Fu una delle mattinate più luminose di quella calda estate e Vera voleva dipingere i fiori. Nessuno gliel’aveva ordinato e sapeva che nessuno l’avrebbe comprato, ma lei non voleva venderlo. Si sentiva felice e prese dallo studio della sua grande casa color celeste pastello il cavalletto, due tele perché aveva sempre paura di sbagliare e la valigetta delle matite e dei colori. Legò il cavalletto sul portapacchi della sua elegante bicicletta rosa e il resto lo mise nel cestino e sui borsoni dietro. Quel giorno indossava un bellissimo vestito a fiori con sfondo bianco tanto bello che appena uscita ricevette già dei complimenti.
«Dove vai Vera così presto, è estate. Ma che bel vestito che hai» disse Graziella, la sua dolce vicina che viveva con suo marito nella casa a fianco.
Si mise a pedalare e subito la fresca aria gli finiva tra i capelli facendole ricordare che non avrebbe mai respirato un’aria così pura se avesse preso la sua casa in centro a Bologna anziché nelle vicine e prosperose campagne che adesso si tingevano del giallo oro del grano. Per tutto il resto del tragitto continuò a pensare cosa realmente voleva e pregare che la sua leggera gonna non si impigliasse dentro la ruota. Arrivata lì, in quel giardino abbandonato dove i fiori e le piante si arrampicavano fino alla recinzione arrugginita, posizionò il cavalletto. Inizio a dipingere, per prima cosa stese del verde nella parte bassa della tela. Abbondava nell’utilizzo di quel colore, che le ricordava l’intrepida natura e la pigra speranza che ormai da tempo l’aveva abbandonata. Ma si sentiva felice, perché le rimaneva un tetto sulla testa un fidanzato che le voleva bene, certo litigavano un po’ ma tutto filava liscio.
Mentre dipingeva, una piccola farfalla si stava leggiadramente poggiando sul suo braccio e subito decise di dipingerla.
Come passa veloce il tempo quando si fa qualcosa che si ama, infatti mancavano solo poche pennellate per finire la tela che erano già le due di pomeriggio.
Con molta velocità prese la bici che si trovava a terra e legò subito le tele al portapacchi e tornò a casa. Durante tutto il tragitto voleva fermarsi a cogliere delle spighe di grano o dei fiori da mettere nel vaso ma non poteva.
Infatti oggi i suoi amici sarebbero venuti a casa sua per conoscere Giovanni, il suo fidanzato. Lui non era molto presente, stava sempre al lavoro e faceva tutti gli straordinari possibili per mantenersi. Ma era molto generoso, aveva aiutato Vera a rinnovare e ridipingere la sua vecchia casa che aveva bisogno di molti ritocchi.
Mangiò alla svelta la pasta fredda che aveva preparato la sera prima e andò nello sgabuzzino per prendere i prodotti per la pulizia. Spolverò frettolosamente le mensole, pulì tutte le finestre della casa e lucidò i calici di cristallo. Poi passò alla cucina, controllò che la cheesecake fosse pronta, che le bevande fossero ben fredde e che ci fossero tutti gli stuzzichini. Suonarono alla porta, lei andò ad aprire e con gran sorpresa vide che Giovanni gli aveva portato un bellissimo mazzo di girasoli, quelli che a lei piacevano tanto. Si voltava di qua e di là fin dove poteva per cercare un vaso dove mettere i fiori ma non riusciva a trovarne uno abbastanza alto, allora le venne un’idea, tagliò i gambi dei fiori e li mise nel vaso assieme a un po’ d’acqua con due monete di rame.
Si erano già fatte le quattro del pomeriggio quando i suoi amici suonarono al campanello, Giovanni andò ad aprire. «Ciao, io sono Laura, lui è Luca. Lara e Francesco stanno arrivando». «Buon pomeriggio, sono Giovanni. Vera vi sta aspettando in soggiorno.»
Era un po’ imbarazzato, sarebbe andato tutto bene. Poco dopo si ritrovarono tutti nella grande sala che odorava di libri e incenso, perché Vera odiava quei profumatori industriali. Lei andò in salotto per cercare dei piatti da dolce perché quelli che si era promessa di usare non erano molto floreali e troppo formali per i suoi gusti. Quando tutto era pronto Giovanni prese la parola sorridendo: «Ora che siete tutti qui ho un annuncio da farvi. Abbiamo intenzione di sposarci».
Era una situazione forse troppo frettolosa ma nessuno ci pensò. Luca, Francesco e Giovanni andarono subito d’accordo, anche Lara si era fatta prendere da questo entusiasmo che aveva sempre. Laura invece era una donna che nella vita aveva avuto solo problemi, e lei di questi ostacoli ne aveva fatto una scala per raggiungere la felicità. Lei non riusciva però a togliere gli occhi da Giovanni, riusciva a capire ognuno e vedeva in lui un tormento. Allora tagliò la banale discussione e disse: «Credo dunque, che io sono destinata alla luna. Di fatto non sono stata mai fortunata e non sono molto bella. E me lo dico da me. Ma se il sole è dei belli, la luna allora sarà per tutte quelle creature che sono superiori. Tu hai gli occhi marroni Giovanni, io li ho verdi, quindi tu non potrai mai vedere nella mia anima né tantomeno la lucentezza dell’oscurità».
Un innaturale silenzio stava ora scendendo su di loro finché Vera non disse: «Apro un crodino?». Solo Lara lo volle, Giovanni nemmeno rispose. Era ansioso, ora si girava i pollici ora guardava il telefono in cerca di qualcosa che ancora non sapeva.
Vera si accorse del suo strano comportamento ma non volle dir nulla, forse era successo qualcosa. Il pomeriggio era passato così velocemente che già si era fatta l’ora di cena. Nemmeno il tempo di accompagnare gli amici di Vera che subito il suo compagno ricevette una telefonata dal suo datore di lavoro. «Ok, ma che problema c’è stato? Il piano era perfetto. Va bene, arrivo subito.» Vera perciò, curiosamente chiese: «È successo qualcosa a lavoro?» «Sì, un macchinario si è rotto e dobbiamo completare delle stampe entro settimana prossima. Così dobbiamo andare a vedere che problema c’è assieme all’ingegnere.» Quasi non valeva parlare, prese il cappotto e scappò via. Non era la prima volta che Vera dormiva da sola, ma la situazione era veramente strana stavolta. Perché un imprenditore doveva aiutare nella riparazione di un macchinario? Quella sera decise di aspettare il suo ritorno sveglia. Finito il suo rituale di bellezza e messo il pigiama si mise in veranda con la radio a dipingere un bel mazzetto di fiori. Poiché era tardi ci mise molto tempo per disegnare il bozzetto. Allora, sconfitta dalla tela, si concentrò nell’ascoltare la radio. Erano circa le tre del mattino quando Giovanni tornò, allora Vera andò da lui chiedendogli cosa fosse successo. Lui rispose solamente che era stanco e aveva bisogno di riposare. «Togliti le scarpe perché sono sporche di fango» disse Vera, che era assalita da numerose domande. Come poteva avere delle scarpe sporche se era stato in fabbrica, voleva parlargli ma non lo fece, forse perché era stanca o forse perché qualcuno l’amava veramente in 23 anni della sua vita.
Il mattino seguente lei si svegliò con un nodo alla gola, voleva parlargli ma non ci riusciva. Era ormai mattina e Giovanni si svegliò di buon ora, di fatto erano le 10 e vera si trovava nella serra a far colazione, lui la raggiunse e con un falso sorriso prese la teiera per versarsi del tè che era ormai tiepido. «Ti va se oggi andiamo a fare compere così puoi scegliere l’abito per il matrimonio?». Vera s’alzò, sembrava non fidarsi molto dell’uomo che prima conosceva, ma lì non aveva niente, nessuno che le volesse bene. «Va bene» disse con un tono freddo, le dava fastidio la tavola così disordinata ma la lasciò in tale stato. Andò a cambiarsi per raggiungere il sarto con la loro 500 verde acqua e per il caldo che si trovava nell’abitacolo aprirono la cappotta per far entrare l’aria fresca dei campi. Appena entrati Vera vide che c’era un’altra donna che stava pagando, ed era felicissima con sua madre e le sue amiche. Avrebbe voluto anche lei qualcuno che l’aiutasse a scegliere che non fosse suo marito, pensava mentre stava guardando con occhi lucidi la dolce scene che aveva davanti ai suoi occhi. Appena provò il primo abito Vera vide che era perfetto lo capì subito. Era sobrio, senza esagerazioni ma conservava in sé una così perfetta armonia da apparire unico. Allora ne provò degli altri ma nessuno era come il primo, così decise che il primo abito, proprio il primo sarebbe stato indossato per il giorno più felice della sua vita. Piacque così tanto a Giovanni che chiese: «Perché non te lo tieni, ho la mia macchina fotografica e il giorno libero. Possiamo andare a scattare delle foto». Quest’idea era strana anche per Vera, in fondo il matrimonio sarebbe stato tra sei mesi, ma come sempre non disse niente.
Uscirono dal negozio come una coppietta appena sposata che esce dalla chiesa. Nello stretto abitacolo della macchina non entrava tutto l’abito ma spingendo un po’ e togliendo il velo che era cucito assieme alla gonna per non perdere riuscirono ad entrarci entrambi. Appena messi alla guida però la felicità di Vera fu interrotta da Giovanni che prese il telefono e chiamò un suo amico, o forse qualcun altro, che con tono piatto disse: «Sto andando ai campi, vieni pure tu?». E continuò a parlare al cellulare fino a che non uscirono da Bologna. «Dovrò subirmi pure il suo amico!» Pensò tra sé Vera, allora la sua espressione cambiò e si fece più dura. Arrivarono velocemente al campo dato che la strada era diritta e non c’era nessuno, cosa che favorì il viaggio poiché Giovanni accelerò dato che non si preoccupò della polizia che potrebbe aver controllato la sua velocità. Così sfrecciarono nei larghi campi fino a imboccare una stradicciola sterrata. Sulla strada due uomini salutarono amichevolmente Giovanni, che si fermò e uscire dalla macchina iniziando a fare numerose domande. I tre uomini guardarono Vera come il leone fa con la sua preda e subito aprirono la portiera della macchina mentre lei non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Nel mentre la legarono con forza stringendole il velo sulla bocca così da non poter parlare, aveva paura e si dimenava. Allora venne gettata in una profondissima buca mentre i tre uomini presero tre pale e iniziarono a sotterrarla viva. Giovanni prese la terza pala e con occhi bagnati disse: «Quel giorno potevi andare a dormire, ma non l’hai fatto. Se avessi scoperto tutto saresti andata dalla polizia, e io non me lo potevo permettere. Il mio boss non me l’avrebbe potuto permettere, mi avrebbe sciolto nell’acido. Ti amo veramente e per questo ti dico mi dispiace». La cruda terra adesso copriva quasi interamente Vera che continuava a muoversi freneticamente per cercare di liberarsi da quelle corde che la legavano. Venute meno tutte le forze capì che l’ossigeno stava finendo. Ma questo non le importava perché lei sarebbe riuscita a volare, a trasformarsi in una farfalla mentre i suoi assassini sarebbero stati mangiati dai vermi. Adesso le mancava il respiro e si addormentò per sempre.

