sono l’unica che è «affetta» da questi eventi, per questo sono stata incaricata qualche tempo fa di fare ricerche, rifiutai.

Ma ora so di dover prendere io in mano la situazione, voglio capirci di più.

Oggi 20 aprile 2050 cominciano le (mie) indagini.

Ce la farò? Non ne sono certa.

Che succederà? Non ne sono a conoscenza.

Contro cosa o chi mi imbatterò? Impossibile immaginarlo.

Sono pronta? Lo spero.

So solo una cosa.

Io, Kate Smith, una ADRP, una ragazza addestrata, che ha bisogno di risposte, per lei e per quelli come lei.

Quindi da ora in poi do il via al mio primo viaggio solitario come avventuriera.

Da qualche parte nel tempo e nello spazio…

«…detto questo, è per tale motivo che, io, dico di praticare l’ascolto e il confronto; perché un conflitto non potrà risolvere nulla. Quindi Io rispondo “no” alla guerra!»

Il presentatore salì sul palco e urlò a gran voce: «Bene, bene, bene… allora gentili spettatori sembra che il signore sia l’ultimo in lista, quindi vi ringraziamo per l’ascolto e…»

«Un attimo, un attimo – urlai – ci sono ancora io!»

«Mi dispiace deve esserci un errore.»

«No, no la supplico…» «No non può, non posso.» «Va bene.»; feci per voltarmi, ma subito con uno scatto fulmineo corsi sul palco allestito per l’occasione in quel gelido capannone: «Salve a tutti» – e tutta la platea si voltò vero di me – «vi prego di risedervi e ascoltarmi».

«E questa ora chi è?» sentii dire.

«Al momento, signora, non le interessa chi sia ma cosa sto per dirle, e l’avverto che non ne sarà delusa.»

Tutti si sedettero. Mi avvicinai al leggio e cominciai.

«Non sono qui per fare la moralista ma per darvi un’altra prospettiva, praticamente la più giusta.»

«Dunque… adesso vi racconterò una breve storia, vi prometto di non annoiarvi; quindi, io sono cresciuta come tutti gli altri bambini, come te» – e indicai un ragazzo in prima fila – «o come te» e ripetei il gesto con una ragazza questa volta.

«Come tutti abbiamo avuto delle tappe importanti ma ora voglio parlarvi di una persona, senza un’identità precisa, vi prego di guardare la presentazione sullo schermo dietro di me.»

«Allora partiamo dall’età di un anno, non abbiamo problemi, pensieri, perché c’è chi pensa per noi; poi andiamo ai quattro anni c’è chi gioca con le bambole, chi va in bicicletta o quel che si voglia, e fin qui ci siamo tutti, giusto?»

Silenzio.

«Ok, facciamo che prendo i vostri volti imbambolati per un sì» sussurrai l’ultima parte.

«A sette anni cambia qualcosa: ti dicono fatti degli amici e sbrigati altrimenti sarai solo, e tu terrorizzato come se ti stessero per buttare da un dirupo, o peggio per alcune persone, non buttassero te ma l’edizione limitata di una nuova console, con una nuova, non so, Barbie, corri come un dannato per trovare amici o persone che fingano per te…»

Dopo questa parte qualcuno sorrideva, chi più chi meno, però «meglio poco che niente».

«A dieci anni dicono a questa persona vai là fuori e trovati un compagno per la vita. E a quindici per riuscirci si intestardisce per la bellezza, perché gli pare l’unico modo per avere qualcuno.»

«Giusto» sento dire a bassa voce; sorrido e continuo: «A venti ha tutto: amici, compagno di vita ma non lavoro e allora decide di scrivere storie senza un senso ma alla persone piacciono e allora continua, scrive, piange, ride consuma fogli e penne e computer fino ai ventisei anni dove finalmente arriva al suo massimo successo per quel racconto, per quel lavoro che non desiderava quella persona, ma gli altri per lei.»

Prendo fiato e continuo.

«Raggiunge i trent’anni e la sua storia ormai è detta non può cambiarla, è persa.

E ora vi chiedo, questa persona proprio questa, vi invito a chiudere gli occhi se vi è più facile immaginarla… cosa farà tra trent’anni? A sessanta anni. Cosa farà? Senza più nessuno che le dica cosa fare, come comportarsi, come parlare, come vestirsi, con chi stare, cosa scrivere, come e soprattutto chi essere?!

Sapete dirlo voi? Non credo proprio… non credo che sappiate dire cosa dover essere a quella persona da soli, senza aiuto di nessuno.»

Tutti aprirono gli occhi a queste parole, mi fissavano alcuni, uomini e donne insieme, scapparono piangendo dalla porta, sorrisi e continuai:

«Io dico che dobbiamo fermare questa recita, questa fabbrica di finta uguaglianza, dove i ricchi e chi ha potere decidere per un’intera umanità.

Quindi abbiamo bisogno di una ripulita, di fare spazio a persone migliori, un mondo migliore, dove dare la possibilità di decidere qualsiasi cosa da soli… quindi dico come ultimo atto: scrivete, voi, la storia e non le storie come quella persona.

Cambiate voi la storia e quindi… »

«Quindi tu dici “sì” alla guerra, a un conflitto?»

«Ditemi voi, volete ancora essere le persone che correvano al riparo, per finti amici, finti amori e passioni e falsi lavori e idee, con mascherate verità e inutili conflitti per l’oro verde, il denaro… volete ancora tutto questo?!

O volete decidere voi?!

Io voglio un mondo diverso, dove nessuno vorrebbe sparire, piangere, senza volere troppo perché già lo si possiede; un mondo dove avere potere e non avercelo contemporaneamente.

Io dico “sì”, ma non alla guerra a un mondo migliore e diverso, senza utopia e dispotismo travestiti di ipocrita verità.

Grazie per avermi ascoltato, io ho finito qui.»

E scesi dal palco, allontanandomi dal microfono, dalle domande, da tutto e tutti, lasciandoli lì a parlare per decidere una risposta alla mia domanda, la cui ovvietà era alquanto allucinante.

Pubblicato: 29 Maggio 2022
Fascia: 16-19
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