Una ragazza sta leggendo un libro seduta accanto alla finestra. La storia la prende tanto che non riesce a staccare gli occhi dalle pagine. Mentre segue con attenzione la vicenda che assorbe tutta la sua attenzione, sente un improvviso rumore che sale dalla strada. Sarà stato un incidente, si dice. E riprende a leggere. Ma subito dopo ecco un altro colpo. Il vetro della finestra trema. Perfino il libro trema fra le sue mani. Ma lei non vuole a nessun costo staccarsi dalla pagina. Che mi importa di quello che succede in strada!, si dice. Al terzo colpo però è la casa intera che si scuote e traballa. E lei non può fare a meno di alzarsi e avvicinare la faccia al vetro. Quello che vede le fa cadere il libro dalle mani…
Il suo sguardo non riesce a staccarsi da quel vetro e gli occhi, come potentissimi laser, ne trapassano la materia… Ed è proprio in quel momento che il vetro sembra esplodere in migliaia di caleidoscopici cristalli, quasi come una ragnatela tessuta da un enorme ragno, ma rimangono lì, fermi, inchiodati. E i suoi sensi si elevano all’ennesima potenza, come quelli di un gatto pronto alla fuga e sopraffatto dall’istinto di sopravvivenza.
La sua vista, concupita dalle immagini che le si stagliano davanti, si pietrifica… Un rombo sordo, seguito da un boato, risucchia nelle sue viscere le case, i tetti si sbriciolano, le strade sprofondano inghiottendo auto, panchine, cestini della spazzatura… La bicicletta di Giacomo, poggiata a un lampione, viene risucchiata in un immenso buco nero… come una tenera Alice quando cade nel pozzo. Poi la sua mente ha un lampo di lucidità… Alice nel Paese delle Meraviglie, questo stava leggendo! Ma il paesaggio innaturale che il suo sguardo fotografa in quei pochi secondi, non ha nulla del Paese delle Meraviglie di Carrol. Co sa può esserci di meraviglioso in mura che si sgretolano e campanili che crollano? Tutto questo non le piace affatto. Ma forse sarebbe sufficiente aprire gli occhi per tornare alla realtà, come pensava la sua eroina Alice. Ma i suoi occhi sono già aperti.
Improvvisamente, com’è arrivato, il rombo smette di ruggire e la casa finisce di “ballare”. Il silenzio prende il sopravvento. Si guarda intorno. Sembra tutto in ordine. Solo il suo libro, scompostamente poggiato in terra – lei non avrebbe mai potuto trattare così un libro di sua spontanea volontà – le dà la tangibilità reale che qualcosa di strano e diverso è accaduto.
Cerca quindi di riprendere il controllo dell’Io, scosso dal turbinio di eventi che l’hanno sovrastata. Fa un rapido controllo visivo dell’ambiente in cui si trova; sembra tutto immutato e fermo. Allora decide di gettare uno sguardo sugli effetti che quel grande tremore della terra – ora pacata – ha definitivamente lasciato sui paesaggi a lei cari.
Con circospezione si avvicina al vetro frantumato della finestra, che è rimasto fortemente scalfito ma è ancora ostinatamente incastrato alle ante. È ridotto in così tanti frammenti da farle temere che anche un suo fievole sospiro possa in qualche modo intaccare quell’equilibrio.
Trattenendo il fiato si avvicina lentamente, quel tanto che basta per trovare uno spiraglio in ciò che resta del vetro che gli permetta di vedere fuori. Gli occhi, curiosi, si muovono spasmodici…
Dapprima scorge l’orologio del campanile, fiero nella sua bellezza antica, poi le case addormentate, e lì vicino vede un gatto che cammina languidamente sui tetti antistanti; focalizza le panchine del cortile del palazzo di fronte, un vecchio signore che getta la spazzatura nel cestino, illuminato nella notte dal chiarore della luce del solito lampione, dov’è appoggiata la bicicletta di Giacomo. Non c’era più alcun buco nero, alcun abisso.
E allora cos’è successo? Frida – questo il suo nome – non capisce. Quel moto impetuoso, quelle scosse, quello stravolgimento, quelle voragini, che ha visto con chiarezza e lucidità, cosa sono state? Allucinazioni? Incubi?
Ma i suoi occhi sono apertissimi, le sue paure concrete, le sue sensazioni tattili e sonore sono state quanto di più reale potesse sentire… E poi c’è quella ragnatela di vetro che dimostra in modo tangibile che qualcosa è accaduto.
Ormai è notte fonda e Frida si abbandona tra i cuscini, distesa nel letto dei suoi pensieri. Fissa il libro ancora abbandonato sul pavimento, lascia andare la mente e i sensi e, senza neanche accorgersene, cade tra le braccia di Morfeo.
In un Paese delle Meraviglie essi giacciono,
sognando mentre i giorni passano,
sognando mentre le estati muoiono;
eternamente scivolando lungo la corrente
indugiando nell’aureo bagliore…
Che cos’è la vita se non un sogno?
Un ribelle raggio di sole, filtrando tra le trame della ragnatela di vetro dispettosamente si impiglia fra le ciglia di Frida, incitandola a svegliarsi.
La ragazza si stira profondamente, le sue membra sono ancora intorpidite e la mente ovattata dal sonno ristoratore in cui è piombata. Si alza e lancia subito uno sguardo al suo libro, ancora abbandonato sul pavimento.
Pian piano acquista lucidità e rammenta le forti emozioni e gli eventi traumatici della notte appena trascorsa. Quel vetro è ancora lì, come un rosone ferito delle chiese medievali della sua città.
La sua bella e splendida città, con il duomo, lo struscio sotto i portici, il mercato del sabato, la Fontana Luminosa, i pub, i giovedì degli studenti, la Perdonanza, il cappuccino con il Vov del Bar Eden, i bei negozi del corso, le salumerie dei vicoli, il pane caldo del forno…
Frida fa una doccia veloce e si veste, decisa a godersi una di quelle splendide e terse mattinate aquilane. Ad aprile lì il freddo si fa ancora sentire, ma un caldo piumino, un berretto e una sciarpa sono quanto basta per affrontarlo.
Scende al bar sotto casa e gusta un aromatico caffè in tazza grande, di quelle decorate a mano, nell’accogliente locale. Dopo quel ritaglio di inizio giornata tutto per sé, con quel retrogusto amarognolo in bocca, Frida torna alla realtà e si incammina verso la scuola con un po’ di agitazione per l’imminente versione di latino che potrebbe salvarla dal debito estivo. Come tutte le mattine arriva nel cortile della scuola in anticipo, perché adora la solitudine e soprattutto scrutare le persone, studiarne le facce, la mimica, le espressioni.
Amante del disegno com’è, ogni sera sfida la sua capacità di memoria e tenta di riprodurre i volti visti durante la giornata.
Mentre aspetta che si avvicini l’ora di entrare vorrebbe leggere il suo amato libro, che la sera prima era stata costretta ad abbandonare, lo ricerca nel fondo del suo zaino ma non c’è. Ora ricorda, lo ha lasciato lì, per terra, davanti alla ragnatela di vetro!
Un po’ delusa continua ad osservare i volti dei passanti, finché non incrocia lo sguardo dei suoi compagni, anche loro terrorizzati all’idea dell’imminente versione da svolgere, sperando che il fatidico suono della campanella arrivi il più tardi possibile. Ma, proprio come un fulmine a ciel sereno, quel suono stridulo e squillante arriva, rompendo lo strano e irregolare equilibrio.
Quel terribile clangore che ha avvertito la scorsa notte sembra non aver colpito nessun altro, nessuno ne ha nemmeno lontanamente accennato. Forse è stata solo una mia immaginazione, dice fra sé.
Nonostante il compito di latino sia stato molto più semplice di quanto si aspettasse, le cinque ore scolastiche passano fugacemente, come un battito di ciglia.
Frida, tornando a casa da scuola, continua a ripensare a quella notte, osserva i palazzi attorno a sé, le strade, le persone. Tutto sembra tranquillo, di una calma apparente, di un silenzio che vuole gridare. Continua a ripetersi che ha immaginato tutto, forse perché troppo presa dal libro.
La sua giornata continua come quella di qualsiasi diciassettenne, fra compiti e sport. Ha bisogno proprio di un pomeriggio in palestra, nonostante sia da sempre la cosa che la attira di meno al mondo, ma deve scaricarsi.
Dopo aver trascorso il pomeriggio a sudare Frida torna a casa, quasi trascinandosi per la stanchezza. È stremata e, anche se sono appena le sette di sera, decide di andare a riposarsi sul morbido e caldo lettone che domina la sua stanza. Si accoccola dolcemente sotto le lenzuola e, non appena poggia la testa sul bianco cuscino, crolla addormentata.
6 Aprile 2010
È passato un anno da quella notte lunga e scura. Una notte dove incubo, sogno e realtà si sono accavallati, dove tutto si è confuso in un turbinio di emozioni.
Oggi, attorno a me si sono radunati tanti dei miei amici, parenti e professori… Leggono per me, versando qualche lacrima, alcuni passi di Alice nel Paese delle Meraviglie: il libro che mi ha accompagnato quella notte.
In un Paese delle Meraviglie essi giacciono,
sognando mentre i giorni passano,
sognando mentre le estati muoiono;
eternamente scivolando lungo la corrente
indugiando nell’aureo bagliore…
Che cos’è la vita se non un sogno?
In realtà quella notte, che segnò la fine della mia città, mi sono addormentata. Non nel mio morbido e caldo letto, ma sotto le macerie e i vetri, e non mi sono più risvegliata.
Perché in fondo, che cos’è la vita se non un sogno?
