Miriam era completamente persa nei suoi pensieri.
La scuola era ufficialmente finita da solo un’ora, e lei stava camminando, zaino in spalla e auricolari che la isolavano dal mondo circostante, passando in rassegna tutti i progetti per le imminenti vacanze.
Ogni volta che le tornavano in mente i suoi compagni di classe, che quel giorno l’avevano salutata affettuosamente ripromettendosi di organizzare qualche uscita quando sarebbe capitato, le compariva sul viso un sorriso largo trentadue denti, che le illuminava l’animo. Quell’anno, al contrario di quanto era successo al termine delle medie, non aveva versato neppure una lacrima, forse perché era consapevole del fatto che la distanza non avrebbe intaccato quei legami, e che tre mesi, con tutto il lavoro che aveva da fare, non sarebbero passati poi così lentamente.
Improvvisamente, quasi a voler rompere intenzionalmente lo scorrere di quei ragionamenti, il telefono iniziò a squillare. Era sua madre, premurosa e allo stesso tempo protettiva – come sempre del resto – che voleva assicurarsi del fatto che la figlia stesse tornando per pranzare.
Miriam accelerò il passo, riprendendo possesso della sua mente, che ora le stava facendo ricordare l’inizio di quell’avventura: il primo giorno era nervosa, sì, ma era anche più coraggiosa del solito, pronta ad affrontare le nuove esperienze, in un nuovo ambiente e con nuove persone che sperava ardentemente l’avrebbero accolta amichevolmente, dandole il tempo necessario per farla ambientare. Del resto lei era molto timida, ed era conscia che stringere le prime simpatie non le sarebbe risultato così naturale.
Tornata a casa, sistemò la cartella e si mise a tavola, pronta a raccontare ai suoi genitori le informazioni più interessanti di quell’ultimo giorno, senza tralasciare i pianti, gli abbracci, le frasi scritte su foglietti microscopici nascosti nel diario e le foto fuori la scuola.
Dopo pranzo uscì in giardino, trovò un angolo d’erba all’ombra e si sedette a osservare il cielo. Adorava guardare le nuvole che si rincorrevano, cambiavano forma, coprivano il sole come se fossero gelose della luce che emanava, per poi diradarsi e scomparire del tutto.
Tornò quindi con il pensiero all’anno scolastico appena terminato, ripercorrendo ogni momento, dalle prime amiche, che si erano poi rivelate le migliori persone che avesse mai conosciuto, a tutte le risate, le bravate fatte in ricreazione, quando i professori non c’erano o non guardavano, e ai sogni, alle ambizioni, alla paura delle verifiche e delle interrogazioni, il timore di alcuni di loro di deludere le proprie aspettative o quelle dei loro cari.
Oltre a questo Miriam ricordava anche il rapporto che era riuscita a instaurare con gli insegnanti, figure che inizialmente la intimorivano parecchio, ma che strada facendo aveva capito che per lei sarebbero state dei maestri di vita, e la avrebbero supportata e incoraggiata a seguire i suoi sogni, perché erano convinti che ce l’avrebbe fatta.
Un’altra cosa che la ragazza – che adesso stava raccogliendo le margherite e i denti di leone che trovava attorno a sé – non avrebbe mai dimenticato, era quanto era cambiata in soli dieci mesi. Infatti aveva iniziato quel percorso insidioso e affascinante chiamato Scuola secondaria di secondo grado piena di insicurezze, paure e paranoie causate dai precedenti tre anni trascorsi alla scuola media, costellata di false amicizie, professori che la sminuivano perché non vedevano in lei potenziale, e ancora l’inizio dell’adolescenza, la paura di essere sbagliata, di non essere abbastanza, di deludere le poche persone che tenevano a lei, il terrore di perdersi, di crescere, di cambiare, di non trovare più la lei bambina piena di desideri e speranze.
Le campane della chiesa che sorgeva dietro casa sua la risvegliarono da tutte quelle memorie, quei pensieri che ancora la turbavano leggermente, lasciando un velo di malinconia sul fondo del suo cuore. «Se non avessi passato tutto questo forse sarei più felice, però come si fa a maturare senza vivere momenti difficili?», si disse con il sorriso sulle labbra.
Alzò lo sguardo: il sole stava tramontando, dipingendo il cielo di pittoreschi riflessi color porpora che le riscaldarono l’animo. Dopo aver osservato quel suggestivo paesaggio, Miriam raccolse i fiori che aveva strappato via al terreno e rientrò in casa, sorprendendo i genitori iniziando a preparare la tavola per la cena: si era sempre distinta per la sua pigrizia quando si trattava delle faccende domestiche.
Dopo aver mangiato, andò in salotto, dove guardò la televisione con la madre e il padre finché il sonno e la stanchezza ebbero la meglio sui sensi e la spinsero ad andare a riposarsi per ricaricare le energie.
Il giorno successivo, Miriam si svegliò, ricordandosi all’improvviso che sarebbe stata da sola tutto il giorno, i genitori avrebbero infatti trascorso l’intera giornata al lavoro. Siccome era ancora troppo stanca per iniziare la valanga di compiti che gli insegnanti le avevano assegnato, preferì mettersi a leggere uno dei tanti libri che giacevano dimenticati sugli scaffali della piccola libreria che ricopriva metà delle pareti di camera sua. Si era sempre sentita attratta dalla lettura, dal momento in cui sua madre le aveva letto il suo primo racconto: da quell’istante le si era aperto davanti agli occhi un mondo fatato che la incuriosiva e la ammaliava.
Le ritornò alla mente il giorno in cui, dovendosi presentare alla nuova classe, la sua professoressa le aveva chiesto se avesse dei desideri o delle ambizioni particolari per il futuro, se avesse già in mente cosa fare dopo gli studi, e lei aveva risposto fiera e allo stesso tempo timorosa di cosa gli altri avrebbero potuto pensare: «Voglio scrivere un libro, questo è certo».
La passione per i libri si era tramutata in un tassello della sua vita: spesso si perdeva a immaginare la sua vita quando sarebbe cresciuta, lei a scrivere un racconto o, perché no, un romanzo seduta alla scrivania di camera sua, rigorosamente con le cuffie che le immettevano nelle orecchie musica ad alto volume, uno dei fattori che le sbloccavano l’ispirazione e l’immaginazione in uno schiocco di dita, o per meglio dire, nello schiacciare il tasto play della sua playlist preferita.
Ora che la scuola era finita e gli impegni erano miracolosamente diminuiti, Miriam pensò raggiante che sarebbe riuscita a trovare un po’ di tempo anche per scrivere qualcosa, giusto per dare sfogo al suo estro.
Passata la mattina a leggere, inforcò la bicicletta lilla, dono dei suoi genitori, e iniziò a pedalare, con il vento che le soffiava gentilmente in faccia, rinfrescandola dall’afa estiva e scompigliandole i ciuffetti di capelli che sfuggivano ribelli dalla treccia. In quel preciso istante la ragazza ringraziò mentalmente se stessa, perché era solo grazie alla sua forza e a quel briciolo di speranza rimasta che ora sorrideva euforica al mondo, incurante dei commenti negativi che aveva ricevuto e pronta a servirsi di tutte le sue energie e a lottare per i suoi obiettivi.